Stumpf: dopo le divisioni, due popoli riconciliati

Il presule sloveno che guida la diocesi di Capodistria: da piazza Transalpina passava il filo spinato che separava Italia e Jugoslavia. Ancora le scorie comuniste restano fra noi
September 21, 2025
Stumpf: dopo le divisioni, due popoli riconciliati
Diocesi di Capodistria | Il vescovo di Capodistria, Peter Stumpf, nel cui territorio si trova Nova Gorica
Racconta la piazza della divisione fra Gorizia e Nova Gorica: piazza Transalpina. Da una parte, l’Italia; dall’altra, la Slovenia, la terra in cui Peter Stumpf è nato e dove è vescovo. «In passato era attraversata da una robusta recinzione. La gente si radunava attorno ad essa per rivedere i parenti e gli amici “oltre il filo spinato”», spiega monsignor Stumpf. E «capitava che l’allora polizia jugoslava allontanasse i nostri concittadini da lì per impedire gli incontri clandestini. Sembra un sogno che adesso le comunità dei due Paesi possano pregare insieme in quella stessa piazza, come accadrà martedì per volontà degli episcopati delle due nazioni». Piazza ancora di confine, perché attraversata dalla frontiera. Ma senza più barriere. Ed emblema di una riconciliazione possibile e realizzata: fra i due Stati; e fra le due città che la geopolitica ha voluto avessero nomi diversi. «Faccio mie le parole dell’arcivescovo di Gorizia, Carlo Redaelli, quando dice che ormai non ci rendiamo quasi più conto dell’abbraccio che si è realizzato», afferma Stumpf, che guida la diocesi di Capodistria nel cui territorio si trova Nova Gorica.

Eccellenza, perché una veglia lungo il confine?
Per invocare la pace in un luogo che sembra dire l’opposto e per affermare che i popoli possono vivere insieme in fraternità. Anche grazie alla comune sequela di Cristo, mostriamo che è molto più forte ciò che ci lega di ciò che ci separa.
Gorizia e Nova Gorica, località di divisioni, sangue versato nelle due guerre mondiali, persecuzioni, discriminazioni. Come rimarginare le ferite della storia?
È vero, siamo stati territori di conflitti e tensioni. Ancora possono emergere accuse alle autorità dell’uno o dell’altro Stato per le ingiustizie commesse in passato nei confronti degli abitanti che hanno una diversa nazionalità. Non dobbiamo negare il dolore e le sofferenze dell’altro. Anzi, occorre comprenderle e rispettarle. Infatti l’incontro voluto dai vescovi dei due Paesi non negherà gli errori compiuti negli scorsi decenni. Ma indicherà che vogliamo impegnarci a costruire un futuro migliore. È significativo che fra i protagonisti dell’evento ci siano anche i giovani. Il domani è loro.
La Slovenia fa parte dell’Unione Europea. Che cosa resta del passato?
Il Paese è stato segnato dalla persecuzione comunista. Ancor prima la nazione slovena ha subìto vessazioni di altri Stati e regimi dittatoriali. I nostri sacerdoti hanno consentito che si preservasse la lingua slovena e che fosse difesa una nazione oppressa: nello spirito del Vangelo senza, però, mai alimentare i rancori. Ecco perché la Slovenia è oggi un Paese-messaggio in Europa e testimonia che si può valorizzare la propria cultura rispettando quella degli altri. Tuttavia, e aggiungo purtroppo, la Slovenia non ha ancora fatto i conti con il suo passato comunista totalitario. Le scorie del regime sono ancora presenti: tutto ciò le impedisce di progredire pienamente.
La convivenza possibile in una terra che era stata in “lotta” è un messaggio per il mondo intero?
Fino a sette mesi fa ero vescovo nell’estremo oriente della Slovenia, nella diocesi di Murska Sobota che confina con Austria, Ungheria e Croazia. Qui ho cercato di riunire i cattolici dei Paesi limitrofi. Nel 2022 ne abbiamo radunati oltre seimila: sia ungheresi, sia croati, sia sloveni. In qualche modo ho trasferito questa esperienza nella nuova Chiesa in cui sono stato inviato e in cui ho trovato una ricca tradizione di collaborazione.
La Chiesa cattolica ha avvicinato Slovenia e Italia. Dove la politica separa i popoli, la comunità ecclesiale è antidoto ai nazionalismi?
La Chiesa è e deve essere ponte tra i popoli: per questo è cattolica, cioè universale. La collaborazione tra le diocesi di Gorizia e Capodistria ne è una prova. Siamo chiamati a essere Chiesa missionaria, cioè in dialogo. Quando la Chiesa incontra l’uomo, è sempre profetica e permette di abbattere gli ostacoli che certe istituzioni non riescono a superare.

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