Menichelli, prete sempre "di corsa", amico di Fellini
di Fulvio Fulvi
Per capire l'eredità del porporato marchigiano bisogna andare alle sue radici a Serripola, frazione di San Severino Marche

Nella sua città, San Severino Marche, tutti gli volevano bene e lo chiamavano ancora “don Edoardo”, come lui stesso chiedeva a chi lo incontrava in piazza o in una parrocchia di campagna dove andava a celebrare Messa. Mancano i preti e il cardinale Menichelli (che si è spento stamattina dopo una tribolata malattia in una stanza del santuario della Madonna dei Lumi, dove era accudito dalle suore missionarie dell’amore del Cuore di Cristo), benché pensionato, si metteva a disposizione dell’arcivescovo anche per officiare funerali e battesimi. E, quando c’era bisogno, anche le cresime e le comunioni ad Ancona e Osimo. Andava sempre di corsa, fino a quando la salute glielo ha permesso. Una volta, al volante della sua vecchia Fiat Panda, perse il controllo e la macchina si ribaltò nella discesa che da Serripola, la frazione dove nacque 86 anni fa, porta in paese: si trovava a casa della sorella, doveva recarsi a fare il parroco in una lontana frazione ed era in ritardo. Rimase leggermente ferito, fu subito dimesso dall’ospedale e un paio di giorni dopo tornò in pista. Partecipava spesso a convegni sulla famiglia e sulla teologia mariana. Nelle sue omelie non mancava mai un riferimento alla Madonna, la cui figura aveva approfondito attraverso studi specifici.
Il cardinale Menichelli era molto legato alla sua città, che lasciò quando era ancora un giovane prete, insegnante di religione all’Istituto professionale e vice-parroco a San Guseppe, per andare a studiare teologia pastorale alla Pontificia Università Lateranense e cominciare la carriera nella Curia vaticana. A Roma, divenuto segretario particolare del cardinale Achille Silvestrini e cappellano della clinica Gemelli, conobbe da vicino personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo. Racconta il professor Alberto Pellegrino, suo concittadino, collega insegnante e amico, con il quale condivise “i tempi eroici” e gli entusiasmi del Concilio Vaticano II, che quando Alberto Moravia era ricoverato al Policlinico, poco prima che morisse, nel giugno del 1989, gli andò a fare visita chiedendogli se volesse recitare insieme a lui il “Padre Nostro”. «No grazie - ebbe come risposta dallo scrittore, dichiaratamente ateo - ma lo reciti lei per me, lo ascolto volentieri». Conosceva Federico Fellini e Giulietta Masina che spesso si confidavano con lui nei momenti più difficili del loro rapporto coniugale. Insieme a Silvestrini e padre Angelo Arpa, don Menichelli, iI 1° novembre del 1993 concelebrò a Santa Maria degli Angeli le esequie del regista, che era andato a trovare più volte in ospedale negli ultimi giorni di vita. Lo stesso accadde in occasione della morte di Giulietta, iI 24 marzo dell’anno dopo.
Il cardinale raccontava spesso che quando era bambino giocava nel giardino della sua casa con Elio e Frida Di Segni, i primi due figli di Mosé Di Segni (il terzogenito, Riccardo, ora rabbino capo della comunità ebraica di Roma non era ancora nato), arrivati in gran segreto a San Severino dalla capitale per sfuggire alle leggi razziali e ospitati in casa dai nonni del futuro sacerdote. Un’ospitalità favorita dal parroco di Serripola. Mosé era il medico dei partigiani che combattevano nelle vicine montagne dell’Appennino. «Don Edoardo era uno dei bambini di Serripola con cui io e mia sorella Frida giocavamo - ha ricordato anni fa Elio Di Segni -, lui sapeva che con quei bambini si poteva giocare ma non si poteva chiedere chi fossero e da dove venissero». Nel 2011 i tre amici si sono ritrovati e riabbraciati proprio in quei luoghi che hanno segnato la loro infanzia.
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