La teologa Noceti: «Chiesa sinodale, profezia per la società di oggi»
di Mariangela Parisi
La docente di teologia sistematica rilegge il Documento di sintesi del Cammino sinodale, ora al voto dei 900 delegati riuniti in Assemblea a Roma

Teologa, docente di teologia sistematica presso l’Istituto superiore di Scienze religiose della Toscana “Santa Caterina”, Serena Noceti è membro del Comitato nazionale del Cammino sinodale italiano come rappresentante del Coordinamento delle Associazioni Teologiche Italiane. Domani prenderà parte alla terza assemblea sinodale delle Chiese che sono in Italia.
Professoressa, ad aprile scorso il Documento di sintesi fu giudicato inadeguato a rappresentare i frutti del Cammino sinodale fatto dalle diocesi italiane dal 2021. Quello che l’Assemblea voterà domani come lo giudica?
Lo trovo un documento più che adeguato. È davvero una sintesi che raccoglie il cammino, articolato, che ha coinvolto migliaia di persone nel corso di quattro anni: c’è un intarsio tra le tante richieste e proposte pervenute, espressione di diverse sensibilità e passioni che sono presenti nella nostra Chiesa. Lo trovo adeguato perché si radica sulla visione di Chiesa come Popolo di Dio del Vaticano II e si alimenta a quanto indicato nel Documento finale del Sinodo della Chiesa universale. Ci permette, quindi, di vivere una “forma specifica italiana” di applicazione del Sinodo sulla sinodalità. Il Documento è adeguato, perché c’è un ottimo equilibro tra orientamenti per la prassi e intelligenza teologica e pastorale della situazione in trasformazione: le tante, diverse e ricche proposte operative (sono più di 120), sono sempre introdotte e motivate da parti introduttive di spessore teologico e pastorale, risultato di una ottima interazione tra le competenze dei rappresentanti delle diverse realtà ecclesiali italiane, delle diocesi, dei teologi e teologhe, e il contributo dei vescovi. È adeguato perché guarda con lucidità una realtà in trasformazione – sul piano socio-culturale ed ecclesiale – e ci spinge ad assumere una postura di cammino e di cammino da fare insieme. Ci motiva a superare visioni statiche o standardizzate della Chiesa.
Quali, secondo lei, le proposte da assumere come priorità?
Le proposte sono tante ed è un bene, perché ogni chiesa locale, con il vescovo, possa delineare un suo proprio percorso di recezione e di attuazione, attingendo qualcosa da ognuna delle tre parti in cui il documento è strutturato. Le priorità penso che debbano essere individuate intorno a ciò che mette e mantiene in un dinamismo di riforma, insieme missionaria e sinodale. Prima di tutto, il piano della formazione alla corresponsabilità e conversione sinodale: la parola di tutti e tutte è necessaria per il discernimento, la maturazione nella fede e la missione di una Chiesa in uscita, senza preclusioni o esclusioni indebite di alcune persone, iniziando da coloro che sono ai margini, critici o sopravvissuti ad abusi nella Chiesa, compresi quelli di potere. Si tratta poi di saper pronunciare una parola significativa, perché espressa con linguaggi adeguati alle culture di oggi e rispondenti alle sfide della realtà di oggi, che le persone sentono vicine (penso, ad esempio, al lavoro, alla giustizia e alla precarietà della vita). Un secondo piano è quello del rinnovamento di alcune strutture: quelle che garantiscono effettivamente questo cammino di popolo e di riforma. Ne indicherei alcune della terza parte, che vedo come strategiche: la riconfigurazione delle parrocchie nel territorio; le modalità con cui si esercita il servizio di guida e leadership delle comunità, promuovendo équipe ministeriali, di ministri ordinati e laici, e modalità di lavoro efficaci per i consigli pastorali; il riconoscimento di ruoli di autorità alle donne a tutti i livelli della vita ecclesiale. Dobbiamo affrontare con coraggio alcuni meccanismi di blocco, che ci ancorano a forme del passato, non più adeguate.
Rispetto al Documento di aprile è cambiato anche il titolo: da "Perché la gioia sia piena" a "Lievito di pace e di speranza". Come leggere questa scelta?
Mi piace molto l'immagine suggerita dal nuovo titolo. Dice una scelta: non pensarsi come una Chiesa che sta davanti alla società, al mondo, ma collocarsi nel cuore della realtà umana, sociale, ecclesiale e rimanerci non con un atteggiamento di potere o di vantata superiorità morale, ma aperti ad imparare da tutti, disposti a collaborare con tutti coloro che cercano il bene comune. Si tratta di essere portatori di quel Vangelo del Regno, che ha la potenzialità di rinnovare le relazioni umane e dare vita alle persone. In questa immagine c’è il riconoscimento del valore del tempo e di una prospettiva aperta a una speranza operosa, non passiva spettatrice di ciò che avviene, ma anticipatrice del futuro promesso da Dio e affidato alle nostre mani. Siamo chiamati a fare scelte profetiche: annunciare il Regno di Dio è vivere come un Noi ecclesiale, che riconosce il valore delle differenze e l’apporto di tutti senza discriminazioni di provenienza, età e genere. Si tratta di rendere tutti realmente partecipi e corresponsabili. Questa è una profezia reale per una società fortemente individualista come la nostra, segnata da rigurgiti di nazionalismo e indifferenza nei confronti di chi vive situazioni di precarietà. Lo è per una società che vive la crisi della democrazia rappresentativa e la sfiducia nelle istituzioni. Facciamo sinodo e viviamo come Chiesa sinodale, perché anche così assumiamo una responsabilità sociale. Vorrei vedere una Chiesa povera e dei poveri, a servizio della fraternità tra i popoli e capace di scelte chiare di pace e giustizia.
Ha particolari aspettative sulla traduzione del Documento affidata alle prossime Assemblee Cei?
Si è e si diventa Chiesa sinodale nel camminare sinodalmente, insieme. È stato bellissimo lavorare, pensare, crescere insieme: vescovi, preti, diaconi, religiosi e laici. Mi aspetto che si possa continuare a camminare con questo metodo di ascolto di tutti, con questa riflessione teologico-pastorale e con questo apprendimento reciproco. Mi aspetto che vengano mantenute le équipe sinodali, che hanno lavorato in questi anni, e, soprattutto, che prosegua il lavoro di coordinamento a livello nazionale. Il Comitato sinodale, con la sua presidenza e le sue commissioni, è stato l’elemento trainante e il punto di forza di tutto il Cammino sinodale italiano.
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