La storia dell'Opus Dei senza omissis dalle origini al lavoro di riforma
In un nuovo volume documentazione fino ad ora inedita, tra cui alcune lettere del fondatore Escrivá de Balaguer scritte ai Papi. Un racconto che non nasconde aspetti problematici e voci critiche

Pubblichiamo un estratto dalla prefazione di Agostino Giovagnoli al libro Opus Dei. Una storia (pubblicato da Ares, pagine 744, euro 24), di José Luis González Gullón e John F. Coverdale, che verrà presentato ufficialmente a Roma il 27 novembre 2025, alle 18.30, presso Elis-Villa Fassini (Via Giuseppe Donati, 174). Il libro è disponibile a partire da oggi.
Come promette il titolo, quest’opera voluminosa offre una storia dell’Opus Dei. Sull’Opera si è già scritto molto, come viene ricordato anche qui, ma il termine storia indica la novità che gli autori hanno cercato di aggiungere a un nutrito panorama di pubblicazioni. In questo caso, significa anzitutto ricostruzione fondata su documenti, molti dei quali inediti e non consultati in precedenza. Vengono, tra l’altro, citate lettere di monsignor Escrivá de Balaguer o di monsignor Álvaro del Portillo ai Pontefici, appunti che riportano parole dette da Papi in conversazioni private, confidenze di esponenti della Curia Romana e informazioni finora ignote. Colpisce anche l’ampiezza degli aspetti presi in considerazione e delle vicende esaminate, rilevante non solo sotto il profilo quantitativo ma anche qualitativo. È evidente la volontà di non ignorare difficoltà, problemi e ostacoli; critiche e accuse; indagini pubbliche e campagne ostili, offrendo la propria visione ma senza tacere altri punti di vista. Non si tratta, inoltre, solo di una ricostruzione dall’interno, ci sono molti squarci su come l’Opus Dei è stata vista dall’esterno. Si avverte l’esigenza di inserirne le vicende nei più ampi contesti storici in cui si sono sviluppate: le pagine iniziali dei vari capitoli sono dedicate ai principali avvenimenti del periodo preso di volta in volta in esame. Ma la storia non è solo una cornice esterna. A proposito di mons. del Portillo gli autori notano: «Nel 1994 erano trascorsi diciannove anni dalla fine della fase di fondazione. La fedeltà alla sostanza originaria dell’Opera, l’adattamento degli elementi non essenziali alle mutate esigenze delle persone e dei tempi e la ricerca di nuove potenzialità per il patrimonio spirituale ricevuto erano una sfida continua nella sua vita di prelato. Oltre all’evoluzione della società civile e della Chiesa […] si dava una circostanza nuova nella storia dell’Opus Dei: il primo cambio generazionale era in pieno svolgimento». Il tempo non cambia solo il contesto, ma la natura stessa delle cose e degli uomini.
Per fare storia, com’è noto, i documenti sono necessari, ma da soli non parlano: ciò che dicono dipende molto dalle domande che poniamo loro. «L’obiettivo storico di questa monografia è l’analisi della diffusione del messaggio dell’Opus Dei nella Chiesa e nella società attraverso l’istituzione e le persone che vi appartengono o che partecipano alle iniziative apostoliche che promuove». Ma anche altri fili conduttori attraversano questo ampio testo e particolare attenzione merita il percorso del riconoscimento giuridico dell’Opera, su cui questo libro getta una luce più forte rispetto ad altre ricostruzioni anche molto documentate. Non si mette il vino nuovo in otri vecchi: la novità dell’Opus Dei esigeva un nuovo contenitore pienamente adatto a esprimerla. Non un contenitore generico, abbastanza ampio da accogliere molte esperienze diverse che venivano maturando nella Chiesa del XX secolo, ma una forma giuridica aderente alla sua natura, alle sue finalità, alla sua struttura organizzativa e, soprattutto, al suo spirito. All’inizio, si provò la strada delle approssimazioni successive, a partire dalla forma della pia unione per proseguire con quella dell’istituto secolare. Ma anche questa soluzione, pur pensata inizialmente con specifica attenzione all’Opus Dei, si rivelò presto inadeguata. Finalmente si è arrivati alla Prelatura, ma poi – inaspettatamente – si sono aggiunti nuovi capitoli. Non è mai possibile mettere la parola fine alla storia.
[…] La lunga vicenda della sua forma giuridica ha rappresentato anche uno dei principali terreni attraverso cui l’Opera si è fatta conoscere e si è rapportata alla Chiesa del suo tempo. Infine, last but not least, gli interrogativi suscitati dal suo riconoscimento giuridico hanno toccato – e in parte toccano anche oggi – temi importanti e, almeno parzialmente, irrisolti che riguardano tutta la Chiesa, come il ruolo di laici, sacerdoti e religiosi nella Chiesa o il rapporto fra tradizionale organizzazione ecclesiastica, incentrata su vescovi e diocesi, e un modo nuovo e più missionario di concepirla. Al centro di questo difficile percorso – per certi versi sempre suscettibile di ulteriori sviluppi o arricchimenti – c’è stato in particolare ciò che la Chiesa chiama “carisma”, una parola molto antica ma con molteplici valenze nel linguaggio corrente e su cui la storia del XX secolo ha gettato ombre pesanti. Il termine è stato associato a un uso antidemocratico e spropositato del potere e anche oggi si parla di leader carismatici in senso critico. Ma per la Chiesa il carisma è anzitutto un dono dello Spirito Santo a una persona o a una comunità per svolgere un compito specifico nella Chiesa. Nessuno mette in dubbio l’importanza del carisma di san Benedetto o di san Francesco. Eppure, quando emerge un nuovo carisma non è facile riconoscerlo o accettarlo. La Chiesa ha sempre bisogno di rinnovarsi, ma l’istituzione ecclesiastica resiste sempre alle novità. Tale resistenza svolge una funzione necessaria: non tutte le novità sono necessariamente buone. Ma ha un limite insuperabile: se la Chiesa respinge un carisma autentico, contraddice sé stessa e la sua missione. Anche i modi in cui lo si accoglie sono rilevanti: a lungo la strada del riconoscimento giuridico è apparsa la via maestra, se non l’unica. Ma non sono mai mancate esperienze ecclesiali che non l’hanno cercato e dopo il Vaticano II la dimensione giuridica è sembrata perdere parte dell’importanza rivestita precedentemente nella vita della Chiesa. […] la questione della configurazione giuridica dell’Opera è stata riaperta nel 2022 dalla Costituzione apostolica Praedicate Evangelium, che riforma la Curia romana e stabilisce la dipendenza delle prelature personali dal Dicastero per il clero. Successivamente, il motu proprio Ad charisma tuendum ha stabilito che la Prelatura dell’Opus Dei deve presentare una relazione annuale al Dicastero per il clero; che il prelato non può essere vescovo; e che l’Opus Dei deve cambiare i propri Statuti in conformità con queste modifiche. Si è aperto così un nuovo capitolo della storia dell’Opera, che in gran parte deve ancora essere vissuto.
Naturalmente, la storia del riconoscimento giuridico non è tutta la storia dell’Opus Dei. E questo libro è così voluminoso proprio perché abbraccia anche molti altri aspetti, illuminati in modo molto significativo proprio dall’impostazione storica. Lo si vede per esempio per quanto riguarda l’evoluzione della presenza femminile nell’Opera, strettamente legata alla condizione delle donne nelle diverse società in cui essa si è man mano radicata e ai profondi mutamenti di tale condizione dal 1928 a oggi. Molto interessanti sono anche le pagine dedicate al campo della comunicazione, cui i membri dell’Opus Dei hanno rivolto particolare impegno. Chi si interroga sull’atteggiamento dell’Opera riguardo alle questioni dottrinarie e teologiche troverà in queste pagine molte informazioni su cui riflettere. Anche sui rapporti con il mondo della politica e dell’economia c’è molto di più di quanto anticipato in questa presentazione. Insomma, chi in futuro vorrà occuparsi ancora della storia dell’Opus Dei dovrà tener conto di questo importante lavoro.
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