Ferite e porte chiuse, ora i giovani vogliono sentirsi attesi
di Redazione
Ho incontrato tanti ragazzi segnati, disillusi, soli. Scoprendo che attendono chi gli si mette accanto facendo sentire che crede in loro. E che in quelle crepe passa un incontro che può cambia la vita

C’è una parola che sembra resistere tenacemente nel cuore dei giovani, nonostante tutto: speranza. Ne ho incontrati tanti, con le loro storie spezzate, gli occhi stanchi e le domande che bruciano. Giovani segnati da ferite profonde, da famiglie lacerate, da solitudini che urlano nei social o che soffocano con varie dipendenze. Soli anche in mezzo a tanti. Disillusi. Definiti i nuovi poveri senza prospettive e punti di riferimento. Increduli verso un amore vero e che duri, ma in realtà desiderosi che qualcuno gli dica che c’è, che è possibile.
Non a caso scrivono nei murales un forever a cui anelano. Infatti ogni volta che li incontriamo cuore a cuore, nelle scuole, nelle strade, cercandoli e ascoltandoli, cadono le maschere e si aprono consegnandoci il loro grido. Se qualcuno si mette accanto a loro, passo dopo passo, facendogli sentire che si crede nelle loro potenzia-lità, rendendoli protagonisti, allora tirano fuori il meglio che c’è e ci stupiscono, sempre. Posso dire che proprio da loro ho imparato che la speranza non è illusione, ma una scelta, un atto rivoluzionario. È un grido che si ostina a cercare senso, luce, legami autentici. Una speranza che non nasce dalla forza ma dalla sete. E sono tanti i giovani che in questi anni ho visto passare dalla morte alla vita a Nuovi Orizzonti. Con loro stiamo partecipando agli eventi del Giubileo, viviamo ogni settimana momenti di evangelizzazione. E ad agosto saremo a Riccione per una missione di strada e di spiaggia.

Nel tempo delle “porte chiuse” dell’indifferenza, della sfiducia e delle paure che isolano, il Giubileo ci ricorda che una Porta è sempre aperta. Non è una metafora astratta: è Cristo stesso che ci attende, che non si stanca di bussare. Ma c’è di più: quella Porta Santa che siamo invitati ad attraversare spesso si presenta in forme impreviste. Le crisi sono le vere “Porte Sante” da attraversare. Una soglia scomoda ma necessaria. Non ci salviamo evitando la fatica, ma lasciandoci incontrare da Dio proprio dentro le nostre crepe. Il Giubileo offre strumenti concreti: fraternità, silenzio interiore, preghiera del cuore, confronto vero, perdono, carità vissuta... Questa Porta Santa invita i giovani a liberarsi dalle catene interiori, dalle zavorre che appesantiscono il cuore, dai sensi di colpa che paralizzano, dalle delusioni che ci convincono che “è tutto inutile” o che “non si è mai abbastanza”. Perché Dio scommette su di noi, sempre.
Papa Leone XIV ha rivolto un appello che suona come un mandato e una benedizione: «Ai giovani desidero dire, ancora una volta, che siete la promessa di speranza per molti di noi... Dobbiamo guardare al di là dei nostri modi egoistici. Dobbiamo cercare modi per unirci e promuovere un messaggio di speranza... Potete scoprire che anche voi siete davvero fari di speranza». Speranza e riconciliazione non sono parole da adulti stanchi, o da ecclesialese impolverato. È la sete più viva di tanti giovani: essere accolti senza giudizio, potersi rialzare, avere chi creda e scommetta su di loro. È la fame di autenticità che incontriamo in chi, anche senza saperlo, ha sete di Dio. Allora il Giubileo dei Giovani non è solo un evento ma una soglia da attraversare. È l’occasione per dirsi che un’altra vita è possibile. Che la fede non è anestesia, ma fuoco vivo. Che la Chiesa, se sa davvero “uscire”, può ancora essere casa e profezia. Il futuro non appartiene a chi ha più follower ma a chi ha il coraggio di sperare anche quando tutto sembra perduto. Non lasciamoli soli. Apriamo porte, curiamo ferite, raccontiamo con la vita che la Speranza ha un volto. E che quel volto ci sta ancora cercando.
*Sacerdote, Comunità pontificia Nuovi Orizzonti
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