«Vi spiego cos'è la mafia cinese e come vogliamo fermarla»

di Diego Motta Inviato a Prato
Il procuratore di Prato, Tescaroli: è in corso una guerra brutale tra i clan, per questo i primi "pentiti" sono decisivi. Ma vanno protetti, così come i lavoratori sfruttati che denunciano
October 11, 2025
«Vi spiego cos'è la mafia cinese e come vogliamo fermarla»
Il procuratore di Prato, Luca Tescaroli
Per il procuratore di Prato, Luca Tescaroli, la sfida alla mafia cinese è entrata in una fase cruciale. «Fatte le debite proporzioni, questo momento storico mi ricorda l’ascesa dei Corleonesi in Sicilia o quanto avvenne in Campania ai tempi della nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo. Una guerra tra gruppi criminali, in cui il clan avversario va eliminato con violenza». Il riferimento del magistrato, in città dal luglio 2024, è allo scontro alla luce del sole che ormai si consuma nella terza città italiana del Centro-Nord tra clan asiatici rivali. A febbraio tre incendi si sono sviluppati, due a Prato e uno a Campi Bisenzio, contro aziende della logistica riconducibili al cartello di imprese che fa capo al vecchio boss della “mala cinese” Zhang Naizhong e al figlio Zhang Di. Prima dei roghi, si erano verificate aggressioni e delitti finiti nelle “brevi” in cronaca. Eppure «la presenza della mafia cinese nel nostro Paese è un fatto ormai consolidato, riconosciuto da almeno due sentenze passate in giudicato» spiega Tescaroli in questa intervista ad Avvenire. Alle sue spalle, questo magistrato ha inchieste che vanno dalla strage di Capaci a Mafia Capitale e ora, con i colleghi di Prato, sta provando a costruire il volto della nuova Cupola cinese. Un volto così variegato e complesso che, per delinearlo, sono stati necessari i primi pentiti.
Procuratore Tescaroli, partiamo dalle caratteristiche di questa organizzazione criminale. È assimilabile alle organizzazioni mafiose classiche? Dove opera e in che modo?
Due pronunce definitive della Corte di Cassazione del 30 maggio 2001 e della Corte d’Appello di Roma del 30 gennaio 2003 sulla mafia cinese hanno riconosciuto la sussistenza del requisito di mafiosità, cioè la forza di intimidazione che deriva dal vincolo associativo e che produce assoggettamento e omertà. Parliamo in particolare di gruppi di cittadini cinesi impegnati nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, attuata con metodi violenti, fino ai delitti di sangue. Questo è un dato acquisito, visto che le sentenze sono relative ad accadimenti degli anni Novanta, con pronunce della magistratura arrivate all’inizio degli anni Duemila. Concretamente, questo tipo di criminalità organizzata può contare oggi su gruppi operativi in Toscana e nel Lazio, soprattutto a Roma. Ci sono poi filiere in Paesi stranieri come la Francia e la Spagna. Un’organizzazione criminale si è sviluppata attraverso un sistema economico parallelo a quello legale nel settore della produzione di grucce per abiti e in quello collegato dei trasporti e della logistica, con profili di illiceità e transnazionalità. Quanto al paragone con Cosa nostra e la camorra, o anche alle cosiddette mafie nigeriane e albanesi, vanno fatti dei distinguo.
Quali?
Questi gruppi sono pericolosi perché fanno ricorso alla violenza aperta, in controtendenza rispetto ai clan tradizionali, che al contrario sono molto attenti nel non compiere gesti eclatanti per non attirare l’attenzione degli inquirenti, delle istituzioni e dell’opinione pubblica. Per capire in concreto di cosa stiamo parlando, abbiamo visto imprenditori aggrediti fisicamente, tentati omicidi, persone sopravvissute dopo essere state accoltellate ed eviscerate. Siamo di fronte a un’organizzazione brutale nei metodi e che possiamo meglio comprendere grazie al racconto di alcuni collaboratori di giustizia.
Quanti sono i “pentiti” della mafia cinese?
Dai processi celebrati è emerso un primo collaboratore di giustizia. Si tratta di un imprenditore, avvicinato da un’organizzazione criminale concorrente. Gli è stato proposto un accordo commerciale che non ha accettato e per questo è stato messo nel mirino. Lo stesso figlio del boss Zhang Naizhong ha deciso di rivolgersi al nostro ufficio per denunciare. Sono segnali importanti, che spiegano come lo Stato venga considerato affidabile e pronto a reagire contro il malaffare e la violenza. Lo stesso discorso vale anche per il fenomeno dei lavoratori sfruttati: da febbraio di quest’anno sono stati più di 90 i lavoratori cinesi, pachistani, bengalesi e nordafricani che hanno rotto il muro di omertà sulle condizioni in cui operano nei laboratori del tessile e della logistica a conduzione cinese.
È possibile garantire una protezione a chi denuncia violenza e sopraffazione?
Il mio ufficio sta adottando tutte le iniziative necessarie, facendo ricorso a misure ordinarie di tutela in accordo con il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica. Si è agito poi fornendo permessi di soggiorno per ragioni di giustizia, sulla base dell’articolo 18 ter del decreto legislativo n. 286 del 25 luglio 1998. Di certo, si tratta di interventi diversi e molto meno consistenti rispetto a quelli previsti per i collaboratori e i testimoni di giustizia italiani dal decreto legge del 15 gennaio 1991, n. 8, varato dopo l’omicidio di Rosario Livatino del 21 settembre 1990. Per questo, sarebbe necessario a mio parere riuscire a estendere anche agli stranieri le stesse misure di protezione straordinaria e di assistenza previste da quella normativa con le necessarie modifiche che attengono al cambio di generalità per i cittadini stranieri, che potrebbe avvenire solo nel caso in cui lo Stato di origine dia l’autorizzazione. A oggi, infatti, è impossibile offrire un servizio di assistenza allo straniero che collabora che preveda un alloggio alternativo, nomi di copertura, l’inserimento nell’anonimato dei figli nelle scuole, poli fittizi di domicilio, così come l’accesso all’assistenza sanitaria o l’individuazione di un posto di lavoro. Di recente, ho detto di condividere la proposta di istituire anche a Prato una sezione della Dda, la Direzione distrettuale antimafia, che ci consentirebbe di accrescere la capacità di aggressione e strumenti giuridici più efficaci contro il crimine, molto più di quelli di cui disponiamo ora.
A che punto è l’interlocuzione con lo Stato centrale su questi temi?
Abbiamo fatto presente in sede istituzionale queste richieste e le esigenze investigative, che richiedono l’implementazione della presenza della videosorveglianza cittadina e degli organici delle forze dell’ordine, della Procura e del Tribunale. È indispensabile una volontà politica per poter dare delle risposte. Credo si stia riflettendo, soprattutto a partire dal fatto che non siamo di fronte a fenomeni localizzati o a fenomeni criminali che interessano una piccola enclave del territorio nazionale. Siamo dinanzi a plurimi gruppi che operano nel settore del favoreggiamento dell’immigrazione, che fanno arrivare donne da destinare alla prostituzione, e lavoratori da sfruttare. Non solo: alcuni gruppi hanno già dimostrato di collaborare con la ‘ndrangheta, la sacra corona unita e la camorra. Forniscono infatti un servizio-chiave come il pagamento a distanza, senza movimentazione di denaro, di forniture di stupefacenti, con meccanismi di havala (un sistema finanziario di rimesse alternativo ai canali tradizionali, ndr) e facendo ricorso a compensazioni.
Le recenti aggressioni agli operai di Montemurlo in sciopero descrivono anche un clima sociale di tensione nel mondo del lavoro. Ci sono segnali di reazione del contesto cittadino, da parte della società civile? E quanto influisce dentro la comunità il recente commissariamento del Comune di Prato?
Occorre senza dubbio un lavoro di sensibilizzazione da parte delle istituzioni e del mondo dell’informazione, visto che ci troviamo di fronte a gruppi che stanno conquistando spazi crescenti nella vita criminale del Paese. È importante far capire la pericolosità dei soggetti che operano, che sono riusciti a creare un forte presidio in questo territorio. Per il resto, bisogna spingere la città sulla via della consapevolezza: la parte sana dell’imprenditoria locale sta reagendo e noi ci auguriamo possa subentrare nella gestione alle imprese asiatiche che vengono sequestrate, nel segno della legalità. Stiamo lavorando alla sottoscrizione di un protocollo sullo sfruttamento lavorativo che verrà sottoscritto a metà ottobre con enti locali, Asl, prefettura, ispettorato del lavoro, esponenti delle forze dell’ordine per creare meccanismi di sostegno ai soggetti più vulnerabili. Penso, in particolare, alle vittime di sfruttamento lavorativo. Quanto alla politica cittadina, Prato attraversa indubbiamente un delicato momento di passaggio. Credo che questa fase vada sfruttata dalle forze politiche per assicurare un cambio di passo in nome della legalità.

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