Social network solo dai 16 anni in su: cosa ha deciso la Ue
di Giovanni Maria Del Re, Bruxelles
Bruxelles ha approvato una risoluzione che impone la verifica dell’età con un’app e, in alternativa, il consenso dei genitori. La mossa dopo lo stop australiano

Imporre un’età minima di 16 anni per accedere ai Social Network. A chiederlo è una risoluzione (non vincolante) approvata ieri a Strasburgo dal Parlamento Europeo a larghissima maggioranza (483 sì, 92 no e 86 astensioni). Un testo che arriva proprio nel giorno in cui i 27 Stati Ue hanno finalmente trovato un accordo di compromesso, dopo anni di stallo, sulla normativa per contrastare gli abusi di minori e la diffusione di materiale pedopornografico online.
Secondo il Parlamento, il 78% tra i 13 e i 17 anni controlla i propri dispositivi almeno una volta l’ora. Peggio, un minore su quattro fa un uso definito “problematico” o “disfunzionale” dello smartphone. Già in primavera tre Stati membri (Francia, Spagna e Grecia) con un documento informale avevano chiesto l’introduzione di una “maggiore età online” senza precisarla (anche se si suggeriscono i 15 anni). A farlo ci ha pensato il Parlamento Europeo nella sua risoluzione, destinata ad alimentare la discussione nell’Ue: sedici anni, lo dicevamo, come minimo per accedere a social media, piattaforme per la condivisione di video e gli “AI companions” (e cioè interlocutori digitali basati sull’intelligenza artificiale). Il Parlamento prevede però pure la possibilità di un accesso per i minori tra i 13 e i 16 anni purché autorizzati dai genitori. In questo senso, cruciale è il progetto della Commissione di sviluppare una app a livello Ue per la verifica dell’età (il “mini Wallet”). La risoluzione chiede inoltre di vietare le pratiche più dannose che portano a dipendenza, con l’obbligo di disattivare per impostazione predefinita altre funzioni che possono comportare l’assuefazione dei minori (ad esempio lo scorrimento infinito, la riproduzione automatica, clic di ricompensa). Richiesto infine un intervento contro sistemi di raccomandazioni basati sul coinvolgimento di minori, annunci mirati, uso di “influencer” per far presa sui minori.
Ieri, lo dicevamo, va registrato anche l’accordo dei Ventisette sulla normativa contro la pedopornografia online, proposta nel 2022 dalla Commissione Europea ma a lungo in stallo per forti preoccupazioni di vari Stati membri (anzitutto la Germania e l’Italia) sul fronte della privacy. Una legge necessaria, visto che il 3 aprile 2026 scade la deroga, concessa nel 2021, ai servizi di messaggerie online dagli obblighi di protezione dei dati proprio per consentire di individuare casi di abusi sessuali su bambini online. L’Italia si è astenuta, dicendosi contraria a forme di controllo massiccio di chat e dati personali, da parte dello Stato o di privati che sia.
La proposta iniziale della Commissione prevedeva per i servizi di messaggerie, app store e fornitori di accesso all’internet di denunciare alle autorità e rimuovere sistematicamente immagini e video pedopornografici e casi di adescamento online. Gli Stati critici vedevano in questo un concreto rischio di una sorveglianza di massa, parlando di “chat control”, perché in sostanza gli operatori avrebbero dovuto scandagliare costantemente tutto le chat anche crittate. Un obbligo che, in base al compromesso di ieri è saltato. Si estende però la possibilità, su base volontaria, per gli operatori di vagliare la propria rete per individuare casi di abusi sessuali di minori, che sarebbe decaduta dal 3 aprile 2026. Per loro obbligatorio è piuttosto «valutare il rischio che i propri servizi siano utilizzati per la diffusione di materiale di sfruttamento sessuale dei bambini o del loro adescamento». Rischi divisi in tre categorie: alto, medio e basso. Starà poi a loro attuare misure di risposta, ad esempio mettendo a disposizione degli utenti strumenti che facilitino la denuncia o con impostazioni di default a tutela dei bambini. Gli Stati membri, dal canto loro, dovranno designare autorità nazionali per valutare l’azione degli operatori. Prevista, infine, la creazione (in luogo da definire) di un “Centro Ue sugli abusi sessuali dei bambini” che dovrà valutare ed elaborare le segnalazioni degli operatori, condividendole con Europol e polizie nazionali. A questo punto il Consiglio Ue (che rappresenta gli Stati membri) dovrà negoziare con il Parlamento Europeo, che ha già adottato una sua posizione nel 2023, in termini più rigorosi ma con qualche smussatura rispetto alla proposta della Commissione.
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