Pnrr, i conti ancora non tornano: non spesa almeno la metà dei fondi

A 15 mesi dalla conclusione del percorso emergono serie preoccupazioni sul raggiungimento del traguardo: dal rapporto Assonime le risorse sostenute si fermerebbero a 58,6 miliardi
March 2, 2025
Pnrr, i conti ancora non tornano: non spesa almeno la metà dei fondi
Imagoeconomica | Camera, il dossier sui banchi
Due miliardi su tre non sono ancora stati spesi. Passano gli anni, le revisioni, i bandi, le assegnazioni e i convegni, ma il rapporto tra gli investimenti europei del Pnrr e i soldi effettivamente spesi resta sempre quello. Non è ancora chiaro se sia un problema di monitoraggio, di regole o di “macchina”, ma è indubbiamente un problema. In parte creato dalle troppe revisioni. L’ultima, voluta dal governo Meloni avrebbe rallentando lavori per 29,6 miliardi. Il Parlamento elenca le lentezze nel Dossier sull'attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che esamina i risultati finanziari e la programmazione nelle Regioni, le modifiche apportate al PNRR, l'integrazione del piano RepowerEU (la quale ha portato la dotazione complessiva a 194,4 miliardi) e le revisioni tecniche.
Finora, le scadenze sono state formalmente rispettate ma a poco più di 15 mesi dalla conclusione del percorso emergono serie preoccupazioni sia sul raggiungimento del traguardo che sulla ricaduta degli investimenti in termini di crescita. A livello politico, ma anche burocratico, si sta facendo strada la pericolosissima convinzione che alla fine l’Europa ci perdonerà i ritardi, una confidenza d’altri tempi, che si poteva coltivare quando la situazione economico-finanziaria a Bruxelles non era così incerta.
Partiamo da un dato certo: finora, la Commissione Europea ha versato all’Italia sei rate per 122 miliardi (63%) e abbiamo chiesto la settima (18,3 miliardi). Al 30 giugno, risultavano attivati interventi per un valore complessivo di circa 165 miliardi di euro, pari all’85% della dotazione complessiva del Piano; ma “attivati” non significa finiti e neppure pagati. Secondo un rapporto Assonime, l'associazione fra le società per azioni, la spesa effettivamente sostenuta si fermerebbe a 58,6 miliardi, pari al 30% delle risorse a disposizione. Tutto (non) marcia alla stessa velocità: se guardiamo alla spesa del 2024, siamo riusciti a saldare solo il 32% dei 42 miliardi pianificati. Il governo fornisce una stima diversa: «Sulla spesa del Pnrr, siamo al 52% di quanto ricevuto. Va accelerata, ma non dimentichiamo che c'è stata una situazione di programmazione più lunga del previsto. Oggi iniziamo a mettere a terra gli interventi, che si portano dietro la spesa» ha detto Tommaso Foti, ministro per gli Affari europei con la delega al Pnrr.
Spiegare il ritardo non è semplice. Una parte degli interventi non attivati va ricondotta a misure introdotte con la revisione del PNRR (8 dicembre 2023) e altre misure per le quali la fase di selezione dei progetti da finanziare è in via di conclusione. Tuttavia, se si considerano le misure la cui realizzazione richiede una procedura di affidamento, a fronte di un importo totale pari a circa 133 miliardi di euro (dato giugno 2024), gli interventi attivati ammontano a 122 miliardi (92 per cento del totale), mentre quelli a cui risulta associato almeno un bando di gara si attestano a 111 miliardi (91 per cento delle misure attivate).
Sicuramente, il Piano europeo dialoga faticosamente con l’Amministrazione e il sistema di rendicontazione Regis che dovrebbe guidarne l’avanzamento è stato attivato senza una sperimentazione, mostrando subito dei limiti. L’Associazione Costruttori (Ance), cioè coloro che devono realizzare gran parte dei lavori finanziati dal Pnrr e prendere quei soldi, parla di «criticità della piattaforma ReGiS - disallineamenti nelle informazioni, ritardi nella registrazione delle operazioni - che, se da un lato rischiano di sottostimare i risultati raggiunti, dall’altro includono nella spesa anche le anticipazioni finanziarie, ovvero investimenti non ancora realizzati». Tra l’altro, sfuggirebbero ancora al monitoraggio della spesa i dati relativi a gran parte delle risorse destinate alle regioni del Mezzogiorno.
In questo quadro, che appare ancora lontano dal raggiungimento dell’obiettivo finale nonostante il conseguimento dei milestone e target, le costruzioni si distinguono per una buona capacità di spesa rispetto alle altre misure del Piano. Il 54% della spesa sostenuta al 31 ottobre 2024, pari a 31,9 miliardi, è riconducibile a investimenti di interesse per il settore delle costruzioni. Positivo, ma insufficiente. Al netto del Superbonus, delle 75 linee di maggiore interesse per il settore delle costruzioni, finanziate da 86 miliardi di euro di risorse europee del Dispositivo di ripresa e resilienza, il 43%, corrispondente a circa 15 miliardi, ha raggiunto una spesa inferiore al 10%, e tra queste, 15 linee hanno un avanzamento nullo (0%). Dati della stessa Ance. Tra le linee di investimento per le quali non risulta ancora nessun dato sulla spesa figurano le misure introdotte con la revisione del Piano, come gli investimenti relativi al Repower EU della Missione 7, ma anche i fondi per la riduzione del rischio idrogeologico in Emilia-Romagna, Toscana e Marche previsti dopo gli eventi alluvionali di maggio 2023. Solo 4 linee hanno speso più della metà dei fondi, tra queste gli investimenti già in corso di realizzazione sulle linee ferroviarie AV/AC Brescia-Verona-Vicenza-Padova, Napoli-Bari e Liguria – Alpi (Terzo Valico dei Giovi) e gli investimenti inerenti Scuola 4.0. I costruttori ammettono che il Piano ha portato una ventata di lavori nelle opere pubbliche e che c’è stata un’accelerazione nella seconda parte del 2024. «A circa un anno e mezzo dalla fine del Piano – leggiamo in un report sui dati del 31 ottobre 2024 -, al netto dei 14 miliardi destinati al Superbonus, è stato speso e rendicontato il 51% dei circa 22 miliardi previsti per quelli in essere, ovvero già in corso che sono stati integrati nel Piano; il 13% dei 50 miliardi di fondi europei destinati a nuovi investimenti pubblici».
Del resto, un’analisi di dettaglio come quella di Assonime dimostra che è un Piano a diverse velocità. Se consideriamo le “missioni” in cui è diviso, al 13 dicembre 2024 la spesa delle “Infrastrutture per una mobilità sostenibile” registra il tasso di avanzamento più elevato rispetto al cronoprogramma 2020-2024, con l’86% delle risorse già erogate (91% per gli investimenti nelle reti ferroviarie e sicurezza stradale), ma anche qui la spesa effettiva resta inferiore al 40% delle risorse assegnate. Avanzano gli interventi per “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura” (71%) e “Rivoluzione verde e transizione ecologica” (69%): a trainare sono gli investimenti nella digitalizzazione del sistema produttivo (77%) e e nell’efficienza energetica (97%). Tuttavia, escludendo gli interventi relativi ai crediti d’imposta (Transizione 4.0 e Superbonus), il tasso di avanzamento scende a 42% e 36%. Agli occhi dell’Europa stiamo andando bene nelle missioni che riguardano ricerca e salute, con tassi di avanzamento superiori al 60%, ma la spesa effettiva si attesta rispettivamente al 25% e al 15% delle risorse disponibili. Per non dire degli interventi di "Inclusione e coesione": 29% rispetto al cronoprogramma e 12% di spesa reale. «Nulla è stato ancora rendicontato a spesa nell’ambito dei progetti della nuova Missione 7 su RepowerEU inserita dopo l’ultima revisione del PNRR, dove si ha contezza di molti ostacoli all’utilizzo del nuovo credito di imposta Transizione 5.0, misura sulla quale cui si stimano prenotazioni di risorse per circa €500 milioni, a fronte di uno stanziamento PNRR dell’ordine dei €6 miliardi» osservano in Assonime. Insomma, è facile spendere quando si tratta di incentivi fiscali, molto meno quando si parla della realizzazione di lavori pubblici (21% del budget).
Che il Piano dialogasse con difficoltà con gli uffici ministeriali era previsto: per una serie di misure la pianificazione operativa delle risorse finanziarie, ossia l’assegnazione delle risorse, deve passare attraverso bandi, e per altre si sono realizzate riduzioni in sede di assegnazione che daranno pure luogo ad economie di spesa ma complicano le cose. Insomma, molti interventi, non potendo saltare a pié pari la normativa vigente, hanno messo in tensione una macchina amministrativa pre-Pnrr. Il Mef ha tentato di mettere una pezza a questi problemi con il decreto del 6 dicembre che impone all’amministrazione centrale di erogare sollecitamente fino al 90% dei pagamenti, ma alcuni ministeri, come l’istruzione e i lavori pubblici, lo interpreterebbero restrittivamente e basta che anche una sola richiesta di integrazione della pratica sia pendente che i cordoni della borsa si chiudono.
Paradigmatico, il caso degli asili nido. Finora, sarebbe stato utilizzato il 25,2% di risorse. La fonte è l'Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), che ha denunciato la difficoltà di assegnare le risorse («sono state necessarie più procedure di assegnazione dei fondi per esaurire tutte le risorse disponibili»): sono stati approvati 3.199 progetti per 3,24 miliardi di investimento ma di 1,7 che dovevano esser spesi entro il 2024 ne risultano utilizzati circa la metà (816,7 milioni). Solo circa il 3 per cento dei progetti è concluso.
Al momento, la deadline della sfida resta il giugno 2026 e anche se il ministro dell’economia ha annunciato all’assemblea dell’Anci una richiesta italiana di proroga - «spero che venga soddisfatta» dichiarava Giorgetti in novembre – non si sta puntando seriamente ai tempi supplementari. Forse perché, quand’anche la riprogrammazione annunciata in seguito dal Ministro Foti per febbraio dovesse andare in quella direzione, le misure dovrebbero comunque essere completate entro il 2026 e alle amministrazioni veramente ritardatarie non basterebbero sei mesi. Lo stesso Foti ha dichiarato sull'ipotesi di un rinvio della scadenza, che «la Commissione europea ha un report in tempo reale su come va la spesa e come si stanno raggiungendo gli obiettivi. Penso farà una valutazione, mi auguro non necessiti di istanze di parte». In casa Anci, nessuno chiede questa proroga e, dopo aver perso una decina di miliardi di investimenti con la revisione (peraltro recuperati con risorse nazionali), si denuncia uno scollamento tra andamento degli investimenti ed erogazione dei contributi: se si considera che una parte importante degli investimenti è stata sostenuta con anticipazioni prese dalle casse comunali e quindi “non risulta” ai controlli Regis. Anche con l'impulso delle assegnazioni PNRR, 40 miliardi ridotti a 30 con la revisione, i comuni hanno speso 16 miliardi già nel 2023 (11 l’anno prima) e oltre 19 lo scorso anno: negli uffici Ifel si stima, insomma, che la spesa abbia già superato il 50%. Questi disallineamenti dovrebbero chiarirsi nel corso dell’anno, risolvendo anche il groviglio creato dai controlli sulle piccole e medie opere (6 miliardi). Non sembrano di facile soluzione, al contrario alcuni piani di rigenerazione urbana, approvati con eccessiva confidenza e rimasti al palo.
Per sbrogliare la matassa, il governo sta studiando un "veicolo" finanziario dedicato, uno strumento che consentirebbe di trasferire le risorse non ancora spese in un fondo separato, permettendone l’utilizzo oltre la scadenza del 30 giugno 2026, secondo un approccio già applicato con successo in paesi come la Spagna e la Grecia. L’Italia ha finora destinato 11,8 miliardi di euro a questa tipologia di veicolo finanziario, che permetterebbe lo snellimento della spesa. Potrebbe avere l’effetto opposto, peraltro, la richiesta di revisione che il Governo si accinge a proporre alle istituzioni europee, la quinta del piano in due anni, a pochi mesi dall’approvazione da parte del Consiglio dell’Ue (novembre 2024) dell’ultima modifica del PNRR. Finora, le modifiche hanno condotto a uno spostamento generalizzato della spesa negli ultimi anni del Piano, diffondendo incertezza tra i soggetti attuatori. Secondo l’ufficio parlamentare di bilancio, l’ultima ha ritardato la pubblicazione dei bandi e il loro affidamento rallentando l’esecuzione dei progetti del 14,2%. Assonime è seriamente preoccupata per le conseguenze economiche di questi ritardi: le valutazioni dell’impatto del piano sul Pil sono già state riviste al ribasso, passando dal +3,4 al +2,9%.

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