«Perché tanta violenza?». E ai funerali spunta uno striscione contro Gomorra
Folla per le esequie dei tre ragazzi uccisi. L'arcivescovo Isacchi: grave situazione sociale, serve una radicale inversione di marcia. Sui balconi scritte contro le serie tv

Un lungo applauso ha accolto le tre bare bianche di Salvatore Turdo, Massimo Pirozzo e Andrea Miceli - i tre ragazzi uccisi nella sparatoria avvenuta a Monreale nella notte di sabato 26 aprile - al loro arrivo nella piazza davanti al Duomo. Entrando in cattedrale, i tre feretri sono stati poi avvolti dal silenzioso dolore di parenti e amici. Per consentire alla folla di seguire la cerimonia sono stati allestiti all'esterno due maxischermi: tutta la cittadina palermitana si è fermata per rendere l'ultimo omaggio ai tre giovani.
«Essere qui, davanti ai corpi senza vita di Andrea, Salvatore e Massimo, ci pone brutalmente di fronte alla gravità della situazione sociale nella quale siamo immersi» ha riflettuto durante l'omelia l'arcivescovo Gualtiero Isacchi. Una situazione, secondo Isacchi, «caratterizzata troppo spesso dalla violenza: non sappiamo più parlare, dobbiamo urlare; non sappiamo più dialogare, dobbiamo inveire; non sappiamo ascoltare, dobbiamo imporci. Da qui, agli atti di violenza fisica e di morte il passo è veramente breve come ci mostra la cronaca quotidiana. Pare che nessun luogo o comunità possa essere immune da un tale contagio di violenza».
«Dobbiamo compiere una decisa e radicale inversione di marcia. Ma da dove partire? - si è chiesto l'arcivescovo - Le morti di Andrea, Salvatore e Massimo ci interrogano: perché tanta ingiustizia? Perché tanta violenza?».
Poi si è rivolto alle famiglie, schiantate dal dolore. «Care mamme Antonella, Giusi e Debora; cari papà Mario, Giacomo ed Enzo; cari Claudia, Marco, Giusi, Giuseppe, Ignazio, Sabrina, Marika e Gabriel Ignazio; cari nonni, famigliari tutti, insieme con voi piange tutta Monreale. Piangono, pure, tanti uomini e donne - genitori, figli, educatori - che da tutta Italia hanno fatto giungere il cordoglio e la partecipazione al nostro dolore e alla nostra preghiera».
«Il perdono è un'azione potente che taglia la strada all'ingiustizia - ha sottolineato Isacchi -, spezza la catena della violenza e offre la possibilità, a tutte le vittime del sistema violento, di convertirsi e di riprendere in mano la propria esistenza».
«Dobbiamo compiere una decisa e radicale inversione di marcia. Ma da dove partire? - si è chiesto l'arcivescovo - Le morti di Andrea, Salvatore e Massimo ci interrogano: perché tanta ingiustizia? Perché tanta violenza?».
Poi si è rivolto alle famiglie, schiantate dal dolore. «Care mamme Antonella, Giusi e Debora; cari papà Mario, Giacomo ed Enzo; cari Claudia, Marco, Giusi, Giuseppe, Ignazio, Sabrina, Marika e Gabriel Ignazio; cari nonni, famigliari tutti, insieme con voi piange tutta Monreale. Piangono, pure, tanti uomini e donne - genitori, figli, educatori - che da tutta Italia hanno fatto giungere il cordoglio e la partecipazione al nostro dolore e alla nostra preghiera».
«Il perdono è un'azione potente che taglia la strada all'ingiustizia - ha sottolineato Isacchi -, spezza la catena della violenza e offre la possibilità, a tutte le vittime del sistema violento, di convertirsi e di riprendere in mano la propria esistenza».
Dopo il rito funebre, all'uscita delle tre salme, alcune colombe sono state fatte levare in volo, accompagnate da centinaia di palloncini. Commozione, ma anche rabbia e stanchezza, anche per il racconto stantio e a tratti fuorviante di quanto avviene nel Sud martoriato dalla criminalità e dalla violenza di strada. «Basta con Gomorra e Mare Fuori - Qui si muore davvero» recitava uno striscione esposto su un balcone. Perché una volta spenti i clamori della cronaca, tutto torna sempre come prima. Lasciando solo chi rimane. «Nessuna mamma deve vivere quello che stiamo passando noi: Massimo era beddu come u suli (era bello come il sole, ndr). Era una persona altruista e buona e felice. Masino era di tutti».
Intanto si stringe il cerchio attorno ai complici di Salvatore Calvaruso, il 19enne del quartiere Zen di Palermo accusato di strage per il triplice omicidio di Monreale. Quella sera a sparare non sarebbe stato solo lui, ma almeno un altro giovane «alto circa 1,90 m e con la barba e i capelli scuri». A fare questa descrizione sono diversi testimoni della strage: le forze dell'ordine sono al lavoro per dare nome e cognome all'identikit.
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