Perché il referendum sulla cittadinanza è la sfida di una generazione

Come sta andando la campagna elettorale in vista della consultazione dell'8-9 giugno? Rispondono le reti degli stranieri nati e cresciuti in Italia: i giovani escono dalla bolla e vogliono parteci
May 28, 2025
Il prossimo referendum sulla cittadinanza sarà soprattutto una sfida generazionale. C’è un modo più di altri in questo momento per farsi sentire, da parte di chi si crede ai margini della politica e delle istituzioni: partecipare. Il quorum che i 20-30enni d’Italia vogliono raggiungere il prossimo 8 e 9 giugno è quello relativo innanzitutto alla loro affluenza alle urne. E per i promotori della consultazione che punta a dimezzare i tempi di residenza legale necessari per ottenere la cittadinanza, la speranza di alzare l’asticella è affidata a un target di elettori inedito: studenti, universitari, neolaureati, precari, attivisti. Sono persone che spesso si astengono, a volte si (auto)isolano dal dibattito, in minoranza protestano. Questa volta possono essere protagonisti.
«Stiamo assistendo a una mobilitazione dal basso che ci dà molta speranza» sottolinea Daniela Ionita, portavoce di Italiani senza cittadinanza. «Lo vediamo nelle scuole, dove tanti diciottenni ci hanno detto che saranno ai seggi per la prima volta, tra i fuorisede, che si sono già prenotati a migliaia soprattutto a Milano e a Roma, e anche nel voto all’estero, in cui siamo presenti con i nostri comitati e verso cui stiamo riscuotendo molta attenzione. Anche il porta a porta sta funzionando molto bene». La campagna elettorale invisibile, perché sostanzialmente trascurata dai grandi mezzi di comunicazione a partire dal servizio pubblico, si è già trasferita su piattaforme alternative. Per far conoscere le ragioni dei promotori del quesito, per creare mobilitazione, per arrivare dove televisione e giornali non arrivano.
Così stanno fiorendo iniziative sul territorio, in particolare nelle grandi città, per sostenere quel che la maggior parte degli under 30 e under 40 d’Italia considera una battaglia sacrosanta: informare il più possibile la gente che l’8 e il 9 giugno si vota e convincerli ad andare ai seggi. È la rete delle associazioni di stranieri di seconda e terza generazione il motore propulsivo. Giornate intere di volantinaggio e incontri, che si tratti del Concertone del Primo Maggio, del Salone del libro di Torino o dei cortei del 25 Aprile. «Abbiamo creato i caffè della cittadinanza: ci si incontra all’aperto o nei bar e si discute di questi temi. Ne abbiamo a centinaia sul territorio. Ci si trova anche a cena, per una pizza o per una zuppa. L’obiettivo è far uscire tanti giovanissimi dalla loro bolla, spesso virtuale» racconta Fioralba Duma, nata a Scutari, in Albania, militante storica sui temi dell’integrazione e della cittadinanza per gli stranieri nel nostro Paese. Noura Ghazoui invece guida il Conngi, il Coordinamento nazionale nuove generazioni italiane, che ha raccolto 40 sigle diverse rappresentanti di altrettante comunità straniere presenti nel nostro Paese, e crede che il referendum per la cittadinanza sia «una battaglia di dignità, di giustizia, di coerenza democratica. Il nostro è un appello a riconoscere ciò che l’Italia è già diventata: un Paese fatto di tante storie, radici e appartenenze».
La presenza nelle piazze è più facile laddove il tema è vissuto e condiviso: periferie delle grandi città dove si sono insediate comunità di stranieri, istituti scolastici in cui la presenza di ragazzi con background migratorio è la norma e non l’eccezione.
Sono stati questi, in fondo, anche i laboratori del referendum, gli spazi di democrazia in cui questi temi sono stati vissuti prima che diventassero un tema da inserire nell’agenda del Paese.
L’altro sforzo che è stato fatto è proprio quello di unirsi, mettendo da parte la tendenza alla frammentazione. «C’è un comitato per il sì, il nostro, che ha raccolto esperienze diverse. Ma non esiste un comitato per il no» fa notare Daniela Ionita, ricordando come a livello politico pochi partiti si siano detti contrari apertamente alla consultazione, spingendo invece più sommessamente l’opinione pubblica a disperdersi nell’astensione.
Un recente sondaggio di Ipsos ha confermato che il traguardo del quorum resta lontano, ipotizzando una forchetta di partecipazione tra il 32% e il 38%. Si tratterebbe comunque di un livello non banale di affluenza alle urne, per quanto non sufficiente. Quota 13-15 milioni di italiani alle urne è un obiettivo realistico, è il ragionamento che si fa anche tra i promotori, anche se non si esclude affatto l’effetto del voto “last minute”, magari spinto da testimonial dell’ultim’ora, com’era accaduto a settembre per la raccolta delle firme. Allora l’impegno diretto di figure care ai giovani come Ghali e Zerocalcare aveva spostato numeri importanti. Proprio il fatto che la consultazione sulla cittadinanza sia considerata la più divisiva sulla carta è un motivo in più per recarsi ai seggi, secondo le associazioni.
La cittadinanza ai ragazzi migranti nati e cresciuti in Italia non divide soltanto i partiti tra chi è a favore del sì e chi del no o dell’astensione: centrosinistra, grosso modo, i primi, centrodestra i secondi. È sufficiente monitorare i social network per comprendere quanto l’argomento della naturalizzazione polarizzi tra favorevoli e contrari. Forse per questo, la società civile sta puntando nelle ultime settimane sul ruolo simbolo dei bambini. Nell’ultimo fine settimana migliaia di loro, nelle piazze, hanno disegnato e colorato insieme la bandiera del referendum sulla cittadinanza. Un gesto semplice ma potente, capace di esprimere un messaggio chiaro: il futuro dell’Italia passa dal riconoscimento dei propri figli, a prescindere dalle loro origini.

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