Perché a Monte Sole la Resistenza parla ancora. Soprattutto ai ragazzi
di Redazione
Viaggio nei luoghi dell'eccidio, nei giorni dell'80esimo anniversario della Liberazione. La sindaca di Marzabotto, Cuppi: i ragazzi che vengono in visita qui sono i nostri ambasciatori della memor

È un silenzio che parla quello di Monte Sole, immerso nell’umidità e nella foschia dopo giorni di pioggia. È il silenzio di chi non ha potuto gridare, di chi nemmeno si è accorto, di chi ha visto e non è mai riuscito a spiegare. C’è ancora silenzio a Monte Sole, oggi che si avvicinano gli 80 anni dalla Liberazione e che quei “muti testimoni” non ci sono quasi più.
Morirono 770 persone tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, nell’area compresa tra i Comuni di Marzabotto, Monzuno e Grizzana Morandi: oltre 200 avevano meno di 13 anni. Nella scuola di pace sorta nel 2002 in quegli stessi luoghi, oggi arrivano intere scolaresche, gruppi giovanili, associazioni laiche e cattoliche che cercano di capire perché. Perché la guerra, perché l’odio, perché i bambini e le donne. Perché queste vie, queste case diroccate siano state teatro della peggior strage di guerra mai avvenuta in Europa durante la Seconda Guerra mondiale per mano nazifascista.
«Qui la Resistenza è una scelta quotidiana, che si cerca di trasmettere a chi viene in visita». Secondo Elena Monicelli e Stefano Merzi, che coordinano i laboratori con ragazzi, «occorre mettersi nei panni delle vittime e anche dei criminali per provare a capire. È molto complicato, certo. Noi chiediamo di farlo, ben sapendo che la fascinazione per la violenza senza senso esiste ancora oggi».
Per capire cosa pensano le nuove generazioni, è necessario seguirle mentre affollano il Centro di Interpretazione a Marzabotto, a valle.
Davanti al video con le storie dei sopravvissuti e dei partigiani, una ragazza ascolta con le lacrime agli occhi, due compagni accompagnano con uno sguardo di approvazione le parole di un combattente della Brigata Stella Rossa. Pochi metri più in là, all’interno del Sacrario dedicato alle vittime, altri ragazzi si fanno un selfie.
Cos’è stata dunque la Resistenza per questi ragazzi? La prova che la memoria è necessaria, la voce di un testimone straordinario, un semplice file video da archiviare nel cellulare dopo una gita? Cosa conoscono e come vivranno questo anniversario? Di sicuro, a Marzabotto la Resistenza al nemico è stata silenziosamente un fatto di popolo, visto che ha coinvolto contadini, operai, famiglie intere. Eppure non mancarono le divisioni e i collaborazionisti. «Ci sono cose che non si possono esprimere» dicono i superstiti nelle immagini di qualche anno fa. «Sono sempre lì a sognare quel che è successo allora, da non credere» ripetono. Poi, certo, tra i testimoni che parlano nei video proiettati al Centro di Interpretazione, ci sono i più combattivi, i partigiani che agli ordini del capitano Mario Musolesi, nome di battaglia Lupo, imbracciarono senza esitare le armi e fecero azioni di sabotaggio contro i nazifascisti lungo la Linea Gotica. E ci sono gli altri: quelli che tentarono di spiegare i piani di guerra, quelli che diedero da mangiare ai giovani delle montagne, quelli che trovarono loro una sistemazione, quelli che piansero e piangono ancora oggi, quelli che si sfogavano in dialetto… «Vedere i tedeschi che erano diventati i padroni dell'Italia era insopportabile per me».
Chi scommette intanto su questi giovani in pellegrinaggio laico verso Marzabotto e Monte Sole è certamente la sindaca Valentina Cuppi. «Vengono in migliaia in visita, ogni anno. Noi cominciamo con l’educazione alla pace già dalle scuole dell’infanzia, poi alle elementari. Quando si è piccoli si fanno attività e laboratori legati alle età, poi si passa al racconto di quei giorni terribili. Sono i ragazzi i nostri ambasciatori della memoria, i nostri artigiani di pace». Solo così si riesce a condividere quello che la prima cittadina chiama «il peso del lutto, che abbiamo in comune con altre città martiri, come Srebrenica e Sarajevo, dove andremo nei prossimi mesi. La loro presenza, il loro impegno è un inno alla vita in un luogo di morte. Ho più fiducia in loro che nella generazione degli adulti». Sulla facciata del Comune è stampato l’articolo 11 della Costituzione, quello in cui si dice che l’Italia ripudia la guerra.
Il cammino di riconciliazione è stato lunghissimo, faticoso, a volte penoso. Anche per chi aveva solo un parente. Non si voleva parlare dell’indicibile. «Poi a un certo punto, è scattata la voglia di mettersi insieme, di stare insieme» spiega Gian Luca Luccarini, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime. «A noi interessavano verità e giustizia, per questo è stato importante che oltre agli storici abbiano parlato anche i giudici». Il riferimento non è tanto al processo Reder, dal nome del maggiore condannato all’ergastolo per i massacri perpetrati lungo la Linea Gotica. Il riferimento è al processo di La Spezia, dove a giudizio nel 2006 finirono 17 tra ufficiali e sottufficiali delle Ss, dopo la scoperta e l’apertura del cosiddetto “armadio della vergogna”, nel quale erano contenuti fascicoli d’inchiesta riguardanti il periodo della seconda guerra mondiale.
Monte Sole non è stata una rappresaglia. È stato l’annientamento sistematico di tutti, in particolare donne e bambini. «Siamo andati a parlare nelle scuole della Germania e i ragazzi tedeschi non conoscevano quello che era successo» continua Luccarini. «Per questo, è stato importante il percorso di riconciliazione tra i nostri Stati: perché la vendetta non porta da nessuna parte».
Si avverte in queste parole, la stessa urgenza che avevano sopravvissuti e partigiani nei loro ultimi discorsi. È l’esigenza di chi vuole mettere in guardia dal pericolo della guerra, perché chi ne parla adesso nei palazzi del potere e alla televisione, semplicemente non sa di cosa parla. «La legge della guerra è brutale: o vivi o muori – spiegavano i partigiani -. Si distrugge tutto, anche la coscienza. E poi non si risolve niente, ti vien solo dell’odio…» Per questo, nei giorni della Liberazione, il dibattito sul riarmo europeo qui appare una cosa lunare. «Credete che, se anche avessero avuto più fucili e mitragliatrici a disposizione, avremmo potuto resistere di più?» dicono i familiari delle vittime, che ribadiscono il valore imprescindibile della non violenza e del disarmo. Per gli educatori di Monte Sole, questo vuol dire «non accettare innanzitutto che il campo da gioco sia proprio quello deciso dalla politica e dall’industria della difesa. La Resistenza non è una lezione di storia, ma è vita e memoria vissuta. Non è stata una fine, ma un inizio. Ci ha indicato che il progetto per cui vivere era la Costituzione, che afferma i valori della democrazia, dell’uguaglianza, della giustizia sociale, della parità».
Morirono 770 persone tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, nell’area compresa tra i Comuni di Marzabotto, Monzuno e Grizzana Morandi: oltre 200 avevano meno di 13 anni. Nella scuola di pace sorta nel 2002 in quegli stessi luoghi, oggi arrivano intere scolaresche, gruppi giovanili, associazioni laiche e cattoliche che cercano di capire perché. Perché la guerra, perché l’odio, perché i bambini e le donne. Perché queste vie, queste case diroccate siano state teatro della peggior strage di guerra mai avvenuta in Europa durante la Seconda Guerra mondiale per mano nazifascista.
«Qui la Resistenza è una scelta quotidiana, che si cerca di trasmettere a chi viene in visita». Secondo Elena Monicelli e Stefano Merzi, che coordinano i laboratori con ragazzi, «occorre mettersi nei panni delle vittime e anche dei criminali per provare a capire. È molto complicato, certo. Noi chiediamo di farlo, ben sapendo che la fascinazione per la violenza senza senso esiste ancora oggi».
Per capire cosa pensano le nuove generazioni, è necessario seguirle mentre affollano il Centro di Interpretazione a Marzabotto, a valle.
Davanti al video con le storie dei sopravvissuti e dei partigiani, una ragazza ascolta con le lacrime agli occhi, due compagni accompagnano con uno sguardo di approvazione le parole di un combattente della Brigata Stella Rossa. Pochi metri più in là, all’interno del Sacrario dedicato alle vittime, altri ragazzi si fanno un selfie.
Cos’è stata dunque la Resistenza per questi ragazzi? La prova che la memoria è necessaria, la voce di un testimone straordinario, un semplice file video da archiviare nel cellulare dopo una gita? Cosa conoscono e come vivranno questo anniversario? Di sicuro, a Marzabotto la Resistenza al nemico è stata silenziosamente un fatto di popolo, visto che ha coinvolto contadini, operai, famiglie intere. Eppure non mancarono le divisioni e i collaborazionisti. «Ci sono cose che non si possono esprimere» dicono i superstiti nelle immagini di qualche anno fa. «Sono sempre lì a sognare quel che è successo allora, da non credere» ripetono. Poi, certo, tra i testimoni che parlano nei video proiettati al Centro di Interpretazione, ci sono i più combattivi, i partigiani che agli ordini del capitano Mario Musolesi, nome di battaglia Lupo, imbracciarono senza esitare le armi e fecero azioni di sabotaggio contro i nazifascisti lungo la Linea Gotica. E ci sono gli altri: quelli che tentarono di spiegare i piani di guerra, quelli che diedero da mangiare ai giovani delle montagne, quelli che trovarono loro una sistemazione, quelli che piansero e piangono ancora oggi, quelli che si sfogavano in dialetto… «Vedere i tedeschi che erano diventati i padroni dell'Italia era insopportabile per me».
Chi scommette intanto su questi giovani in pellegrinaggio laico verso Marzabotto e Monte Sole è certamente la sindaca Valentina Cuppi. «Vengono in migliaia in visita, ogni anno. Noi cominciamo con l’educazione alla pace già dalle scuole dell’infanzia, poi alle elementari. Quando si è piccoli si fanno attività e laboratori legati alle età, poi si passa al racconto di quei giorni terribili. Sono i ragazzi i nostri ambasciatori della memoria, i nostri artigiani di pace». Solo così si riesce a condividere quello che la prima cittadina chiama «il peso del lutto, che abbiamo in comune con altre città martiri, come Srebrenica e Sarajevo, dove andremo nei prossimi mesi. La loro presenza, il loro impegno è un inno alla vita in un luogo di morte. Ho più fiducia in loro che nella generazione degli adulti». Sulla facciata del Comune è stampato l’articolo 11 della Costituzione, quello in cui si dice che l’Italia ripudia la guerra.
Il cammino di riconciliazione è stato lunghissimo, faticoso, a volte penoso. Anche per chi aveva solo un parente. Non si voleva parlare dell’indicibile. «Poi a un certo punto, è scattata la voglia di mettersi insieme, di stare insieme» spiega Gian Luca Luccarini, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime. «A noi interessavano verità e giustizia, per questo è stato importante che oltre agli storici abbiano parlato anche i giudici». Il riferimento non è tanto al processo Reder, dal nome del maggiore condannato all’ergastolo per i massacri perpetrati lungo la Linea Gotica. Il riferimento è al processo di La Spezia, dove a giudizio nel 2006 finirono 17 tra ufficiali e sottufficiali delle Ss, dopo la scoperta e l’apertura del cosiddetto “armadio della vergogna”, nel quale erano contenuti fascicoli d’inchiesta riguardanti il periodo della seconda guerra mondiale.
Monte Sole non è stata una rappresaglia. È stato l’annientamento sistematico di tutti, in particolare donne e bambini. «Siamo andati a parlare nelle scuole della Germania e i ragazzi tedeschi non conoscevano quello che era successo» continua Luccarini. «Per questo, è stato importante il percorso di riconciliazione tra i nostri Stati: perché la vendetta non porta da nessuna parte».
Si avverte in queste parole, la stessa urgenza che avevano sopravvissuti e partigiani nei loro ultimi discorsi. È l’esigenza di chi vuole mettere in guardia dal pericolo della guerra, perché chi ne parla adesso nei palazzi del potere e alla televisione, semplicemente non sa di cosa parla. «La legge della guerra è brutale: o vivi o muori – spiegavano i partigiani -. Si distrugge tutto, anche la coscienza. E poi non si risolve niente, ti vien solo dell’odio…» Per questo, nei giorni della Liberazione, il dibattito sul riarmo europeo qui appare una cosa lunare. «Credete che, se anche avessero avuto più fucili e mitragliatrici a disposizione, avremmo potuto resistere di più?» dicono i familiari delle vittime, che ribadiscono il valore imprescindibile della non violenza e del disarmo. Per gli educatori di Monte Sole, questo vuol dire «non accettare innanzitutto che il campo da gioco sia proprio quello deciso dalla politica e dall’industria della difesa. La Resistenza non è una lezione di storia, ma è vita e memoria vissuta. Non è stata una fine, ma un inizio. Ci ha indicato che il progetto per cui vivere era la Costituzione, che afferma i valori della democrazia, dell’uguaglianza, della giustizia sociale, della parità».
Valori che oggi sono tornati in discussione. Secondo la sindaca Cuppi, «siamo e restiamo un Paese fondato sull’antifascismo. Il fascismo non va condannato solo per le leggi razziali e per l’alleanza con il nazismo, ma anche per quello che ha rappresentato in precedenza e sin dal suo avvento. Mi preoccupa il ritorno al mito dell’italianità, a una concezione dei diritti per cui prima ci sono gli italiani. Mia nonna scappò dai tedeschi attraversando il fiume, poi visse a Firenze per qualche tempo. Vedeva l’orrore arrivare e fu costretta a fuggire. Era lontana da casa, ma non si sentì mai straniera». Adesso il ricordo è nelle gambe e nei cuori di questi ragazzi, che scelgono la quiete e il silenzio di Monte Sole e Marzabotto per non dimenticare.
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