Paola e i ragazzi rinati dopo la droga: «Raccontiamo al Papa le nostre storie»
Oltre 3mila tra giovani, familiari e operatori dei servizi da Leone XIV in occasione della Giornata mondiale contro la droga: «Usciamo dall’invisibilità. Al centro di ogni percorso sempre la perso

Cantava e suonava, Paola, col suo sorriso contagioso e il sogno di girare l’Italia dalla sua Genova. Le giornate sui libri, la passione per la danza, l’oratorio, finché a 18 anni col primo amore vero ha incontrato anche la cocaina, che lui consumava abitualmente. «All’inizio ero convinta di poterla gestire come volevo, di poter smettere in qualsiasi momento. Invece mi trovai ogni giorno più dipendente. In poco tempo persi tutte le mie passioni: ai miei genitori dicevo che era perché avevo troppo da studiare, in fondo avevo sempre avuto la media dell’8, ma quando abbandonai la scuola capirono che il mio problema non era quello. Lasciai la quinta superiore a soli tre mesi dagli scrutini finali. Non mi interessava più nulla, convinta d’essere felice, quando invece oggi so che mi stavo perdendo tutto quello che di bello avevo attorno».
La storia è solo all’inizio, Paola la racconta emozionata nel Cortile di San Damaso, a un passo dal colonnato di San Pietro, davanti a Papa Leone XIV e a 3mila tra ragazzi come lei, genitori, familiari, operatori dei servizi e delle comunità di recupero italiane. Tutti accolti – insieme, pubblico e privato, associazioni cattoliche e laiche, per una prima quasi assoluta nella storia recente – in udienza dal Pontefice, in occasione della Giornata mondiale contro la droga. «Ricordo solo di essere in stazione, strafatta, e all’improvviso eccomi su un letto del Pronto soccorso con mamma e papà distrutti attorno. Fu in quel momento che i miei mi misero di fronte all’ipotesi di entrare in comunità. Mi sono così affidata, un po’ per paura, un po’ per stanchezza, senza sapere bene a cosa andavo incontro». Destinazione San Patrignano, sulle colline di Rimini, dove Paola sta imparando a conoscere le sue debolezze e ad affrontarle: «Qui sono tornata in contatto con le mie emozioni, quelle che avevo sempre anestetizzato con le droghe. Ho in testa ancora la prima volta che sono tornata a farmi una bella risata: prima ho riso, poi mi sono sciolta in un pianto disperato ricordando che era un anno e mezzo che non lo facevo. In comunità ho ritrovato la mia passione per lo studio, il prossimo anno mi aspetta la maturità. Sto tornando a voler bene a me stessa».

Quello che sembra scontato, quel che dagli anni Ottanta – quando l’Italia ha imparato il significato del termine “comunità di recupero per tossicodipendenti” – viene considerato un diritto acquisito, quasi che sia normale e dovuto un posto in cui “consegnare” i giovani distrutti dalla droga e ritirarli improvvisamente guariti, è in realtà una specie di miracolo che si ripete dalle 10 alle 15mila volte ogni anno nonostante la cronica mancanza di fondi, l’indifferenza sociale e spesso anche istituzionale e l’inadeguatezza normativa d’un Paese fermo a trent’anni fa sul tema delle dipendenze: tanti sono gli utenti dei servizi, cioè le persone alle prese con qualche dipendenza che chiedono aiuto e lo trovano, come Paola. «Spesso scherzo dicendo che il nostro mondo è quello della Cenerentola dei servizi – spiega il presidente della Federazione italiana delle comunità terapeutiche (Fict), Luciano Squillaci –, in realtà siamo ancor meno: siamo come i topolini di Cenerentola, quelli che diventano cavalli per lo spazio d’una notte, e poi tornano invisibili. Lo siamo quando un adolescente muore di overdose e tutti i giornali ne parlano, lo siamo quando violenze efferate o incidenti drammatici misurano il vuoto esistenziale che i ragazzi cercano di riempire con le sostanze, oppure quando viene presentata la Relazione al Parlamento sulle droghe e tutti si accorgono che c’è un’emergenza, che serve una cura».
I dati della Relazione sono stati trasmessi poco più di 48 ore fa, proprio alla vigilia della Giornata mondiale, e dicono che la cocaina ha preso il posto dell’eroina, facendo segnare un record di morti nell’ultimo anno (80, cioè uno ogni 4 giorni); che c’è un allarme psicofarmaci tra i giovanissimi; che l’alcol e il gioco d’azzardo stanno diventando malattie croniche già a vent’anni; che il 37% dei ragazzi tra i 15 e i 19 anni hanno già fatto uso di sostanze almeno una volta.

La cura sono i Servizi per le dipendenze (Serd), appunto, e le comunità terapeutiche: «Realtà che tentano di lavorare in rete, con il limite di un sistema (anche sanitario) calibrato ancora sull’eroinomane che si bucava in strada negli anni Novanta – continua Squillaci –, senza una visione integrata dei trattamenti, senza modelli condivisi e soprattutto senza la priorità della persona e del percorso educativo necessario a ogni riabilitazione. Oggi portiamo al Papa la gratitudine per il suo sguardo e la speranza che tutto questo possa cambiare, che il mondo delle dipendenze sia finalmente ascoltato». Succede, da 15 giorni, ai tavoli in preparazione della Conferenza nazionale convocata per il prossimo novembre a Roma e fortemente voluta dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega, Alfredo Mantovano: un momento fondamentale per i servizi, in cui saranno presentati bilanci e istanze, con l’obiettivo di arrivare a delle linee di indirizzo per un intervento del Parlamento sul comparto e il tanto auspicato superamento del Testo unico sulle droghe, vecchio di 35 anni.
Sguardo e ascolto d’altronde sono le prime medicine di un percorso di recupero anche per le famiglie dei ragazzi “perduti”: «Mi chiamo Marino, sono qui con mia moglie Silvia, siamo i genitori di Andrea, accolto attualmente nella comunità del Ceis di Pescara» dice un padre a Papa Leone, raccontando la sofferenza e l’impotenza degli adulti di fronte alle dipendenze. «La sua storia di tossicodipendenza è iniziata intorno ai suoi 25 anni ed è finita col carcere, dopo un calvario fatto di violenze, richieste continue di denaro, minacce, ricatti». Oggi, mentre Andrea si ricostruisce, provano a farlo anche i suoi: «Ogni settimana ci riuniamo in gruppi di auto mutuo aiuto dove i capigruppo e altri genitori volontari testimoniano e condividono il loro doloroso ma vittorioso bagaglio di esperienze. Il gruppo e il supporto costante e prezioso degli operatori ci aiuta a curare profondamente le nostre ferite. Stiamo ricevendo un grande aiuto».
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