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La Settimana sociale di Trieste - Agenzia Romano Siciliani
«Oggi la democrazia, diciamo la verità, non gode di buona salute». Con queste parole papa Francesco chiudeva la Settimana sociale di Trieste. È trascorso un anno, è cambiato il mondo, la Chiesa ha visto un passaggio del testimone che ha sorpreso per comunione e linearità, e forse anche per questo le parole di Bergoglio assumono un significato ancora più profondo, ancora più profetico: la democrazia non è solo al cuore, ma è anche il cuore di tutto. I nuovi conflitti, quelli vecchi senza spiragli concreti di pace, i muri che si alzano, i toni che si fanno sempre più aspri, la tecnologia che entra nelle nostre teste finiscono per essere causa ed effetto di una progressiva marginalizzazione della democrazia, e della partecipazione in generale. Aumentano, ogni giorno, i motivi per cui apparentemente la priorità diventa un’altra, l’urgenza è altrove, il leader di turno ritiene di poter derogare ai principi del diritto.
Le tensioni globali si riverberano sulle nostre vite, e così ci troviamo a misurarci con un contesto in cui è sempre più difficile - e per questo sempre più necessario - non perdere la speranza, individuando percorsi chiari in cui camminare, insieme, controcorrente. Da Trieste è partita una strada che si rivela giorno dopo giorno una delle poche possibili per non limitarci a essere «equilibristi del presente» ma «costruttori del futuro», come diceva ancora Francesco. Una strada impegnativa perché lunga e senza un traguardo prestabilito: ci vuole speranza, ma anche fiducia, gli uni nelle altre. E il coraggio di ribadire che solo con uno stile strutturalmente orientato all’ascolto, all’inclusione e al confronto ci sarà un risultato degno della posta che c’è in palio. Lo ha ricordato di recente papa Leone XIV, parlando alla Fondazione Centesimus Annus, quando ha sottolineato come «la Dottrina Sociale ci educa a riconoscere che più importante dei problemi, o delle risposte a essi, è il modo in cui li affrontiamo, con criteri di valutazione e principi etici e con l’apertura alla grazia di Dio».
È una prova grande. Che chiede pazienza, e la capacità di superare quell’ansia da posizionamento e quella tendenza ad aggiornare costantemente il bilancio costi/benefici che ormai scandiscono le nostre esistenze, in cui è così difficile e apparentemente incomprensibile impegnarsi su qualcosa senza garanzie sugli effetti per sé e sui risultati che porterà per i contesti in cui viviamo. Eppure, a guardare il rifiorire di iniziative, a più livelli, scaturite in questo anno c’è da stupirsi. E da impegnarsi, tutti, perché questa contaminazione di metodo e contenuti possa continuare, in giro per l’Italia, dentro e fuori al contesto ecclesiale, per favorire quel passaggio dal «parteggiare al partecipare» che auspicava Francesco. E raccogliendo l’invito di papa Leone a «partecipare attivamente e creativamente a questo esercizio di discernimento, contribuendo a sviluppare la Dottrina Sociale della Chiesa insieme al popolo di Dio, ascoltando e dialogando con tutti». La strada è lunga, ma è bella. E in ogni caso non ce ne sono altre.