mercoledì 21 dicembre 2016
Nella casa-famiglia tra figli naturali e disabili adottati vivono in 22, sfollati dopo la scossa del 30 ottobre e accolti dagli amici della Papa Giovanni XXIII. Una storia straordinaria nell'umiltà
La grande famiglia quasi al completo

La grande famiglia quasi al completo

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Don Benzi lo diceva sempre: attenti quando pregate perché il Signore vi prende sul serio! Io da tempo gli chiedevo l’umiltà, perché sono una persona che fa fatica a chiedere aiuto, e lui me l’ha mandata tutta insieme...». Sorride sempre, Roberta Nobili, anche quando ha un nodo in gola e prova a descrivere «il mondo che si rovescia», la grande scossa che domenica 30 ottobre al mattino presto in pochi secondi ha rovesciato anche la loro vita. Bionda, 40 anni, marcato accento marchigiano, seduta accanto al marito Valentino abbraccia con lo sguardo i loro nove figli. «Il 24 agosto, il giorno della scossa di Amatrice, ci consultammo e insieme considerammo l’idea di accogliere una famiglia terremotata, invece poi anche noi...». «Il 30 mattina alle 7 e mezza eravamo tutti nei letti», ricorda Valentino, «la casa inizia a vibrare, vabbè, ti dici, ora smetterà. Invece di più, di più, ancora di più, tutto si scuote, il pavimento diventa liquido, le pareti si deformano, corri a prendere i figli. Ci cercavamo l’un l’altro e stavamo abbracciati, ma non finiva più. Federico, che dormiva di sopra con Giulio, è corso di sotto, poi si è accorto che Giulio non c’era ed è tornato su per lui. Lo ha trovato immobile nel letto, bloccato dal terrore...».


È sempre difficile orientarsi nelle famiglie della "Papa Giovanni XXIII", la Comunità fondata da don Oreste Benzi che ha come metodo la condivisione diretta con gli emarginati: 24 ore su 24 si vive insieme, non è un’accoglienza, è una vera famiglia. Solo qui è normale che Federico, 11 anni, uno dei tre figli naturali della coppia, sia tornato di sopra a prendere il fratello Giulio di 17, affetto da paralisi cerebrale, adottato in Bolivia. Intanto la piccola Sirin, 12 anni, ipovedente e sorda, adottata alla nascita, si stringeva a mamma e papà senza capire perché tutto ballasse sotto i piedi, mentre "zio" Giuseppe, romano, 55 anni, paraplegico da 7 per un angioma al midollo, attendeva impotente che la carrozzina finisse di sbattere.


Giacomo, 77 anni, «il nostro nonnino», era l’unico a non perdere la calma: «È con noi da 11 anni, è sordo e non sa né leggere né scrivere – ce lo presenta Roberta –, un ritardo mentale causato da una meningite da piccolino è la sua salvezza perché lui sorride sempre». Cuffia di lana in testa e aria felice, da quando sono stati sfollati, ogni giorno prepara una piccola valigia, convinto che si torni a casa.Invece a casa non si tornerà più, non in quella che la grande famiglia abitava, la canonica della chiesa di Sant’Andrea a Tolentino, da loro rinominata Nostra Signora della Pace: se la struttura più o meno ha retto grazie ai miglioramenti apportati dopo il terremoto del 1997, il campanile pende paurosamente sul tetto.

«Sfollati con tutti i nostri disabili, ci hanno ospitati Stefano e Stefania Paoloni e i loro nove figli, anche loro della "Papa Giovanni"», continua Roberta. Totale 22. È lì che li abbiamo incontrati tutti insieme, noi ancora più disorientati, loro ancora più fiduciosi, specie i bambini. «Noi adulti facciamo fatica – ammette Valentino –, il terremoto ti sbalza fuori dalla tua vita in un istante, è lo smarrimento, non hai più una giornata normale. Ringrazio Dio perché il pregio della Comunità è sentirsi tutti una famiglia, però il peso della condivisione c’è. Ci affidiamo a Dio come abbiamo sempre fatto».

Anche quando, da poco sposati, lui e Roberta da tre anni erano in missione in Bolivia con Alessia appena nata (la loro primogenita oggi 14enne), Giulio piccolino da poco adottato, Roxana, 17 anni, adottata già terminale di cancro: «Prima di morire aveva un desiderio, vedere l’Italia e il mare, così siamo partiti lasciando i panni stesi perché saremmo tornati presto». Invece Roxana in Italia peggiora e Roberta, incinta di Federico, deve fermarsi qui. «Tutti i nostri piani si ribaltavano. Sono tornato da solo a La Paz a prendere le nostre cose», conclude Valentino, «tre anni della nostra vita stavano tutti in due valigie...». Oggi, con il terremoto, succede lo stesso, pronti a dire sì e a non porre limiti. Neanche nei figli. Roberta: «Spesso ci chiedono "ma quanti ne avete?", facciamo fatica a rispondere. Noi siamo! "Sì, ma quanti sono vostri?". Ci fanno sentire come fossimo strani noi, invece è tutto così naturale... Dopo Alessia e Federico, è nata Ilaria, 7 anni, oggi la più spaventata dalle scosse che non si fermano. Ma noi siamo noi tutti».


È ora di pranzo e in casa Paoloni mangiamo ciauscolo e vincisgrassi. Sembra una festa, invece è la tavolata di tutti i giorni, colma di bambini e vocìo. Le scuole pian piano hanno riaperto, le strutture agibili ospitano gli alunni di quelle inagibili e anche questo per loro è un po’ una festa. Il più vivace è Giulio, il ragazzino boliviano nato in paralisi cerebrale e rimasto inchiodato al letto la mattina della scossa. Da piccolo si accartocciava come un burattino senza fili ma non si è mai arreso, «gli legavamo le gambe alla bici e ha iniziato a pedalare, lo portavamo in piscina e ha preso a nuotare, finché a 10 anni è riuscito a stare in piedi. Oggi gioca come portiere nella squadra del Tolentino».

Bisognava solo crederci, e qui non è certo un problema.A tavola con noi c’è pure Mehdi, 11 anni, anche se a nutrirlo è un sondino. Adottato dai Paoloni quando ne aveva 3, ha una diagnosi di "stato vegetativo", eppure con lo sguardo segue i fratelli (i figli naturali della coppia e quattro fratellini italiani adottati tutti assieme nel 2010). «Stacco un po’ Mehdi e attacco il cellulare», strilla una sorellina con la spina in mano: Mehdi ha il respiratore e per lei è routine. Giusy e Claudio, ormai figli anche loro, hanno lasciato tutto per vivere qui come volontari, stregati da un incontro. «Per ognuno di noi tutto è nato da un incontro casuale con don Benzi», spiega Roberta a nome del marito e della coppia di amici, «per anni cerchi un senso alla tua vita e poi trovi questa cosa pazzesca in cui non si distingue più chi accoglie e chi è accolto. È stato amore a prima vista. Quel giorno ho conosciuto anche Valentino, ed è stato il secondo amore a prima vista».

L’indomani dalla nostra visita, Roberta e Valentino con tutti i loro figli si sono di nuovo trasferiti, accolti a Macerata dal vescovo Nazzareno Marconi in una piccola casa con molti letti a castello, in attesa di poter tornare a Tolentino. Dove intanto le ruspe spianano il terreno per costruire un villaggio agli 11mila sfollati della città, le chiese (quasi tutte chiuse) e i palazzi vengono messi in sicurezza, le scuole provano a funzionare nonostante scosse e sciacalli (l’Istituto Don Bosco aveva appena riaperto, ma la prima notte i ladri si sono portati via tutti i computer...). «Per costruire a Tolentino una nuova Nostra Signora della Pace la Comunità di don Benzi sta raccogliendo i fondi necessari», sospira Roberta, «speriamo…». Tra tutti, il più ansioso è nonno Giacomo. Cuffia di lana in testa, valigia in mano, attende in piedi davanti alla porta e sorride al gruppo, pronto ad uscire. Sa che è Natale e questo gli basta per esserne certo: questa volta si torna a casa...

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