martedì 27 gennaio 2015
​Si è concluso il maxiprocesso sugli incidenti in Valle di Susa durato due anni. Solo sei le assoluzioni. Tensioni alla tangenziale di Torino e sulla statale della Val di Susa.
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Quarantasette condanne, sei assoluzioni, quasi centocinquanta anni di carcere. Con il popolo No Tav che prima si sgola nell'aula bunker delle Vallette urlando "vergogna" e cantando "Bella Ciao". Si è chiuso così, oggi a Torino, il maxi processo per i tumulti divampati in Valle di Susa nell'estate del 2011. Due le giornate al vaglio dei giudici: quella del 27 giugno, quando le forze dell'ordine, facendosi strada tra una fitta sassaiola, sgomberarono con le ruspe e i lacrimogeni il vasto presidio allestito dai No Tav nella zona dove oggi sorge il cantiere di Chiomonte; quella del 3 luglio quando, durante una manifestazione con decine di migliaia di partecipanti, i No Tav scatenarono il primo degli assalti alle recinzioni.La protesta dei No Tav non si è fatta attendere. Nel giro di pochi minuti è stato bloccato il vicino accesso alla tangenziale di Torino. In serata, blocco della statale 24 dell'autostrada del Frejus in Valle di Susa all'altezza di Bussoleno: tensioni con le forze dell'ordine, tre fermi. "La sentenza è una vendetta di Stato", tuona il sito Notav.info, la voce ufficiosa degli attivisti. "È l'estremo tentativo di fare fuori il movimento No Tav", rincara il leader storico Alberto Perino, "ma non ci riusciranno". "Si è ristabilito il primato della legalità e pure del buon senso - commenta invece il ministro dei trasporti Maurizio Lupi - perché ferire oltre 180 persone tra poliziotti, carabinieri e militari della Guardia di finanza non è una normale manifestazione di dissenso, è un crimine". La decisione del tribunale, per il ministro, "fa giustizia anche di tante coperture politiche e intellettuali di quella violenza, che hanno cercato e cercano di nobilitarla con assurdi richiami alla Resistenza". E il pensiero corre allo scrittore Erri De Luca, che proprio domani, a Torino, verrà processato con l'accusa di istigazione a delinquere per avere parlato in difesa dei sabotaggi al cantiere del Tav.Per gli attivisti il conto è salato. Le pene spaziano da un paio di modeste multe a 250 euro ai quattro anni e sei mesi inflitti a due imputati: uno di loro è il settantenne Paolo Maurizio Ferrari, ex irriducibile delle Brigate Rosse che dopo una detenzione lunga trent'anni ha trovato, una volta libero, l'energia per salire in Valle di Susa e partecipare alle manifestazioni No Tav. Nel mezzo, tante condanne a più di tre anni di reclusione. E poi ci sono i soldi. Oltre 150 mila euro fra indennizzi e acconti (le cosiddette "provvisionali") alle parti civili: i Ministeri dell'Interno (record con oltre 50 mila euro), della Difesa e dell'Economia, i sindacati di polizia, oltre centocinquanta agenti, la società Ltf che si occupa della Torino-Lione. "Pene spropositate e condanne assurde in totale assenza di prove", dice uno dei difensori, l'avvocato Gianluca Vitale, mentre il collega Stefano Bertone annuncia ricorsi su ricorsi "fino alla Corte europea per i diritti dell'uomo" perché "non permettere agli imputati di presentare gli indizi a discarico equivale a impedire loro di difendersi". Opposta la lettura dell'avvocato Anna Ronfani, parte civile per Ltf: "Il dispositivo della sentenza, tanto lungo e articolato che per leggerlo i giudici hanno impiegato un'ora, dimostra come le singole posizioni siano state vagliate con grande accuratezza. Non sono state condannate le idee, sono stati condannati i comportamenti illeciti".
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