sabato 4 maggio 2019
Il sociologo: l’errore è stato non ascoltare il grido d’aiuto di chi era in difficoltà, non occuparsi delle vite minuscole
Il sociologo Aldo Bonomi (Foto: Ansa)

Il sociologo Aldo Bonomi (Foto: Ansa)

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Nella terra di nessuno, in cui appaiono forme di schiavitù che sembravano appartenere al passato, bisogna tornare a costruire. Legami e relazioni, innanzitutto. Poi alleanze sociali. «Come ci siamo ritrovati in questo labirinto di paure?» si chiede il sociologo Aldo Bonomi e sembra domandarlo a se stesso, prima che agli altri. «Ha ragione Zamagni: l’errore è stato non ascoltare il grido d’aiuto di chi era in difficoltà già tanti anni fa. Bisognava occuparsi delle vite minuscole che venivano avanti, ma a tanti di noi quelle vite sono sembrate invisibili». Eppure il mondo del Terzo settore così ai margini oggi, la capacità di «stare in mezzo» ai fenomeni sociali l’ha sempre avuta e l’ha ancora. La reazione deve partire da lì, dalla capacità di (ri)mobilitare coscienze.

Quali sono le responsabilità della politica attuale?
La più grande responsabilità, nello scenario odierno, è stata quella di aver voluto strutturare e legiferare una forma di sussidiarietà verticale. Ma le formulazioni autoritarie dall’alto verso il basso non funzionano, perché tendono a irrigidire e a isolare, sia i soggetti sociali che le comunità.

Come evitare che il mondo della cooperazione e del non profit venga confinato in una riserva indiana?
Il volontariato e il Terzo settore hanno cercato di mettersi in mezzo nella 'guerra civile molecolare' scatenata in questi anni. La risposta è nella distinzione tra sussidiarietà orizzontale e verticale. Ong, associazioni e cooperative devono fare coalizione con i sindaci, con le rappresentanze sindacali. Devono allargare quella che chiamo 'la comunità di cura', coinvolgendo gli insegnanti e la scuola. Devono ripartire dal basso, dal volto dei poveri, come dice papa Francesco.

Avrebbe mai immaginato che dal rancore si passasse all’aporofobia, a un vero e proprio disprezzo nei confronti dei poveri
Proviamo a riavvolgere il filo degli ultimi quarant’anni. Cosa è accaduto? È accaduto che mentre osservavamo la società e il suo divenire, veniva meno la 'cassetta degli attrezzi', la strumentazione necessaria per capire davvero cosa stava accadendo. Una volta si sarebbe detto: dimmi che lavoro fai e ti dirò chi sei, dove abiti e quali sono i tuoi comportamenti socio- culturali e politici. A quel punto, avevi chiaro in testa che quelli che non potevano rispondere a queste domande erano davvero gli ultimi di cui bisognava occuparsi. Poi sono arrivati i ragionamenti sulla provenienza, sull’etnia. Si è scomposto il diamante del lavoro e sono riapparsi lo sfruttamento e la schiavitù. Ecco, mi pare che Zamagni nella sua analisi ci abbia invitato a una sana allergia alla paura dei poveri.

E l’allarme razzismo?
È il secondo lato del labirinto delle nostre paure. Ho sempre preferito parlare di xenofobia, anche se devo riconoscere che oggi ci sono davvero fenomenologie di razzismo. Eppure, era in quel grido d’aiuto che si maschera di intolleranza, che avremmo dovuto capire per tempo ciò che si è manifestato oggi. Bisognava cioé occuparsi delle vite minuscole, che abbiamo visto venire avanti, degli imprenditori del Nord Est che non ce l’hanno più fatta, della paura e del ripiegarsi su se stesso del ceto medio impoverito.

Quali errori bisognerà evitare a questo punto, per tentare in futuro di risalire la china?
Rispetto alla verticalità autoritaria, occorrerà innanzitutto evitare l’autoreferenzialità e sarà necessario iniziare a lavorare per mettere in rete, in modo orizzontale, tutte le realtà operose che non vogliono arrendersi a un destino securitario che sembra già scritto.

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