giovedì 19 giugno 2025
Il ritrovamento tra i rifiuti dell'ospedale del cadavere di un bimbo di 26-30 settimane sgomenta la città. Il vescovo: non possiamo restare indifferenti. La proposta di FederVita Emilia Romagna
Forze dell'ordine all'esterno dell'ospedale di Piacenza

Forze dell'ordine all'esterno dell'ospedale di Piacenza - Ansa

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Potrebbe essere nato vivo. Ed essere stato trasportato in ospedale dall’esterno, fino al bagno del Pronto Soccorso, dove è stato ritrovato solo perché un addetto delle pulizie si è insospettito del peso anomalo di quel sacchetto nero gettato nel bidone col resto dei rifiuti.


A Piacenza il condizionale è ancora d’obbligo, nella fase iniziale delle indagini sulla macabra scoperta, ieri mattina intorno alle 6.30, di un corpicino senza vita, dall’apparente età gestazionale di 26-30 settimane. Gli accessi in Ps erano stati tranquilli, niente più di una notte di routine, fanno sapere i sanitari. Anche il bagno dove è stato effettuato il ritrovamento – ha spiegato il direttore del Presidio Unico Franco Federici – era pulito. Solo qualche macchia di sangue è stata notata successivamente ed è stata acquisita dagli inquirenti. Le immagini delle telecamere di sorveglianza potranno dare uno volto a chi ha infilato il piccolo nel sacco e l’ha gettato nel cestino, sperando di passare inosservato.

Lo zelo dell’addetto incaricato della pulizia dei servizi ha scombinato i piani. Ha aperto il sacchetto troppo pesante per essere un normale scarto. Mai si sarebbe aspettato che, ad essere stata scartata, era una vita. Non del tutto formata, ma una vita. Un medico e un infermiere che si trovavano in corridoio sono intervenuti subito. Non c’è stato, purtroppo, bisogno di alcuna manovra di rianimazione: il piccino era inerte. Un parto pretermine finito male? Si poteva salvare? Toccherà all’autopsia, che sarà effettuata all’Istituto di medicina legale di Pavia, dare risposte a questi interrogativi. La sorte della mamma, le motivazioni che hanno portato a questo epilogo, il perché non è ricorsa all’aiuto dei medici sono altri interrogativi pesanti che attendono risposta.


Le parole hanno un peso e più che mai in questo frangente ogni commento diventa superfluo, rischia di aggiungere dolore a dolore, avverte il vescovo Adriano Cevolotto. «Siamo davanti a una vita interrotta al suo sorgere e al tempo stesso non possiamo non immaginare la sofferenza della madre di questo piccolo». Anche lui è scosso, come lo è tutta la comunità piacentina. «Non ci è permesso di restare indifferenti di fronte a questi drammi, a quelli lontani come a quelli vicini», riflette. Per questo nella preghiera che in serata ha concluso la processione del Corpus Domini al santuario di Santa Maria di Campagna, proprio a due passi dall’ospedale, ha invitato a pensare a «chi fatica a credere che è possibile sperare»: le donne vittime di violenza, chi vive in contesti di guerra, chi è schiavo della dipendenza, chi emigra dalla casa e dagli affetti, «al dramma – o ai molteplici drammi – che porta con sé una vita appena sbocciata e subito abbandonata, come è successo qui, a pochi passi da questa chiesa che profuma di affetti».

C’è amarezza, ma pure voglia di rinnovare l’impegno per la vita, nelle parole di Laura Barsottelli, presidente del Cav “Chiara Corbella Petrillo” di Piacenza. Pensa ai volti delle donne incontrate in sette anni di impegno sul territorio, aiutando a nascere una trentina di bambini. È convinta che solo un lavoro in rete, pubblico e privato, possa veramente spezzare la solitudine, perché è questo il primo dramma che le donne vivono. «C’è chi scopre di essere incinta oltre il terzo mese, va nel panico, o chi vorrebbe tenere il bambino pur essendo nei termini per abortire ma non ha il lavoro o il compagno vicino». Ma capita pure che, quando il compagno c’è ed è di supporto, a remare contro la vita ci siano altri ostacoli. «Noi stiamo seguendo una famiglia giovanissima, dell’Honduras, molto unita, lui ha un lavoro a tempo indeterminato ma l’alloggio non si trova e questo è un problema enorme». Il Cav fa di tutto per farsi conoscere: locandine, manifesti, eventi. «Eppure in tanti non sanno della nostra esistenza. Per questo dobbiamo lavorare insieme: noi, nel nostro piccolo, con le forze che abbiamo, ci mettiamo a disposizione dei Servizi sociali, dell’Ausl». Barsottelli tiene e ribadire che «i Cav non chiudono la porta a chi ha scelto l’interruzione di gravidanza e ha una ferita aperta: noi ci siamo per tutte le donne».

Di urgenza di una rete di culle per la vita nei presidi ospedalieri, «visibili, sicure, efficienti» parla la presidente di Federvita Emilia-Romagna Antonella Diegoli, che ha presentato il progetto all’Amministrazione regionale guidata da Michele De Pascale, facendo riferimento alle Linee guida adottate in Puglia e ribadisce la necessità di diffondere ancora di più gli adesivi di Sos Vita negli ospedali, possibilità che era già stata concessa in passato dall’assessore alla sanità Bissoni. Il bisogno c’è e lo dimostrano i fatti. «Dall’inizio dell’anno sto ricevendo moltissime telefonate di amici, parenti, donne». Più si fanno circolare le informazioni, più si fa cultura della vita. A tutela della donna e del concepito.


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