martedì 10 luglio 2012
Viaggio nel cuore del potere dei “casalesi”, il clan camorrista che ha inventato le ecomafie e con i rifiuti ha fatto e continua a fare i più ricchi affari. Avvelenando l’aria. Le discariche si estendono per chilometri e gli incendiari non si fermano mai.
LA PRIMA PUNTATA La terra dei fuochi Inferno di camorra
IL DIRETTORE RISPONDE Quei roghi, scandalo intollerabile
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​Fiamme e un denso fumo grigio si alzano da dietro al cespuglio. Bruciano plastica, filtri dell’olio, bombolette di vernice, scarti di lavorazione delle concerie. Sono da poco passate le 9 di domenica ma per gli incendiari dei rifiuti non c’è riposo. E ormai non attendono neanche la notte, si scarica e si brucia a tutte le ore. Siamo nelle campagne tra Casapesenna, San Cipriano d’Aversa, Trentola Ducenta e San Marcellino, nel cuore del potere del più potente clan camorrista, quello dei "casalesi" che ha inventato le ecomafie e proprio coi rifiuti ha fatto e fa i più ricchi affari. Ci accompagnano Pasquale e Ernesto, del circolo di Legambiente di Casapesenna, un po’ guida e un po’ scorta, perché da queste parti non si sa mai... soprattutto quando ci si occupa di monnezza.Pasquale telefona ai vigili del fuoco. «Hanno detto che arriveranno quando possono perché hanno tutti i mezzi fuori per altri incendi». Appunto, incendiari senza tregua. Alla fine arriveranno solo alle 16,30, dopo varie sollecitazioni. Nel frattempo il fuoco ha completato la sua opera, trasformando in veleni i rifiuti. E non solo qui. Perché altri quattro roghi vengono più tardi appiccati lungo la stessa strada, arrivando fino alle case. Un disastro.Noi proseguiamo il nostro tour lungo la strada poderale Sant’Aniello. Costruita con fondi europei (c’è anche un cartello che lo spiega) e senza risparmiare soldi. Ci sono anche le piazzole di sosta segnalate da cartelli... forati a colpi di fucile. Ma sono tutte trasformate in discariche, rifiuti di ogni genere bruciati più o meno recentemente e altri pronti per il prossimo rogo, come quello che abbiamo scoperto. Non se ne salva una. Chilometri di discariche tra frutteti e serre su un bene pubblico finanziato dall’Europa. Non c’è che dire, una pessima immagine. Cumuli di veleni accanto ad alberi carichi di albicocche, pesche e susine mature, tra campi di peperoni e melanzane.Ma è solo l’inizio. Arriviamo a un incrocio con un’altra poderale. Davanti a noi un verdeggiante campo di mais e proprio a fianco un grigio cumulo di eternit, cemento-amianto, con evidenti tracce di bruciatura. Non c’è limite alla stupidità criminale. Arriva un trattore. Il contadino si ferma, vede che stiamo fotografando i rifiuti e si sfoga. «O risolvimme? Ma chi deve controllare cosa fa? Eppure scaricano e bruciano sempre negli stessi posti. Sul mio terreno hanno scaricato un intero camion di rifiuti e poi hanno dato fuoco. Qua stiamo morendo di veleni. Io abito a Trentola Ducenta, a qualche chilometro, eppure ieri sera abbiamo dovuto tenere le finestre chiuse per la puzza di plastica bruciata». Già perché qui quando soffia il vento da mare, e succede quasi tutte le sere, fumi e veleni arrivano fin nei centri abitati.Proseguiamo lungo un’altra poderale, sempre accompagnati dai rifiuti. Poco prima di una curva, sull’ennesima piazzola l’ennesimo cumulo di resti anneriti, soprattutto la plastica delle serre, arrotolata e bruciata (eppure la dovrebbero portare ai consorzi agrari che poi la smaltiscono). Ma c’è una novità. Sopra al mucchio di plastica squagliata ci sono vari sedili, probabilmente di un pullmino, appena intaccati dalle fiamme. Avvelenamento solo rimandato, visto che sopra il vecchio rogo se ne prepara ormai un altro. Così come poco più avanti. Senza alcun rispetto per la storia del territorio.Siamo nell’antica masseria Pallavicini, nobile famiglia Napoletana proprietaria un tempo di centinaia di ettari. I resti degli edifici del ’700 sono ormai anneriti dai roghi. C’è ancora l’aia lastricata di pietroni di basalto, ma è trasformata in discarica, nera e grigia, ceneri e amianto. Ma anche qui, ben nascosto dietro a una fitta siepe, si prepara il nuovo rogo. Un mucchio di pneumatici ben sistemati, e base per prodotti chimici e altri veleni. C’è già l’innesco pronto, con giornali, rami e buste di plastica. Qui, proprio in mezzo a un frutteto. Poche ore e il fuoco scatterà.Usciamo dalle strade di campagna e imbocchiamo la variante provinciale 200. Un fondamentale collegamento tra i paesi della zona. Eppure i due lati della strada erano diventati un’interminabile discarica, lunga più di un chilometro. Così circa un anno e mezzo fa il comune di San Cipriano d’Aversa, nel cui territorio si trova l’arteria, l’ha messa in sicurezza o, come si dice in gergo tecnico, "caratterizzata". In realtà tutto si è limitato a una copertura dei rifiuti con teli di plastica, paletti di acciaio con la classica striscia rossa e bianca e i cartelli con la scritta "Sito di interesse nazionale". Troppo poco (anche se costato circa 20mila euro) e troppo allettante per gli incendiari. Così tutto è andato a fuoco, facilitato proprio dalla copertura di plastica. E ora, da mesi, i bordi della strada sono un interminabile striscia grigia di veleni. Che ora è più complesso portare via. «I rifiuti, anche quelli urbani, quando vengono bruciati diventano speciali 3 pericolosi – ci spiega un magistrato esperto di ecomafie –. Per portarli via servirebbero imprese specializzate scelte attraverso un bando pubblico o, se viene riscontrato un pericolo per la salute, anche con la procedura di somma urgenza. Tempi comunque lunghi col rischio molto concreto che si infiltri la camorra che, attraverso proprie imprese, ha da tempo messo gli occhi sulle bonifiche». Intanto sui "vecchi" rifiuti bruciati si accumulano rifiuti "nuovi" che a loro volta vengono incendiati. Un mucchio molto alto sta ancora fumando, sembra una grigia solfatara. Subito dietro un giovane pioppeto, molto probabilmente anche questo finanziato con fondi europei. Riusciranno mai i deboli alberelli a giungere alla produzione? Abbiamo forti dubbi.Chiudiamo il nostro "roghi tour" rientrando al santuario della Madonna di Briano, dove ci ospita don Paolo dell’Aversana. Lungo la strada che porta a questo luogo sacro tra i più cari agli abitanti dell’Agro aversano, altri cumuli di rifiuti bruciati. L’ultimo, vicinissimo al santuario, è letteralmente coperto di amianto e prodotti chimici, tutti anneriti. Proprio a fianco, ironia della sorte, un cartello con la scritta "divieto di scarico", "zona videosorvegliata". Ma le telecamere non ci sono e gli incendiari ringraziano.
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