sabato 18 novembre 2017
L'arcivescovo Pennisi: «nessuna cerimonia pubblica». I giovani del paese siciliano: era giusto il 41 bis, era giusto che morisse in carcere
La vedova di Riina, Ninetta Bagarella, con, alla sua sinistra, il figlio Giuseppe Salvatore (Ansa)

La vedova di Riina, Ninetta Bagarella, con, alla sua sinistra, il figlio Giuseppe Salvatore (Ansa)

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«Con la morte di Totò Riina è finito il delirio di onnipotenza del capo dei capi di Cosa nostra, ma la mafia non è stata sconfitta e quindi non bisogna abbassare la guardia». Così monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, sul cui territorio ricade Corleone, nella sua dichiarazione ufficiale alla notizia della morte di Riina. «Nessuna cerimonia pubblica», ha ribadito in questi giorni il presule. «Totò Riina è da considerarsi un pubblico peccatore che non ha mostrato con la necessaria analoga pubblicità un vero pentimento, a prescindere e senza pregiudizio di ciò che è successo nella sua coscienza negli ultimi giorni della sua vita. Di conseguenza la Chiesa può dare a lui il trattamento che corrisponde a ciò che risulta pubblicamente. In base al canone 1184 non ci saranno funerali pubblici, anche se privatamente si possono fare delle preghiere di suffragio. La sepoltura nel cimitero di Corleone, con una qualche preghiera da parte del cappellano, è un atto di pietà cristiana che va fatto nella misura in cui i parenti lo chiedono e lo dispongano le autorità competenti».

È terminata ieri pomeriggio a Parma l’autopsia, iniziata poco prima delle 12, nell’istituto di Medicina Legale. Lo ha confermato un consulente tecnico, uscendo dalla struttura. Nessuna dichiarazione da parte della moglie Ninetta Bagarella e dei figli Salvo e Maria Concetta, che hanno raggiunto l’ospedale di Parma dopo il consenso ottenuto dal ministro della Giustizia Andrea Orlando.

L’ultimo saluto a Totò Riina da parte dei suoi familiari è durato 30 minuti ed è stato scortato dalla Polizia. I familiari del boss di Cosa Nostra hanno potuto stare accanto alla salma del capo dei capi nelle camere mortuarie dell’ospedale di Parma, dove era ricoverato dal dicembre 2015, nel reparto detenuti. Hanno dovuto attendere la fine dell’autopsia, disposta quasi come atto dovuto dalla Procura emiliana che deve ancora concedere il nulla osta per il trasferimento della salma in Sicilia: dai primi esiti dell’esame, nessuna sorpresa o stranezza sulle cause della morte.

I familiari di Riina non hanno versato lacrime in pubblico. E di fronte ai giornalisti, che li attendevano davanti all’istituto di Medicina legale, hanno reagito con ostilità: «Non ho niente da dire, ho dei figli minori. Vi denuncio», le parole di Maria Concetta, che su Facebook aveva invitato al silenzio e ha chiesto «rispetto per il dolore di una famiglia».
Si attende adesso che il pm Umberto Ausiello dia il nulla osta per il trasferimento della salma in Sicilia. L’ipotesi che al momento circola è che il trasferimento non dovrebbe avvenire prima di domani.

Intanto a Corleone i giovani alzano la voce. «Era giusto il 41bis per Riina. Era giusto che morisse in carcere», così sui social una componente del Centro internazionale di documentazione sulla mafia e del movimento antimafia di Corleone. Seppure rimane ancora lungo un cambiamento nella mentalità mafiosa, la voce delle generazioni cresciute in Sicilia negli anni delle stragi ribadisce il «no» e la distanza netta dalla mafia.

Alla notizia della morte del "boss dei boss" molteplici sono state le dichiarazioni e c’è chi come AddioPizzo non esulta, ma ribadisce l’impegno e la determinazione nel costruire, con la cultura del bene comune: «Oggi non abbiamo nulla da festeggiare… Oggi invece continuiamo a lavorare. La nostra azione continua strada per strada, bottega per bottega, scuola per scuola, per riaffermare i principi di legalità e i diritti sociali per i nostri cittadini». Sono questi i semi buoni fecondati dal sangue dei tanti martiri della giustizia.

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