lunedì 4 aprile 2022
La sentenza della Corte di Cassazione: 12 anni per due carabinieri, da rifare il processo di appello per due militari accusati di falso. La sorella Ilaria: giustizia è stata fatta
Ilaria Cucchia davanti alla Corte di Cassazione

Ilaria Cucchia davanti alla Corte di Cassazione - Ansa

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La morte di Stefano Cucchi fu omicidio preterintenzionale, da questa sera è definitiva certezza giudiziaria. Ma non è ancora finita la storia giudiziaria legata alla sua uccisione. La Cassazione, dopo cinque ore di camera di consiglio, ha condannato a 12 anni (uno in meno rispetto alla sentenza di appello) i due carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, accusati per il pestaggio e la morte di Cucchi. Invece dovrebbe esserci un nuovo processo di appello per i due carabinieri accusati di falso, Roberto Mandolini, ch’era stato condannato a 4 anni, e per Francesco Tedesco, condannato a 2 anni e mezzo: dovrebbe però è d’obbligo, perché già a maggio scatterà la prescrizione.

Le parole di Ilaria Cucchi? «Possiamo dire che è stato ucciso di botte, che giustizia è stata fatta nei confronti di loro che ce l’hanno portato via». Quelle della mamma di Stefano? «Finalmente è arrivata la giustizia. Almeno nei confronti di chi ha picchiato Stefano causandone la morte». Del resto nella sua requisitoria, questa mattina, il sostituto Procuratore generale della Cassazione, Tomaso Epidendio, aveva chiesto di confermare le condanne per omicidio preterintenzionale dei due carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro e per falso del carabiniere Roberto Mandolini. «Stefano Cucchi ha vissuto una via crucis notturna in cui tutti coloro che lo vedevano, rimanevano impressionati dalle sue condizioni», aveva detto Epidendio: «Si è voluto infliggere a Cucchi una severa punizione corporale di straordinaria gravità, caratterizzata da una evidente mancanza di proporzione col suo atteggiamento non collaborativo. Tutto qui è drammaticamente grave, ma concettualmente semplice: senza calci, schiaffi, spinte, ci sarebbe stata la frattura della vertebra? La risposta è palesemente negativa».

La sentenza della Cassazione per i quattro carabinieri (nel processo nato dall’inchiesta bis che ha fatto luce sul pestaggio) arriva a quasi 13 anni dalla morte di Stefano. Processo che nei primi due gradi di giudizio aveva stabilito l’omicidio preterintenzionale. Prima la Corte d’Assise di Roma, il 14 novembre 2019, poi la Corte d’Assise d’Appello il 7 maggio scorso, avevano riconosciuto le responsabilità dei due carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro accusati del pestaggio di Stefano Cucchi, arrestato il 15 ottobre del 2009 e morto sette giorni dopo all’ospedale "Sandro Pertini" di Roma.

Poi in secondo grado la condanna era passata da 12 a 13 anni per Di Bernardo e D’Alessandro, escludendo le attenuanti generiche che erano state riconosciute nella prima sentenza, da 3 anni e 8 mesi a 4 anni per Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti comandante della stazione Appia ed erano stati confermati i due anni e mezzo per Francesco Tedesco, il militare che con le sue dichiarazioni aveva per la prima volta parlato del pestaggio avvenuto nella caserma Casilina la notte dell’arresto. Un’aggressione «ingiustificata e sproporzionata», com’è stata definita dai giudici della Corte d’Assise d’Appello di Roma nelle motivazioni della sentenza.

Fra pochi giorni, giovedì, arriverà anche la sentenza al processo sui presunti depistaggi seguiti alla morte di Cucchi, imputati otto carabinieri, accusati a vario titolo di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia. Per loro il pm Musarò ha chiesto condanne che da 7 anni a 1 anno e 1 mese: «C’è stata un’attività di depistaggio ostinata, che a tratti definirei ossessiva. I fatti che siamo chiamati a valutare non sono singole condotte isolate, ma un’opera complessa di depistaggi durati anni», aveva detto nella requisitoria.

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