lunedì 1 marzo 2021
La commovente testimonianza di un sacerdote «fidei donum» milanese nella Repubblica democratica del Congo pubblicata domenica 28 febbraio dal dorso diocesano di Avvenire
La foto di Luca Attanasio sul suo feretro nella camera ardente a Limbiate

La foto di Luca Attanasio sul suo feretro nella camera ardente a Limbiate - Fotogramma

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Mi piacerebbe che questo articolo fosse scritto non a due mani, ma a cento, a mille e ancora di più. Le mani che hanno stretto quelle di Luca, le mani di tutti, ma in particolare quelle dei bambini che hanno incontrato la sua bellissima umanità. Vorrei dirvi di quello che ha fatto, ma anche questo è impossibile, perché per lui il bene era da «fare» nella semplicità e nella discrezione, quasi nel segreto, non era da mostrare. Era il suo stile di vita.
Ricordo che ci aveva chiamato per segnalarci il caso di una mamma che dormiva per strada con i suoi bambini, cosa non rara a Kinshasa. Ma che un ambasciatore si fosse fermato per ascoltare la sua storia, questa sì era una cosa rara. Aveva allertato il nostro servizio di clinica mobile, perché i suoi occhi erano attenti e il suo cuore gli ordinava di fermarsi per farsi prossimo a chi era nel bisogno. Ricordo i nostri incontri con «loro»: infatti era impossibile per lui pensarsi solo nel «fare il bene», lui e la moglie Zakia erano veramente una «cosa sola». Il desiderio di entrambi era di entrare nelle situazioni delle persone, anche le più difficili e questo lo facevano attraverso l’associazione da loro fondata «Mama Sofia».
Dall’inizio del suo mandato lui e Zakia hanno da subito contattato i tanti centri di accoglienza, ospedali missionari e ogni tipo di attività che avessero nel cuore l’attenzione per i più dimenticati. Per questo penso che non ci sia una comunità a Kinshasa che non li abbia incontrati: hanno bussato alle loro porte con la semplicità di chi voleva conoscere, condividere e camminare insieme. Sono sicuro che Luca è stato un grande diplomatico, un ambasciatore brillante. Ma per noi, per i tantissimi bimbi di Kinshasa, era un amico e un papà. John è un bimbo della Benedicta, uno dei tanti centri che accolgono bambini di strada, che questa coppia attenta ha visitato più volte con il desiderio di portare gioia. Quante iniziative John e i suoi amici hanno accolto con stupore e meraviglia: quando, ad esempio, per la prima volta hanno visto un gonfiabile o una piscina arrivare nel nostro centro. Pensate a cosa possa significare per John e i suoi amici sapere che due persone importanti hanno avuto il tempo e la voglia di stare con loro, abbracciarli e dimostrargli affetto. Attenzioni che non hanno mai avuto. L’altro giorno John mi ha detto: «È vero? È vero che l’ambasciatore Luca è morto?». Nei suoi occhi la tristezza di tutti noi per aver perso una persona speciale, un amico dal cuore buono. Luca e sua moglie non hanno parlato solamente al cuore dei bimbi, ma anche a tanti giovani.
Tra questi, ad esempio, quelli del Foyer Saint Paul (centro di formazione per chi economicamente non potrebbe accedere all’università) e del Cenacolo (associazione di giovani laureati volontari che operano a favore delle persone più vulnerabili) hanno avuto l’opportunità di incontrarli. Loro hanno testimoniato di essere una famiglia, dove era visibile l’unità e la generosità. Infatti non si sono chiusi nell’agiatezza, che avrebbe potuto donare il loro stato di vita, ma si sono veramente spesi per il bene di tutti. Tante volte Luca ha invitato i nostri universitari a non sciupare questi anni di studio per diventare solo ingegneri, informatici, medici, ma li spronava a crescere nella pienezza della loro umanità. Tutto questo ha avuto termine lunedì mattina.
Luca, Vittorio, Mustapha: tre vite legate da un tragico destino. Il loro sangue è caduto su una terra che non ne può più contenere. Quanti nomi dovremo scrivere per dire basta? Quanti innocenti dovranno ancora morire? Se il loro sacrificio dovesse veramente risvegliare la coscienza del mondo per guardare a questa terra non con l’avidità dei predatori, ma con il desiderio di giustizia e pace, allora potremmo guardare a un futuro diverso. «Fratelli tutti» è il grido che esce dall’ultima enciclica di papa Francesco e Luca e Zakia sono stati un esempio di fraternità sociale vissuta nel quotidiano. Luca ha portato nei palazzi del potere il suo stile semplice, vero e concreto. Gli uomini e le donne che lavorano nelle istituzioni lo sapranno accogliere e fare proprio?
Luca ha detto una parola che ora risuona ancora più forte, perché detta con il dono della sua vita: attenzione. Ci dice Luca: siate attenti a quello che la gente vive; siate attenti a chi è dimenticato e scartato; siate attenti al dolore innocente dei bimbi di strada; siate attenti a non vivere isolati nel vostro mondo dorato; siate attenti all’indifferenza che uccide. Ciao Luca, ambasciatore di un mondo diverso più attento a tutti.

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