
Ansa
La scorsa estate durante le Olimpiadi di Parigi si è molto parlato della qualità dell’acqua della Senna, dove sono state disputate diverse gare di nuoto. L’idea di usare il fiume che attraversa Parigi per le competizioni olimpiche era nata con l’obiettivo celebrare in grande stile il successo di un investimento economico con finalità ambientali, dato che era stato speso quasi un miliardo e mezzo di euro per rendere balneabile il corso d’acqua. Non è andato tutto alla perfezione, le piogge copiose cadute durante il periodo delle gare hanno contribuito ad alzare i livelli di escherichia coli nel fiume creando qualche problema nella programmazione e agli stessi atleti, ma a parte questo lo spot di una Senna nella quale si può nuotare è rimasto impresso nella mente di tanti, anche grazie al memorabile tuffo e alle bracciate della sindaca di Parigi, Anne Hidalgo.
Ora le acque del fiume che nasce in Borgogna e si getta nella Manica hanno portato un’altra novità ambientale: nel tratto parigino della Senna, nei pressi dell'Île de la Cité e dell'Île Saint-Louis, sembra ci siano delle cozze d’acqua dolce considerate in via d’estinzione. Si tratta di un tipo di molluschi bivalve la cui misura varia tra gli 8 e i 15 centimetri molto sensibili all’inquinamento, e dunque sapere che sono tornati a popolare la parte cittadina del fiume è una buona notizia per la qualità dell’acqua.
In realtà nessuno ha ancora visto queste cozze, la loro presenza è stata ipotizzata dopo l’esame di alcuni campioni di acqua prelevati la scorsa estate per la ricerca sul Dna ambientale effettuata dai tecnici di un laboratorio specializzato nel monitoraggio della biodiversità.
Perché la scoperta, che ha sorpreso gli stessi ricercatori, è così rilevante? Il fatto è che questo tipo di cozze sono dei veri e propri bioindicatori della qualità dell’acqua, e per vivere e riprodursi hanno anche bisogno che nel fiume vi siano pesci che ne trasportino le larve durante il periodo della metamorfosi, inoltre sono in grado di filtrare fino a 40 litri di acqua al giorno, contribuendo così con la loro presenza a rendere più trasparente il fiume, a beneficio della crescita di piante e della presenza di altri insetti e invertebrati, che a loro volta diventano cibo per i pesci… e via dicendo. Le cozze d'acqua dolce non sono state rare fino al XX° secolo, prima che l'inquinamento le relegasse ai contesti lontani dalle città, i pittori le usavano per creare i colori dei loro dipinti, di alcuni tipi la gente se ne cibava, altri non sono commestibili.
Insomma, il ritrovamento di qualche traccia di Dna di un tipo molto delicato di cozze di fiume, per quanto evento marginale se non irrilevante, racconta una cosa molto semplice: che gli sforzi per combattere l’inquinamento non sono vani, e che le metropoli possono riuscire a offrire spazi inaspettati di vita, qualcosa capace di far radicare l’idea che un contesto fortemente antropizzato può contemplare una dimensione ambientale minima, uno spazio mentale in cui la presenza umana, a differenza di quello che l’abitudine o un tipo di narrazione hanno trasmesso, può essere percepita come non necessariamente in contrasto con il creato. C’è una dolcezza nell’immagine di un grande fiume che attraversa una capitale, in cui ritornano forme di vita in estinzione, e ci si può persino nuotare.