giovedì 14 settembre 2023
L'Istituto Mario Negri documenta per la prima volta la relazione fra i fattori genetici e la gravità della malattia da coronavirus nelle zone di Alzano e Nembro, epicentro della pandemia
Una foto di repertorio scattata ad Alzano Lombardo, nella Bergamasca, epicentro della pandemia nel 2020

Una foto di repertorio scattata ad Alzano Lombardo, nella Bergamasca, epicentro della pandemia nel 2020 - Ansa

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Una scoperta importantissima. Che potrebbe arrivare a dirci chi rischia davvero di ammalarsi gravemente di Covid o addirittura morirne (e che quindi va protetto più e prima degli altri), ma che risponde anche ai drammatici interrogativi su come sia stata possibile l'ecatombe di Alzano e Nembro, nel 2020, al di là delle responsabilità politiche su cui si è concentrata l'attenzione dei più negli ultimi anni. L'ha fatta l'Istituto farmacologico Mario Negri, realizzando per due anni uno studio di popolazione eccezionale per dimensione del campione e per approfondimento dei dati clinici a disposizione. Arrivando a mettere a fuoco la relazione fra i fattori genetici e la gravità della malattia da coronavirus proprio nella provincia di Bergamo, epicentro della pandemia.

Lo studio, pubblicato sulla rivista iScience, dimostra che una certa regione del genoma umano si associava in modo significativo col rischio di ammalarsi di Covid-19 e di ammalarsi in forma grave nei residenti in quelle aree più colpite dalla pandemia. «La cosa sensazionale – commenta Giuseppe Remuzzi, il direttore dell’Istituto Mario Negri è che 3 dei 6 geni che si associano a questo rischio sono arrivati alla popolazione moderna dai Neanderthal, in particolare dal genoma di Vindija che risale a 50mila anni fa ed è stato trovato in Croazia. Una volta forse proteggeva i Neanderthal dalle infezioni, adesso però causa un eccesso di risposta immune che non solo non ci protegge ma ci espone a una malattia più severa. Le vittime del cromosoma di Neanderthal nel mondo sono forse 1 milione e potrebbero essere proprio quelle che, in assenza di altre cause, muoiono per una predisposizione genetica».

Lo studio ha coinvolto l’intera comunità e hanno aderito 9.733 persone di Bergamo e provincia che hanno compilato un questionario sulla loro storia clinica e familiare riferita al Covid-19. Il 92% dei partecipanti che avevano avuto Covid-19 si era infettato prima di maggio 2020. Tra questi, 12 persone avevano avuto sintomi già a novembre-dicembre 2019. All’interno di questo ampio campione sono state selezionate 1.200 personetutte nate a Bergamo e provincia divise in tre gruppi omogenei per caratteristiche e fattori di rischio: 400 che hanno avuto una forma grave della malattia, 400 che hanno contratto il virus in forma lieve e 400 che non l’hanno contratto. Le persone che avevano avuto Covid-19 severo avevano più frequentemente parenti di primo grado morti a causa del virus rispetto ai partecipanti con Covid-19 lieve o che non si erano infettati. Questo dato evidenzia un contributo della genetica alla gravità della malattia.

I campioni di Dna sono stati analizzati mediante un Dna microarray, cioè una tecnologia in grado di leggere centinaia di migliaia di variazioni (polimorfismi) su tutto il genoma, che ha permesso di analizzare per ogni partecipante circa 9 milioni di varianti genetiche e di rilevare la regione del Dna responsabile delle diverse manifestazioni della malattia. In questa regione, alcune persone (circa il 7% della popolazione italiana) hanno una serie di variazioni dei nucleotidi (le singole componenti che costituiscono la catena del Dna appunto) che vengono ereditati insieme e formano un aplotipo, ovvero l’insieme di queste variazioni. «I risultati dello studio Origin – spiega Marina Noris, che è il responsabile del Centro di genomica umana dell’Istituto Mario Negri - dimostrano che chi è stato esposto al virus ed è portatore dell’aplotipo di Neanderthal aveva più del doppio del rischio di sviluppare Covid grave (polmonite), quasi tre volte in più il rischio di aver bisogno di terapia intensiva e un rischio ancora maggiore di aver bisogno di ventilazione meccanica rispetto ai soggetti che non hanno questo aplotipo».

Per entrare ancor più nello specifico, questa suscettibilità è collegata in particolare alla presenza di tre dei sei geni di questa regione che si trovano sul cromosoma 3: si tratta dei geni CCR9 e CXCR6, responsabili di richiamare i globuli bianchi e causare infiammazione durante le infezioni, e del gene LZTFL1, che regola lo sviluppo e la funzione delle cellule epiteliali nelle vie respiratorie, condizionando le diverse manifestazioni della malattia. Non è chiaro quale gene giochi il ruolo più importante. Inoltre, lo studio ha identificato altre 17 nuove regioni genomiche (loci) di cui 10 potenzialmente associate a malattia severa e 7 potenzialmente associate a rischio di contrarre l’infezione.

«È stata fondamentale la collaborazione di tutta la comunità – conclude Ariela Benigni, Segretario scientifico del Mario Negri –. Un particolare ringraziamento va ai sindaci di Bergamo, Alzano Lombardo, Nembro, Albino, Ranica e di molti altri Comuni. Ma è stato indispensabile anche il contributo dei medici di base, delle farmacie, delle biblioteche, delle associazioni e di tutti i cittadini che si sono impegnati nella promozione dello studio. È grazie alla dedizione di ognuno di loro se oggi abbiamo raggiunto questo importante risultato».

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