sabato 26 luglio 2014

Il ministrio della difesa: «Evitato in LIbano il contagio di Gaza. Anche in Libia serve l'impegno Ue»

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L'Italia mantiene gli impegni assunti con la comunità internazionale, conservando un ruolo guida nella missione Onu in Libano «dove abbiamo salvato la pace», rivendica Roberta Pinotti, ed essendo pronta – se le condizioni geo-politiche lo permetteranno – a fare altrettanto in Libia, nell’ambito di una cornice internazionale. «Ora tocca all’Onu e all’Europa mantenere l’impegno di supportare l’immane opera umanitaria che il nostro Paese svolge nel Mediterraneo». Il ministro della Difesa arriva in Libano («Una missione tra le più delicate ed impegnative dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, come l’ha definita il mio predecessore») con un segnale importante per le nostre truppe impegnate a presidiare il confine con Israele. Il governo ha appena approvato il rifinanziamento semestrale delle missioni. La più costosa resta (185 milioni) quella in Afghanistan a guida Nato che volge al termine con un’incognita però circa la fattibilità della nuova missione di supporto alle forze afghane. Seconda (76 milioni) è proprio la missione Unifil in Libano.Il ministro è qui per sancire «con orgoglio» un passaggio «con pochissimi precedenti», si limita a dire soddisfatta, subito dopo aver passato in rassegna le truppe della Task Force Italair, l’unità elicotteristica interforze con base al confine conteso fra i due Stati. In realtà, a livello Onu, non era successo mai, proprio mai, che alla guida di una missione il passaggio del testimone fosse gestito dallo stesso Paese in entrata e in uscita. Il generale Paolo Serra da ieri ha lasciato il posto al generale Luciano Portolano. Si era saputo della grande insistenza del Libano e delle altre parti in causa perché l’Italia restasse al suo posto. Il Paese dei Cedri è alle prese con una difficile situazione istituzionale, da oltre due mesi è senza presidente, carica appannaggio della componente cristiano maronita, sulla quale non si trova l’intesa. Un Paese peraltro che già fa i conti con la cristi siriana, che ha riversato lungo la valle della Bekaa circa un milione e 200mila profughi, anche se il numero esatto nessuno lo conosce. Ma Pinotti assicura che non solo il Libano e non solo l’Onu, «ma anche Israele è molto contenta del nostro operato». Israele e Libano, così, se continuano a non parlarsi, mantengono, forte, il comune interesse a far proseguire la cessazione delle ostilità e considerano per questo l’Italia interlocutore credibile, forse insostituibile.Chiediamo al ministro se è esagerato dire che Italia ha in qualche modo salvato la pace, evitando il contagio al confine con il Libano della crisi di Gaza. «Credo proprio di no, non è esagerato dirlo», è la risposta convinta. Un merito, certo, da condividere con le circa 35 Nazioni contribuenti alla missione (che conta oltre 10mila uomini di cui circa 1.100 italiani), ma il nostro ruolo guida nelle trattative al confine, nei Tripartite Meeting con Libano e Israele, è stato assolutamente preminente e tale rimarrà. Non si è riusciti a tracciare per intero la linea di confine, né a siglare una pace vera, ma in un Paese lambito da due grandi focolai, Siria e Israele, «è un gran risultato che ragazzi di 8 anni possano andare a scuola oggi senza aver conosciuto il rombo delle armi». Il ministro cita un episodio che poi ricorderà anche nel discorso ufficiale: «Era il 16 dicembre, un soldato israeliano venne ucciso nei pressi della linea armistiziale, la Blue Line, rischiando di innescare un’escalation di reazioni, come nel 2006. Bene, Unifil – ricorda il ministro – utilizzando tutta la propria autorevolezza, è riuscita nella difficile impresa di portare le parti, già il giorno successivo, a un incontro nel proprio Quartier Generale scongiurando il peggio». Una missione «difficile», la definisce, «sulla quale avevamo molti dubbi, visti i limiti operativi della risoluzione 1701 che la regola. Ma che è stato un indubbio successo, mostratasi in grado di bloccare i rischi di contagio delle crisi in Medio Oriente». Ora, dal 16 giugno, l’Italia si è assunta una nuova responsabilità, siglando un accordo per la formazione al peace keeping delle Forze armate libanesi. Un «modello operativo vincente», ha potuto dire con «orgoglio» il ministro davanti alle autorità libanesi e i rappresentanti di mezzo mondo accorsi per la cerimonia di questo strano passaggio del testimone tutto made in Italy. Un modello che l’Onu chiede pressantemente di estendere a un altro fronte caldo, la Libia. Nel decreto appena approvato ci sono anche oltre 5 milioni per la proroga della nostra attività di «assistenza, supporto e formazione» delle forze armate libiche. Corsi che al momento si tengono a Cassino, su numeri limitati, e che l’Italia è pronta a potenziare sul suolo libico, «anche perché è da lì – ricorda Pinotti – che arriva circa il 97 per cento dei migranti che poi finiscono in mano a sfruttatori e approdano sulle nostre coste. Quando non accadono tragedie, purtroppo frequenti». Ma il ministro indica con chiarezza due paletti perché parta questa attività di affiancamento in Libia. Il primo: «Una stabilizzazione politica» del Paese nordafricano che sembra ancora lontana, e «un’assunzione di responsabilità da parte della comunità internazionale. A livello Onu, Ue o Nato». Lo stesso impegno chiaro e operativo che l’Italia continua a chiedere sul fronte dell’immigrazione e dell’operazione Mare nostrum. Per ora con insufficienti risposte. Ma Pinotti non è pessimista: «Nel vertice dei capi si Stato e di governo della Ue di fine giugno è stato fatto un importante passo avanti nello stabilire l’obiettivo, se solo pensiamo alla riluttanza di molti Paesi, a cominciare dall’Inghilterra. Ma per noi è solo il primo passo. L’Italia si batterà per tutto il semestre perché il principio sancito della solidarietà di tutti gli Stati europei nell’emergenza sul versante Sud diventi operativa. È un punto d’onore del nostro programma di presidenza».
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