martedì 4 febbraio 2025
L'ipotesi che inquieta Bruxelles è quella dei dazi generalizzati al 10%. Serpeggia anche il timore che Trump possa spaccare il fronte degli accordi bilarerali. E si accelera sulla difesa europea
Il vertice di capi di Stato e di governo dell'Ue nel Palais d'Egmont di Bruxelles

Il vertice di capi di Stato e di governo dell'Ue nel Palais d'Egmont di Bruxelles - Ansa

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Germania e Francia provano a imporre la linea dura Costa sente Trudeau: «Asse Europa-Canada». Il timore di Bruxelles è che Trump possa spaccare il fronte con accordi bilaterali Bruxelles Pronti a reagire, ma mantenere la calma e cercare la via negoziale. Lo spettro dei dazi di Trump contro l’Ue è planato ieri sul “ritiro” dei 27 leader, una sorta di vertice super-informale e riservatissimo (con solo loro al tavolo, senza ambasciatori o consiglieri) nella sontuosa cornice del Palais d’Egmont, nel cuore di Bruxelles. Perché una cosa è chiara: l’Europa si aspetta di essere la prossima dopo il Canada, colpito da oggi, mentre il Messico ha strappato un mese di rinvio. Del resto, lo stesso Trump lo ha detto a chiare lettere in più occasioni: l’Ue sarà colpita da dazi. Dettaglio interessante: ieri si sono sentiti il presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa e il premier canadese Justin Trudeau. « Entrambi i leader – riferisce un alto funzionario Ue - hanno sottolineato l'importanza delle relazioni bilaterali Ue-Canada e hanno confermato la loro determinazione a continuare a lavorare insieme in tutti gli aspetti della nostra cooperazione ». Un’alleanza Ue-Canada anti-Trump? Lo sapremo più in là. Certo è che i leader hanno concordato una linea: una battaglia a colpi di dazi tra le due rive dell’Atlantico sarebbe dannoso per entrambe le parti. Quando emergono problemi tra due stretti partner come Usa ed Europa, è il messaggio, devono essere trovate soluzioni. A Bruxelles peraltro sventolano le ultime statistiche Eurostat: se è vero che nel 2023 l’Ue ha registrato un avanzo commerciale nei confronti degli Usa sul fronte delle merci pari a 155,8 miliardi di euro, gli Stati Uniti hanno a loro volta un avanzo di 104 miliardi di euro sul fronte dei servizi. Se però Washington colpirà, come tutti si aspettano, allora, come si suol dire, à la guerre comme à la guerre. « I dazi – dice un portavoce della Commissione Europea, in base ai trattati responsabile del commercio estero Ue – creano inutili sconvolgimenti economici e infiammano l’inflazione». Ciò detto, «l’Ue risponderà fermamente a qualsiasi partner commerciale che imponga arbitrariamente dazi su merci Ue». Secondo vari economisti, dazi generalizzati Usa del 10% sui prodotti Ue (l’ipotesi più probabile) potrebbero portare a un calo del Pil dell’Unione dello 0,5-1%. Nel 2018, quando Trump impose dazi su acciaio e alluminio europei, Bruxelles rispose colpendo vari prodotti in Stati chiave per il tycoon, dal whisky alle Harley Davidson, ai jeans. «Se venissimo attaccati sulle questioni commerciali – ha avvertito ieri il presidente francese Emmanuel Macron - l'Europa, come potenza unita, dovrà farsi rispettare e quindi reagire». « È chiaro – ha detto anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz – che, in quanto forte area economica, possiamo plasmare il nostro futuro e reagire a dazi politici con dazi politici. Dobbiamo farlo e lo faremo». « Dobbiamo dire con chiarezza – ha affermato il premier polacco Donald Tusk, che detiene il semestre di presidenza Ue – che qualsiasi piano di introdurre dazi e condurre una guerra commerciale sono un totale errore. Spero che una simile chiara, netta e amichevole posizione raggiunga l’amministrazione Usa». La speranza a Bruxelles e in varie capitali è in realtà di poter convincere Trump con strumenti negoziali, e viene considerato incoraggiante l’esempio del Messico. La Commissione, che già dall’autunno ha attivato vari team per studiare i possibili scenari con Trump, ipotizza come offerte per placare Washington anzitutto un forte aumento delle importazioni di gas liquido Usa (già quasi il 50% delle importazioni europee), ma anche di armi a stelle e strisce, in un momento in cui l’Unione punta a rilanciare la propria difesa. Molti esperti dubitano che basterebbe, del resto c’è un problem: Macron insiste che, almeno per le (ipotizzate) operazioni di acquisti congiunti di armamenti da parte di Stati Ue, prevalga il buy european. « Difficile pensare – commenta un alto diplomatico – che una simile posizione possa non far infuriare Trump». Parigi su questo è isolata, al suo fianco è praticamente solo la Grecia. Sullo sfondo un altro timore a Bruxelles: che Trump possa cercare di attuare il classico divide et impera, colpendo prodotti di Paesi Ue “ostili” (Francia, Spagna, Danimarca) e risparmiare quelli di “amici” (dall’Italia all’Ungheria). A Bruxelles sono ottimisti: «Ci provò Boris Johnson – commenta un diplomatico - ai tempi del negoziato sulla Brexit. Gli andò male, perché tutti capirono che un vantaggio immediato sarebbe stato un forte svantaggio nel medio-lungo termine ». I tempi, però, sono cambiati. Si vedrà.

Il nodo difesa

Rilanciare la difesa europea, con lo spettro di un ritiro Usa dal Vecchio Continente e la minaccia russa. È questo il motivo ufficiale
dell’incontro informale dei 27 leader nel cuore di Bruxelles. Nella lettera di invito, il presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa ha prospettato una «discussione franca, aperta e libera su tre questioni principali: quali sono le priorità che abbiamo bisogno di sviluppare in modo collaborativo. In secondo luogo, come garantiamo il finanziamento dei fondi necessari. In terzo luogo, come rafforziamo i nostri partenariati esistenti». Una riunione che ha visto due ospiti “esterni”:il segretario generale della Nato Marc Rutte e il premier britannico Keir Starmer. Il secondo, in vista di un Patto per la sicurezza Ue-Regno Unito. Non da poco, se si considera che i britannici, accanto ai francesi, sono gli unici in Europa a detenere armi nucleari (a parte ovviamente la Russia). Preme però la questione dei finanziamenti, che, neanche a dirlo, divide i Ventisette. In questi giorni, i Paesi Baltici insieme alla Polonia hanno fatto circolare un documento che chiede che l’Ue spenda 100 miliardi di euro entro il 2027. L’anno scorso la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha parlato di 500 miliardi di euro in dieci anni. Dove prendere tutti questi soldi? L’Olanda sostiene che se tutti i Paesi Nato rispettassero l’obiettivo del 2% del Pil in spese militari fa si avrebbero già 60 miliardi di euro. Problema: un Paese come l’Italia (ferma all’1,49% nel 2024) con altissimo debito, ha problemi ad aumentare la spesa militare
senza sforare i limiti del Patto di Stabilità, e per questo chiede una flessibilità su questo fronte appoggiata dalla Grecia (ma con il no dei “frugali” del Nord). Oltretutto, il segretario generale della Nato Mark Rutte chiede già di andare ben oltre quella soglia. «In un mondo più pericoloso – ha dichiarato - il 2% non sarà sufficiente a tenerci al sicuro. Dobbiamo investire molto di più. Dobbiamo anche rimpinguare le nostre scorte e in fretta, non c’è tempo da perdere. Aumentare la produzione di difesa è un'urgenza assoluta». La vede così anche l’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas. «L'obiettivo del 2% risale al 2014 – ha dichiarato -. I Paesi hanno avuto dieci anni per raggiungerlo (nel 2024 solo 22 su 32 alleati raggiungevano quella soglia, ndr), ma ora dobbiamo fare di più. In Europa è in corso una guerra su vasta scala e la Russia non ha cambiato i suoi obiettivi, quindi è necessario intensificare gli sforzi, il che richiederà decisioni difficili da parte degli Stati». Trump pretende addirittura il 5%, obiettivo considerato illusorio almeno nel breve termine. Vari Stati membri, tra cui anzitutto la Francia, ma anche l’Italia, la Grecia, i Baltici, chiedono debiti comuni (il premier ellenico Kyriakos Mitsotakis ha proposto un fondo comune da 100 miliardi). Colpisce che persino due “frugali” come Danimarca e Finlandia ora aprono a uno scenario del genere. Il problema è che radicalmente contrari rimangono Olanda, Germania, Svezia. Non basta: divisioni sono anche su dove acquistare le armi. La Commissione ha già proposto forme di acquisti congiunti tra Stati membri, ma Parigi insiste: solo armi europee. Altri, come Olanda,Germania e soprattutto la Polonia, non sono d’accordo. Del resto, tra il 2022 e il 2023 il 63% degli ordini sono stati verso gli Usa. Un esempio: il previsto scudo aereo europeo Sky Shield necessita di Patriot, prodotti solo negli Usa.


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