venerdì 13 settembre 2019
Un meccanismo diabolico che produce guadagni illeciti, torture, stupri e sparizioni di massa senza che nessuno si senta in dovere di intervenire
Un centro di detenzione libico (foto Ansa)

Un centro di detenzione libico (foto Ansa)

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L'Onu ha le prove: «La Guardia costiera libica trasferisce migranti in centri di detenzione non ufficiali», dove si ritiene che funzionari del governo «vendano i migranti ai trafficanti». Non prima di avere torturato, schiavizzato, stuprato. L’ultimo rapporto del segretario generale sulla Libia è già sul tavolo del procuratore del Tribunale internazionale dell’Aja. E non piacerà ai leader europei.

I crimini sono stati documentati e riassunti nelle 17 pagine che costituiscono un pesante atto d’accusa che Antonio Guterres ha messo nero su bianco, dopo avere raccolto le informazioni di tutte le agenzie Onu sul campo, coordinate dall’Unsmil, la missione delle Nazioni Unite a Tripoli. La sequenza di violazioni chiama in causa la responsabilità di quei Paesi, come l’Italia, che finanziano ed equipaggiano a fondo perduto le autorità libiche, senza mai riuscire a ottenere neanche il minimo impegno per il rispetto dei diritti fondamentali. Il 7 giugno l’Alto commissario per i diritti umani «ha invitato il governo di accordo nazionale - rivela Guterres - a lanciare immediatamente un’indagine indipendente per individuare le persone scomparse». Centinaia di migranti intercettati in mare, infatti, vengono regolarmente fatti sparire. Ma dell’inchiesta, nessuno sa nulla.

Alle donne, specialmente le più giovani, tocca il trattamento più infame. «Continuano a essere particolarmente esposte a stupri e altre forme di violenza sessuale». E stavolta le fonti non sono le organizzazioni umanitarie, ma gli osservatori delle Nazioni Unite a cui si sono aggiunti nell’ultimo anno gli investigatori della Corte penale dell’Aja. «L’Unsmil ha continuato a raccogliere resoconti da donne e ragazze migranti – si legge nel dossier – che erano state vittime di abusi sessuali da parte di trafficanti, membri di gruppi armati e funzionari». Nel periodo osservato sia le donne libiche che le straniere «hanno continuato a rischiare di subire abusi sessuali da parte delle guardie carcerarie».

Entro novembre il procuratore internazionale Fatou Bensouda depositerà un aggiornamento sulle investigazioni, ma dalla relazione di Guterres è facile prevedere alcuni dei capi d’accusa: «Perdita della libertà e detenzione arbitraria in luoghi di detenzione ufficiali e non ufficiali; tortura, compresa la violenza sessuale; rapimento per riscatto; estorsione; lavoro forzato; uccisioni illegali. I migranti hanno continuato a essere detenuti in sovraffollamento, in condizioni disumane e degradanti, con cibo, acqua e cure mediche insufficienti e servizi igienico-sanitari molto scarsi».

I colpevoli, secondo il segretario generale, sono indistintamente «funzionari statali, membri di gruppi armati, contrabbandieri, trafficanti e membri di bande criminali». Un cartello criminale che può contare sul ruolo decisivo dei guardacoste. I “soccorsi” in mare, infatti, riforniscono di migranti i boss del traffico internazionale, moltiplicando gli introiti. Le operazioni della cosiddetta Guardia costiera, fieramente sostenuta da Bruxelles e da Roma, sono una delle principali cause delle violazioni. Non è un caso che Guterres si guardi bene dal parlare di «soccorsi». «Il numero di prigionieri - si legge - è cresciuto a seguito dell’aumento delle intercettazioni in mare e della chiusura delle rotte marittime». Una manna per i contrabbandieri di vite umane.

Tutto alla luce del sole. «L’Unsmil ha continuato a ricevere segnalazioni credibili di detenzione prolungata e arbitraria, torture, sparizioni forzate, cattive condizioni di detenzione, negligenza medica e rifiuto di visite da parte di famiglie e avvocati da parte di i responsabili delle carceri e di altri luoghi di privazione della libertà». Al momento si contano 4.900 rifugiati e migranti detenuti nelle prigioni del governo, «ma un ulteriore numero sconosciuto di persone è detenuto in altre strutture» clandestine.

Il 29 luglio, vista «l’assenza di misure per far fronte a queste condizioni», l’Onu aveva chiesto «la chiusura di tutti i centri di detenzione». Invano.

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