domenica 18 ottobre 2020
In Valtrebbia, nei paesi rimasti isolati dopo il crollo del viadotto Lenzino con l’ultima piena del fiume: i bar sono deserti, i pendolari bloccati, gli studenti costretti a un viaggio di un’ora
Il ponte Lenzino come si presenta oggi e, a monte, il progetto del ponte nuovo (provvisorio) che sulla carta dovrebbe nascere in sei mesi

Il ponte Lenzino come si presenta oggi e, a monte, il progetto del ponte nuovo (provvisorio) che sulla carta dovrebbe nascere in sei mesi

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«Se entrano sei persone in un giorno è già molto. Crollato il ponte, finito il passaggio». Chiara Macellari ha 22 anni e a 19, a neanche un mese dall’esame di Maturità, ha aperto un bar a Rovaiola di Corte Brugnatella lungo la Statale 45 che porta a Genova, uno dei punti più panoramici dell’alta Val Trebbia. Una scommessa vinta, almeno fino al 3 ottobre, quando il ponte Lenzino alle 15.30 si è spezzato in due davanti agli occhi increduli di Chiara e di chi, in quel piovoso pomeriggio autunnale, aveva comunque scelto di farsi un giro nella valle che Hemingway definì «la più bella del mondo» e che, per la natura verdeggiante e l’acqua cristallina del fiume, attira turisti fin dalla Lombardia.

La sola buona notizia in questa storia è che non ci sono stati morti e feriti. «Per il resto, è una situazione tragica – sospira la barista –. Sto valutando se chiudere finché non apriranno il cantiere, spero porti un po’ di movimento. Altrimenti, sono più le spese del guadagno». Il “Bar Chiara” si trova a nemmeno sessanta metri dal ponte costruito nel 1880 che da almeno un decennio i sindaci della Val Trebbia hanno eletto simbolo dell’indifferenza di Anas alle loro ripetute richieste di ammodernare un’arteria fondamentale per il territorio. Giusto cinque mesi fa la società che gestisce la SS 45 fa aveva certificato che ponte Lenzino era in ordine. Ora ha aperto un’indagine interna – che si affianca a quella della Procura di Piacenza – e presentato un progetto per un ponte provvisorio di 2 milioni di euro, per il quale però ci vorranno sei mesi. «Un tempo infinito», sospira Chiara, pensando all’inverno alle porte.

Per chi, come lei, vive tra Corte Brugnatella, Ottone, Cerignale, Zerba, spostarsi è un’odissea. Il giro dell’oca: così gli studenti che ogni mattina alle 6.30 si radunano in piazza a Ottone per scendere a Bobbio hanno ribattezzato il tragitto alternativo, che sconfina nell’Appennino pavese, a tratti così stretto che se si incrocia un’altra auto bisogna scendere dalla carreggiata. «Sulla carta sono 11 chilometri, di solito si fa in 20–25 minuti, ma ora che tutto il traffico è deviato lì e con le condizioni climatiche in peggioramento il viaggio si allunga di un’ora. È un disagio notevole per i pendolari e che toglie ai nostri ragazzi ore di sonno e di studio. Siamo montanari, ci adattiamo a tutto. Però non è giusto, chiediamo rispetto».

Non nasconde l’amarezza Federico Beccia, sindaco di Ottone, 127 chilometri di strade e 32 frazioni, le più lontane a un’ora e mezza dal capoluogo. Lui stesso – che di professione fa il medico e quotidianamente percorreva il ponte incriminato – solo due giorni prima del crollo aveva segnalato un’anomalia. «Sentivo la macchina “saltare”, c’erano degli addetti di Anas e l’ho fatto presente. Il punto è che da dieci anni ci rispondono: “Stiamo monitorando”. Io ad Anas non credo più – si sfoga –. Da tre anni ho una carreggiata crollata, l’ho detto più volte, nessuno è intervenuto. Morale? La situazione è peggiorata».

Un ponte che taglia una vallata in due apre delle crepe nel tessuto sociale. «Ci siamo preoccupati anzitutto di assicurare un’assistenza sanitaria per le emergenze», spiega Beccia. Grazie all’Azienda Usl, dal 14 ottobre ad Ottone è presente un mezzo di soccorso avanzato, con personale del 118, che si affianca all’ambulanza della Croce Rossa del paese attiva h24. E c’è il capitolo negozi, osterie e ristoranti. «Eravamo ottimisti dopo l’ottimo afflusso turistico di questa estate. I gitanti della domenica sono spariti. A Natale il paese si ripopola, temo non verrà nessuno. E non si può pensare che le imprese edili o chi trasporta legna si imbarchi in strade inadatte. Bisogna fare presto con il nuovo ponte», ribadisce il sindaco di Ottone, che ha fatto fronte comune con i colleghi dell’alta Val Trebbia nel chiedere alla ministra dei Trasporti, la piacentina Paola De Micheli, di spingere per accelerare i lavori.

«Come mai per ricostruire oltre mille metri di ponte autostradale a Genova ci sono voluti 8 mesi e per ponte Lenzino, lungo 70, serviranno un anno e due mesi, se va bene?». Massimo Castelli, sindaco di Cerignale e coordinatore Anci Piccoli Comuni, è stufo dei discorsi altisonanti che si replicano nelle sedi istituzionali. «Il nostro miglior alleato è il Papa – dice convinto – che nella sua ultima Enciclica ha sottolineato il valore del creato, dell’inclusione, delle relazioni solidali, quelle che nei piccoli borghi si sperimentano ogni giorno». Eppure questa ricchezza, naturalistica ed umana, non è riconosciuta. «Non solo non abbiamo le “strade tecnologiche” (la mia zona sul fronte delle telecomunicazioni è ritenuta “fallimento di mercato”), pure quelle classiche cedono. Il ponte Lenzino è l’emblema di un abbandono».

Al di là della tempistica, gli amministratori insistono perché non ci si limiti a recuperare il vecchio ponte, nato in un’epoca in cui passavano carrozze e cavalli. Dopo le proteste del Duemila – il sindaco Castelli aveva pure depositato un dossier in Procura – si era arrivati ad un intervento nel 2011 e quest’estate sono spuntati cinque cantieri salva–strada. Non è bastato. «Vogliamo un ponte moderno e sicuro – ripete Castelli –. Non chiediamo privilegi. Vogliamo solo vedere garantiti i nostri diritti costituzionali, come ogni altro cittadino. È una questione di equità».

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