sabato 8 giugno 2019
17 nazionalità presenti nelle classi, 200 studenti di cui il 40% di origine straniera, un mestiere sicuro da spendere (bene) sul mercato: è l'Istituto professionale Dieffe di Valdobbiadene
La buona scuola multietnica dove i ragazzi «difficili» diventano cuochi
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Sarà una fine d’anno scolastico da leccarsi i baffi. Con un menù multietnico che propone specialità di 17 Paesi, quanti sono quelli di cui sono originari i giovani cuochi che le preparano. Oltre, naturalmente, a qualche piatto tipico della tradizione veneta, come risi e bisi e sarde in saor. Duecento studenti, oltre il 40 per cento provengono da famiglie di migranti, molti sono nati in Italia, un esempio d’eccellenza che testimonia con i fatti come la scuola può essere laboratorio di convivenza tra culture e identità diverse. Accade all’istituto professionale Dieffe di Valdobbiadene, nel cuore della Marca Trevigiana. Grazie all’interessamento dell’imprenditore Giancarlo Moretti Polegato, da quest’anno l’istituto ha trovato una splendida collocazione nell’edificio dell’antica Filanda di Valdobbiadene. Vengono proposti percorsi formativi di quattro anni nel settore della ristorazione e della produzione alimentare, che accompagnano gli studenti verso sbocchi occupazionali pressoché certi.

I numeri parlano chiaro: a sei mesi dalla conclusione degli studi, l’85% degli allievi qualificati o diplomati trova lavoro come cuoco, cameriere, pasticciere, casaro. Altro dato significativo, in un contesto formato da giovani che a volte provengono da situazioni familiari difficili e hanno alle spalle esperienze di evasione o di abbandono degli studi: la frequenza alle lezioni è pari al 95% del monte ore, con un livello di dispersione scolastica quasi nullo, rispetto a una media nazionale vicina al 15 per cento. «Quando varcano per la prima volta le porte del nostro istituto, molti di loro sono segnati da un’esistenza precaria e dalla tentazione di mollare tutto – spiega il preside Alberto Raffaelli, uomo appassionato a questo lavoro e tenace tessitore di rapporti con il fiorente mondo imprenditoriale locale che assorbe gran parte dei diplomati –. Per questo il primo passo del percorso formativo che la scuola propone è la scoperta del valore delle cose e soprattutto di sé: nessuno deve sentirsi definito dai suoi limiti o dagli errori che commette. Assistiamo allo spettacolo di una rifioritura umana che spesso stupisce gli stessi insegnanti». Una dinamica che viene favorita da attività come la ristorazione e la produzione alimentare che sono estremamente motivanti (l’allievo vede dalle prime ore di laboratorio il frutto del proprio lavoro).

Nell’ultimo trimestre gli insegnanti hanno costruito una “unità di apprendimento” basata sulla valorizzazione delle diverse culture, utilizzando la gastronomia e la convivialità come linguaggi di incontro e confronto. Gli studenti hanno realizzato videointerviste a genitori e nonni su tradizioni e piatti tipici dei Paesi di origine: un lavoro che sabato sfocerà in un grande banchetto multietnico a cui sono invitati i genitori, e durante il quale ogni ragazzo presenterà il piatto tipico preparato e la rispettiva intervista. Raffaelli non nasconde la soddisfazione: «In questo percorso i nostri giovani hanno conosciuto la storia che c’è dietro una specialità gastronomica e la ricchezza di cui ogni popolo è portatore, e hanno scoperto il valore del rapporto con la diversità. In una stagione in cui l’“altro” viene visto da molti come un pericolo, è un contributo alla costruzione della cultura dell’incontro di cui parla papa Francesco».
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