giovedì 29 dicembre 2022
Le Ong mai condannate per i reati che il nuovo Codice vorrebbe prevenire. Creazzo (Sos Mediterranee): già rispettiamo tutte le regole
Un'operazione di salvataggio nel Mediterraneo

Un'operazione di salvataggio nel Mediterraneo - .

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Il Codice di condotta del governo alle Ong è di fatto già in vigore, con l’assegnazione rapida dei porti di sbarco ma a giorni e a centinaia di chilometri dagli scali più vicini. Una modalità a cui si stanno subito adattando i clan libici che stanno moltiplicando le partenze potendo contare sulla sostanziale complicità della cosiddetta Guardia costiera e la desertificazione del Mediterraneo dove vengono tenute lontane navi civili e militari. La mossa del governo italiano, tuttavia, non tiene in considerazione l'ultimo rapporto del segretario generale Onu, Antonio Guterrez, che accusa direttamente quelle autorità libiche alle quali, secondo la "dottrina Piantedosi" nel solco dei suoi predecessori, le organizzazioni umanitarie dovrebbero sottostare.

La riprova, come ha documentato Sergio Scandura per "Radio Radicale", è di pochi giorni fa. Da Zawiyah, roccaforte del clan Al-Nasr, sono partiti tre barconi con oltre 300 persone arrivate autonomamente a Lampedusa. Un “messaggio” non da poco a Italia e Ue. Si tratta infatti della località dove spadroneggiano gli uomini di Abdurhaman al-Milad, quel Bija di cui il governo libico aveva chiesto all’Onu la sospensione delle sanzioni, ottenendo un netto “no” dal Consiglio di sicurezza. Poche ore dopo i barconi erano già in mare.

«Il nostro lavoro è già ampiamente regolato da un corpus piuttosto sostanzioso di norme internazionali, di Trattati e Convenzioni che regolano il soccorso in mare. Qualsiasi legge nazionale non può essere in contrasto con questo insieme di norme». A dirlo è Francesco Creazzo, portavoce di Sos Mediterranee, a proposito del cosiddetto Codice di condotta per le Ong voluto dal Viminale. «Le organizzazioni di soccorso civile non operano nell’anarchia», sottolinea Creazzo.

«Al contrario, ci muoviamo nel pieno rispetto di regole internazionali che quasi tutti gli Stati del mondo hanno firmato e ratificato», spiega. Ad oggi nessuna Ong è stata mai condannata, nemmeno in primo grado, per i reati che il Codice di condotta dice di voler prevenire. Il pacchetto di misure elaborato dal ministro Piantedosi prevede la possibilità di contrastare i salvataggi multipli compiuti da un unico assetto navale, di fatto costringendo le Ong a percorrere rotte anche di una settimana per raggiungere i porti del Nord Italia, sbarcare i naufraghi e poter ripartire, sostanzialmente consentendo di restare nell’area di ricerca e soccorso una volta ogni due settimane. Regole non scritte ma di fatto già seguite nelle ultime settimane con l’assegnazione in tempi record del porto di sbarco alle navi della flotta civile impegnate nel Mediterraneo. Un modo per aggirare l’accusa di tardata assegnazione dei porti, ma allo stesso tempo costringendo i superstiti dei campi di prigionia e delle traversate a lunghi giorni di navigazione prima di toccare terra.

Alla fine di agosto, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha riferito che c’erano 679.974 migranti in Libia. Il dato è contenuto nel report del segretario generale Onu consegnato al COnsiglio di sicurezza il. dicembre e reso pubblico nei giorni scorsi. «Molti migranti e rifugiati - si legge - hanno continuato a subire diffuse violazioni dei diritti umani e ad affrontare gravi problemi umanitari e di protezione». Al 27 novembre, «4.001 migranti erano detenuti in centri di detenzione gestiti dal governo». A Tazirbu, nel deserto libico, 231 migranti, tra cui 3 donne e 100 bambini, sono stati trattenuti «in un campo non ufficiale gestito da un funzionario del ministero dell’Interno e da cinque cittadini stranieri sconosciuti. Molti migranti sono stati sottoposti a estorsione». I sopravvissuti hanno riferito «della morte di sette uomini nel campo a causa di torture, mancanza di accesso all’assistenza sanitaria e fame. Alcuni che hanno trascorso tre anni nel campo hanno raccontato di aver contato 39 morti».

Nel rapporto le Nazioni Unite non parlano di persone “soccorse” dalle autorità libiche in mare, ma «intercettate e riportate in Libia dalla Guardia costiera», dove «continuano a essere detenute arbitrariamente in condizioni disumane e degradanti in centri ufficiali e non ufficiali gestiti da attori statali e non statali». Usare i migranti come scudi umani negli scontri tra faide non serve più a nulla. La loro vita non conta niente. «Il 7 ottobre, almeno 15 migranti sono stati uccisi in relazione a scontri a Sabratah - conferma il dossier - tra due gruppi di trafficanti di esseri umani. Undici corpi carbonizzati sono stati trovati in una barca attraccata e altri quattro corpi sono stati rinvenuti nelle vicinanze». Nel complesso «la situazione umanitaria e dei diritti umani dei migranti e dei rifugiati continua a destare grave preoccupazione». Ma di questo nel Codice di condotta italiano non c’è traccia.

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