giovedì 23 aprile 2015
​Il ministro spera di poter evitare la fiducia. La Commissione Affari costituzionali vota all'unanimità la legge, ma le opposizioni disertano il voto e spostano la partita in assemblea.
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Italicum alla prova finale, in aula da lunedì. Dopo l’approvazione di ieri nella commissione "geneticamente modificata", a maggioranza renziana, il testo della riforma elettorale passa al vaglio di un’assemblea molto più composita e ingovernabile. Così suona più preoccupato che mai l’ennesimo appello del ministro Maria Elena Boschi che chiede di combattere la battaglia a carte scoperte.«Mi auguro che da lunedì, in aula le opposizioni partecipino, anche perché uno dei relatori, il presidente della commissione Sisto, è proprio di Forza Italia», ragiona la titolare delle Riforme. E però Silvio Berlusconi è tutt’altro che tenero con l’Italicum 2.0 e proprio da Fi può arrivare la sponda alla minoranza del Pd, sempre più agguerrita con Matteo Renzi, dopo la sostituzione in commissione dei nove deputati della sinistra. Bersani e compagni l’hanno giurata al premier.La battaglia si consumerà in aula, dove, ricorda il ministro, «Fi ha già annunciato che chiederà la fiducia». Ma Boschi ancora spera nei suoi: «Mi auguro che tutti i gruppi parlamentari decidano di discutere senza ricorrere al voto segreto, che è una possibilità e non un obbligo, e che la battaglia avvenga a viso aperto».La sfida tra maggioranza e minoranza del Pd, però, va avanti, e continua a consumarsi anche fuori dall’aula. La sinistra resta divisa su diverse posizioni, e questo convince Renzi che la partita Italicum sia ormai in dirittura d’arrivo. «Siamo tranquilli – conferma Boschi – . La maggioranza è stata compatta in commissione e lo sarà anche in Aula». E anzi, di fronte all’ipotesi di un voto anticipato nel caso di fallimento della legge elettorale, «non è detto – per il ministro – che anche qualche partito di opposizione non ci ripensi. Fi aveva già votato al Senato questa legge».Ma da Forza Italia, Silvio Berlusconi smentisce. E all’appello di Boschi replica il capogruppo azzurro Renato Brunetta: «Paura, eh?». Il premier però non ne ha. E porta a casa il voto all’unanimità della commissione, dove è rimasto un solo rappresentante della minoranza dem. Le opposizioni, comunque, non hanno partecipato al voto. Lo stesso potrebbero fare anche in aula. Oppure potrebbero, appunto, chiedere il voto segreto, nel qual caso il premier potrebbe ricorrere alla fiducia. Anche con quattro richieste separate. Renzi non se ne fa un problema. Certo che poco gioverebbe ai suoi continuare con il braccio di ferro. Né si può pensare di abbattere il governo sulla legge elettorale, quando non si è arrivati all’affondo sul Jobs act. «La gente non capirebbe», ragionano i suoi. E tornare a votare con il Consultellum resta una minaccia che non fa presa su Palazzo Chigi, anche se qualcuno, come D’Attorre, la considera una via di uscita.Ma nella stessa sinistra democratica il ventaglio di posizioni resta ampio. La posizione dura di Bersani e Bindi non è unanime. E restano le polemiche per le dimissioni dell’ex capogruppo Roberto Speranza, che aveva fatto da anello di congiunzione tra le diverse sfumature di opposizione e la maggioranza renziana. E ora la sostituzione diventa ancora più difficile.Le insidie, insomma, non mancano e si concentrano proprio in quella opposizione interna che in pochi giorni ha visto tornare sulla scena sia Romano Prodi che Enrico Letta. Due personalità che hanno rinvigorito quanti vorrebbero tentare la conta. Ma alla vigilia delle regionali, sulle quali il premier vorrebbe mettere a segno la sua prova di forza, c’è chi già annuncia di voler fare un passo indietro. Davide Zoggia lo dice chiaramente: «La legge non mi piace ma non voterei contro la fiducia».
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