giovedì 8 agosto 2019
Come le Caritas sostengono sul territorio il peso di un’accoglienza che lo Stato non fa più. «Situazione drammatica, in autunno peggiorerà. Chi è rimasto nel limbo verrà assistito a nostre spese»
Da Nord a Sud, la svolta delle diocesi rimaste in prima linea: stop alla partecipazione ai bandi delle prefetture, così ci prepariamo ad andare avanti da soli «In molte strutture i posti sono già tutti occupati, ne apriremo altre ma forse non basterà. E continueranno a darci addosso. Non escludiamo l’obiezione di coscienza».

Da Nord a Sud, la svolta delle diocesi rimaste in prima linea: stop alla partecipazione ai bandi delle prefetture, così ci prepariamo ad andare avanti da soli «In molte strutture i posti sono già tutti occupati, ne apriremo altre ma forse non basterà. E continueranno a darci addosso. Non escludiamo l’obiezione di coscienza».

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Il decreto sicurezza sta facendo aumentare gli irregolari, i cosiddetti "clandestini", a rischio di espulsione, ma che già ora finiscono in strada. Quelli che avevano la protezione umanitaria che non potranno più rinnovare, quelli che non hanno più diritto a entrare nello Sprar, gli espulsi dai Cas, quelli che si vedono respinta la richiesta d’asilo. È la denuncia che fanno le Caritas diocesane, dal Nord al Sud, impegnate ad aiutare quelle "vite nel limbo" che Avvenire sta raccontando in questi giorni, gli immigrati che dopo il decreto Salvini hanno perso il permesso di soggiorno e spesso anche il lavoro.

Una situazione già grave oggi ma «che peggiorerà in autunno. Allora gli effetti negativi del decreto sicurezza saranno più visibili – spiega Oliviero Forti, responsabile Immigrazione di Caritas Italiana –. Noi, su richiesta delle diocesi, ci stiamo preparando a questa situazione promuovendo il progetto finanziato dalla Cei che si chiama "Apri", acronimo dei quattro verbi dell’accoglienza indicati del Papa: accogliere, proteggere, promuovere, integrare. Un sistema di accoglienza territoriale, soprattutto per le persone che non avendo nessun altra possibilità troveranno nelle nostre Diocesi almeno un minimo di supporto. Non partecipiamo ai bandi delle prefetture e lo faremo con risorse nostre. Hanno chiesto ai vescovi di occuparsi degli immigrati e i vescovi lo fanno». E le Caritas diocesane già sono in campo anche a costo, dicono, di «fare obiezione di coscienza al decreto sicurezza», e col rischio di «essere trattate come le Ong, ma di terra».

MILANO. «In questo momento stiamo accogliendo 50 immigrati colpiti dal decreto sicurezza che senza il nostro intervento sarebbero finiti in strada. Questo non è giusto e abbiamo deciso di fare obiezione di coscienza al decreto e di farcene carico, senza risorse pubbliche». Così spiega le iniziativa della Caritas ambrosiana il portavoce Francesco Chiavarini. Anche a Milano, spiega, «tutti gli immigrati che avevano come chance l’umanitaria, ora non hanno più questa possibilità e sono dei potenziali "clandestini". Non basta cancellare con un tratto di penna l’umanitaria, non spariscono. Dovrebbero deportarli. Siccome non è ancora possibile farlo, rimangono e finiscono in strada. Questo non è solo contrario all’umanità ma anche al buon senso. A meno che non si voglia creare apposta tensione e insicurezza». Ed è solo l’inizio. «Gli effetti più gravi – avverte – li vedremo a fine anno, quando scoppierà il bubbone. Ora vediamo solo la punta dell’iceberg».

ROMA. Nella Capitale «sicuramente gli irregolari sono aumentati – spiega Lorenzo Chialastri, responsabile area immigrati della Caritas diocesana –. L’ostello di via Marsala, è sempre pieno e proprio di queste persone. In una situazione di incertezza aumenta la pressione sui nostri servizi». Anche per lui «il problema scoppierà a fine anno», ma intanto la Caritas si è attivata. «Siamo intervenuti in alcuni casi di donne con bambini e siamo riusciti a riconvertire alcuni permessi di soggiorno». Ma ci sono altre persone a rischio. «Qualcuno che aveva l’umanitaria per motivi sanitari è riuscita a convertirla in permesso di soggiorno per cure mediche, previsto dal decreto sicurezza, ma dura solo un anno e non è rinnovabile né convertibile. Che fine faranno?».

AVERSA. Allo sportello della Caritas di Aversa «c’è già la fila di chi non ha più l’umanitaria e sta provando in tutti i modi a non finire nell’irregolarità. E vengono a chiederci un aiuto», racconta Roger Adjicoudé, responsabile Area Immigrazione. «Alcuni stanno cercando di avere dei contratti per poter avere il permesso di soggiorno per motivi di lavoro, ma serve avere il certificato di residenza. Alcuni comuni lo stanno dando, altri no, come Castel Volturno».

FOGGIA. Anche a Foggia «si stanno vedendo gli effetti negativi del decreto sicurezza con molti immigrati a rischio perché possono avere il decreto di espulsione da un giorno all’altro – denuncia la direttrice della Caritas, Giusy Di Girolamo –. Il decreto non fa che aumentare il lavoro nero. Chi aveva un lavoro in regola dopo aver perso il permesso di soggiorno perde anche il lavoro perché non gli può essere rinnovato. E così diventa irregolare e vittima degli sfruttatori». Lo spiega bene l’avvocato Stefano Campese, coordinatore pugliese del progetto Presidio. «Chi è riuscito prima del decreto Salvini a convertire l’umanitaria con i motivi di lavoro, si è salvato. Ma chi ha perso l’umanitaria perde anche il lavoro. E così non riesce a dimostrare di essere integrato. Abbiamo fatto tanti tentativi ma abbiamo perso. Perché c’è la mancata possibilità di dimostrare l’attualità dell’integrazione lavorativa. Quindi si diventa irregolari. Così chi ha un lavoro stabile anche con un reddito superiore ai mille euro e un regolare contratto d’affitto, finisce per diventare irregolare e col decreto di espulsione. È produzione di clandestinità. Clandestino con reddito».

REGGIO CALABRIA. «Una donna marocchina incinta al nono mese l’abbiamo dovuta accogliere noi altrimenti era per strada», denuncia don Nino Pangallo, direttore della Caritas di Reggio Calabria. Anche qui, spiega, «sono in aumento le persone senza protezione e che si rivolgono ai nostri centri d’ascolto. Non c’è nessuno che se ne faccia carico. E invece di aumentare la sicurezza si crea più instabilità sociale». E il volontariato tocca con mano questa situazione. «Sono aumentati gli irregolari finiti sulla strada – dice Bruna Mangiola, scout del Masci e responsabile del Coordinamento ecclesiale sbarchi della diocesi –. Ma per loro non ci sono risposte. Gente che finisce a bere per disperazione e si spacca fegato e cervello. O delinquono e finiscono in carcere. Ma tutto era prevedibile». Non è da meno Giovanni Fortugno, referente immigrazione della Comunità Papa Giovanni XIII. «Si parla di rimpatri ma non esistono. Sono sempre più le persone che chiedono un aiuto. Ma che non trovano una soluzione. E anche noi non siamo tutelati. Ci tocca sostituirci alle istituzioni col rischio di essere denunciati. È un paradosso. Se li accolgo mi viene appioppata una denuncia per favoreggiamento della clandestinità, così rischiamo di diventare come le Ong ma in terra. Già rischiavamo prima, oggi ancora di più. Ma il fine è chiaro: se spari sul mucchio alla fine colpisci qualcuno. E alla fine è caos, allarme sociale che giustifica il decreto sicurezza».

RAGUSA. «Il problema di chi diventa irregolare e finisce in strada è reale», anche nel Ragusano. E ancora una volta la Caritas è in prima linea come ricorda il direttore Domenico Leggio. «Abbiamo tutti i posti pieni in strutture messe a disposizione dalla Diocesi e senza contributi di nessuno. Prossimamente ne apriremo altre due. Ma forse la volontà è quella di lasciarli sul territorio in questa maniera. Danno addosso alla Chiesa e al Terzo settore ma sono le uniche realtà ad occuparsene». Anche qui gli immigrati a rischio sono gli ex umanitaria, i diniegati e chi non riesce a trovare un contratto di lavoro. Così c’è anche chi ne approfitta. «C’è chi viene a chiederci di aiutarlo a trovare chi gli fa un contratto, ed è disponibile a pagare. Un contratto finto, una "cortesia" che viene pagata. Si acquista anche la residenza, un contratto di affitto fittizio. Un fenomeno che noi contrastiamo col progetto Presidio, orientandoli sulle modalità legali per superare queste difficoltà».

DA SAPERE Clandestino, termine sbagliato

Secondo l’Associazione Carta di Roma, che punta a dare attuazione al protocollo deontologico per una informazione corretta sui temi dell’immigrazione, la parola 'clandestino' contiene un giudizio negativo aprioristico, suggerisce l’idea che il migrante agisca al buio, di nascosto, come un malfattore. È un termine giuridicamente sbagliato per definire chi tenta di raggiungere l’Europa e non ha ancora avuto la possibilità di fare richiesta di protezione internazionale, e chi invece ha fatto la richiesta ed è in attesa di una risposta (i migranti/richiedenti asilo). È un termine giuridicamente sbagliato anche per definire chi ha visto rifiutata la richiesta d’asilo e ogni altra forma di protezione (gli irregolari).
Per l’Associazione, la parola 'clandestino' va cancellata dal linguaggio giornalistico, perché produce una percezione distorta del fenomeno migratorio. 'Avvenire' ha aderito alla richiesta dei firmatari della Carta di Roma, affinché si utilizzi un linguaggio corretto in materia di immigrazione.

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