mercoledì 5 ottobre 2022
Intervista al leader del movimento che riparte dalla rimonta elettorare dopo la crisi e punta a «concentrarsi sulle grandi emergenze che sta vivendo il nostro Paese»
Giuseppe Conte durante alla  chiusura della campagna elettorale del M5stelle a Roma il 23 settembre scorso

Giuseppe Conte durante alla chiusura della campagna elettorale del M5stelle a Roma il 23 settembre scorso - Ansa

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La sede in via di Campo Marzio è a tutti gli effetti un «work in progress». Arredamento minimal, divanetti di un leggero giallo ocra, pochissimi simboli di partito. Nel suo studio, il presidente del Movimento Giuseppe Conte siede dietro un tavolo in legno bianco che a stento contiene faldoni e documenti. È da qui che l’ex premier pianifica le prossime mosse per non perdere la scia di una rimonta elettorale costruita con pazienza. «Sono un uomo cresciuto a contatto con la terra, con i piedi ben piantati, ho bisogno di non perdere contatto con il popolo... abbiamo costruito e ricostruito passo dopo passo e con le nostre forze», tira le fila il leader M5s. Davanti c’è la traversata di una opposizione «durissima ma seria» che l’ex premier vuole capitalizzare per costruire un’alternativa di governo. «Per raggiungere obiettivi di trasformazione della società – spiega – ci vogliono progetti politici con obiettivi chiari, mentre Giorgia Meloni ha iniziato dicendo e facendo le stesse cose di Mario Draghi». Ragiona come se il tempo fosse dalla sua parte, Conte. «Bisogna saper aspettare, non farsi travolgere dall’ambizione», continua nell’unico rapido accenno a Di Maio e a chi ha lasciato il Movimento.

Ma ora da dove riparte M5s, dopo il voto?
In questo momento c’è da concentrarsi sulle grandi emergenze che sta vivendo il nostro Paese. La crisi energetica con il caro-bollette e l’elevata inflazione, con il preoccupante scenario del conflitto russo-ucraino.

Come rispondete a questo «scenario preoccupante»? Ci sono voci che si stanno muovendo per chiedere pubblicamente di cambiare passo sui negoziati di pace, unirete la vostra voce?
Proprio su questo punto, mi piacerebbe che i cittadini che vivono con preoccupazione l’escalation militare in corso potessero ritrovarsi a manifestare per invocare una svolta negoziale che ponga fine al conflitto. Credo siano tanti anche tra gli elettori del centrodestra. L’ossessione di una ipotetica vittoria militare sulla Russia, che nel frattempo continua nella sua efferata e ingiustificata politica di aggressione, non vale il rischio di un’escalation con un folle ricorso a testate nucleari e armi non convenzionali nonché il rischio di una severa recessione economica che può ulteriormente schiacciare le nostre economie. Se questa mobilitazione si concretizzerà il Movimento ci sarà, anche senza bandiere.

Come risponde a chi sostiene che una piazza per la pace indebolirebbe la posizione internazionale dell’Italia?
"Pace" non può essere una parola associata alla debolezza. E le parole di papa Francesco non indeboliscono certo la comunità internazionale. Desta perplessità poi la decisione ultima di Zelensky di bandire la pace con decreto. L’anelito di pace non può in nessun modo minare la statura del nostro Paese. Al contrario, ritengo che questa iniziativa rafforzerebbe il ruolo dell’Italia. Una iniziativa con la società civile consentirebbe all’Italia di ritrovare un protagonismo diplomatico, ovviamente coinvolgendo gli altri partner Ue. Finora l’Europa risulta "non pervenuta": purtroppo appare totalmente appiattita su questa strategia angloamericana, e questo mi preoccupa per gli scenari geopolitici futuri. Stiamo parlando di una guerra su suolo europeo e allo stato anche un eventuale negoziato di pace si svolgerebbe sopra la testa dei nostri Paesi. Si prospetta un tracollo di credibilità per l’intera Unione Europea.

Quale è la sua proposta allora?
L’Ue deve farsi promotrice di una conferenza internazionale di pace, da svolgersi in sede europea sotto l’egida delle Nazioni Unite, con il pieno coinvolgimento del Vaticano.

Sull’energia, l’Ue si trova nelle stesse secche che lei da premier affrontò durante la pandemia. Poi lo sbocco fu il Recovery plan. Cosa manca per trovare una quadra?
Ricordo benissimo le resistenze che incontrai da parte di Germania e Olanda sul Recovery fund. Ma ricordo anche che non mi arresi affatto. Già a marzo 2020 predisposi una bozza di lettera coinvolgendo altri Paesi per creare un fronte comune. Il secondo passaggio forte per rimuovere resistenze durissime fu parlare direttamente alle opinioni pubbliche, in particolare tedesca e olandese. In Draghi sono mancati, e mi è dispiaciuto molto, la visione, il coraggio e la determinazione. Anche la voglia di scontrarsi, se necessario, come feci io con la Merkel. Quando affrontammo il tema della solidarietà sui migranti, ai leader europei dissi «amici avvisate i vostri staff di spegnere i motori negli aeroporti, qui si farà notte». Qui si sta distruggendo il tessuto produttivo, ognuno va per conto suo, facendoci competizione tra di noi stiamo contribuendo ad alzare i prezzi del Gnl mentre la Norvegia e gli Usa stanno facendo affari d’oro.

La necessità però è quella di avere un Paese politicamente coeso intorno alla richiesta del "price cap".
Prima ancora che il "price cap" dovremmo varare un piano d’acquisto comune: è questa la strada perché l’Ue diventi un acquirente unico e conquisti nel mercato internazionale una forza contrattuale pazzesca. Il secondo intervento è contrastare le speculazioni sulla borsa di Amsterdam con il Ttf. Il terzo è la tassazione sugli extraprofitti. Qui il governo dei migliori ha toppato e le ipotesi sono due: o non ha saputo scrivere la norma o non ha voluto scontentare gli interessi di alcuni gruppi industriali. Una forza politica come la nostra, che ha fatto campagna elettorale con donazioni di 3 e 4 euro e non con cordate imprenditoriali alle spalle, saprebbe come scrivere una norma sugli extraprofitti senza dover rendere conto a nessuno. Vedremo se Meloni avrà questa forza di agire libera da condizionamenti.

Sulle misure europee, lei lo sa, quando la Germania alza muri non è facile.
La reazione della Germania non è nella direzione di una vera solidarietà europea. Già lanciando un investimento di 100 miliardi in spese militari ha dimostrato di voler agire nel modo peggiore. E nel momento stesso in cui utilizzi il tuo spazio fiscale secondo una logica individualista, contribuisci a rendere il mercato comune europeo sempre più asimmetrico, lo disintegri nei fatti. Noi abbiamo combattuto contro queste logiche egoistiche e oggi rivendico con forza che al netto di chiacchiere e caricature il Movimento cinque stelle è la forza più europeista che siede in Parlamento. Di debito comune europeo ne parlava Delors e il Recovery che abbiamo ottenuto vale più della modifica di un Trattato.

Sarà in ogni caso Giorgia Meloni a dover portare avanti le necessità dell’Italia in Europa. Il Paese deve augurarsi che abbia successo.
Mi pare che Meloni stia portando avanti le stesse idee e gli stessi toni del governo Draghi uscente. Se tanto mi dà tanto possiamo già escludere svolte sull’Energy Recovery Fund che chiedo dal 26 febbraio, ma anche, sul piano interno, sugli extraprofitti e su misure straordinarie per famiglie e imprese.

Con opposizioni in trincea sarà ancora più difficile per la probabile nuova premier raggiungere risultati per il Paese.
Da noi avrà un’opposizione sicuramente più corretta e responsabile di quella che fece lei. Non andrò in TV a dire che la premier è una «pazza criminale». Non giocherò, come fece lei in pandemia, a dire il contrario - «aprite» quando era il momento di chiudere e «chiudete» quando era il momento di aprire - o ad aizzare le folle dicendo che bisogna distribuire mille euro a ogni famiglia.

Restano le cose su cui tardiamo e titubiamo noi, come i rigassificatori. Così non ne usciamo…
Ribadisco che per noi i rigassificatori galleggianti come soluzione temporanea ci possono stare. Ma non a Piombino, con un’architettura industriale abbandonata e piena di amianto e con opere di bonifica mai completate. È assurdo pensare di risolvere questo problema mandando i militari, come proposto da Calenda, per imporre una scelta dall’alto a una comunità tradita.

Con l’avvicinarsi della manovra, cresce il dibattito sul Reddito di cittadinanza. Farete le barricate?
Lasciatemi dire una cosa: si sta combattendo con furore ideologico una battaglia contro i poveri. Per combattere me e il Movimento si calpesta la dignità delle persone. La polemica pubblica sta diventando infamante. Paragonano i percettori del Reddito a tossici. Ho letto opinionisti che sostengono che con il Reddito abbiamo portato gli elettori alle urne come fanno i russi con i fucili in Donbass. Non permetteremo questo indegno linciaggio nei confronti degli ultimi.

A un tavolo per rivedere il Reddito ci sareste?
Il principio è: non un euro in meno a chi ne ha diritto e bisogno. Poi vogliamo migliorare le politiche attive? Abbiamo qui le nostre proposte, confrontiamoci. Ma se pensano di ricavare qualche miliardo dal Reddito, non gliela daremo vinta. E guardi, lo dico vedendo Meloni che si muove proprio come si muoveva Draghi, con l’obiettivo di smantellare le nostre riforme per fare cassa. Non lo permetteremo.

Dica la verità: su cashback e Superbonus ha ancora il dente avvelenato con il premier…
Ancora oggi non mi spiego il motivo per cui sia stato cancellato il cashback con un tratto di penna. C’era necessità di rimodularlo? Pienamente d’accordo. Ma abolirlo è stato un gesto incomprensibile a fronte di una misura che ci consentiva di contrastare l’economia sommersa. Incomprensibile anche l’accanimento contro il Superbonus.

Francamente quel numeretto, 110%, ha fatto crescere i prezzi delle materie.
Andate a vedere l’andamento dei prezzi delle materie negli altri Paesi. Vedrete che sono aumentati anche di più in Paesi europei dove non c’è il superbonus, a dimostrazione che le due cose non sono collegate. E tutti i dati economici di enti super partes dicono che il 110% ha fatto bene alla crescita del Paese.

Ora come riorganizzerà M5s da qui a cinque anni?
Adesso ci dobbiamo dedicare a lavorare sui territori. Non arriveremo mai al partito tradizionale, che è in crisi, ma un minimo di architettura ce la dobbiamo dare. Nasceranno i gruppi territoriali, con adesione telematica e autorizzazione "centralizzata" in modo da evitare la tentazione di qualcuno di usare M5s come un tram: non possiamo farci "infiltrare".

C’è un pezzo di sinistra che guarda a lei. Cosa risponde?
Non mi pongo il problema di erodere la base del Pd. Io mi occupo di definire la nostra proposta di trasformazione della società e allargare il consenso. Ci sono nella galassia del Pd e della sinistra tante personalità che hanno dichiarato di aver votato M5s e che guardano a noi, perché ci riconoscono che abbiamo portato avanti un’agenda autenticamente progressista e democratica. Proprio in virtù di questo, non abbiamo intenzione di assorbire pezzi di apparati, ci interessa invece aprirci e dialogare con questa galassia, con la società civile. Adesso partirà la "Piazza delle Idee", dove anche chi non è iscritto, e non vuole iscriversi, potrà dare un contributo. Non ci faremo schiacciare sulla caricatura del partito dell’assistenzialismo, ma continueremo a strutturarci come una forza politica che è passata definitivamente dalla protesta ad una netta proposta di equità sociale e pace.

In realtà ci sono anche proposte più radicali: ad esempio una "fusione" tra Pd e M5s.
Questo dibattito rischia di prendere una piega ridicola. "Fusione" per andare dove, per fare cosa? Il Pd si è dimostrato a tutti gli effetti un partito di sistema, pronto a procacciarsi la benedizione di chi conta e lento a rispondere al disagio di chi è invisibile. Ero buon profeta quando frenavo sull’alleanza strutturale. Avvertivo che il rischio era di giungere a un compromesso al ribasso. Il Movimento deve invece conservare la propria forza, travolgente e innovatrice, identità e autonomia.

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