venerdì 18 maggio 2018
Parla l'imprenditore veneto amico del governatore Zaia ed ex assessore della giunta Raggi
Massimo Colomban, imprenditore (Ansa)

Massimo Colomban, imprenditore (Ansa)

COMMENTA E CONDIVIDI

«Confesso: all’inizio ero scettico davanti all’unione "a freddo" fra questi due movimenti, non facile per governare. Dopo aver visto il Contratto, dico però che lo ritengo equilibrato per la parte economica. Vedo attenzione alla necessità primaria, che resta quella di far ripartire l’economia sostenendo le imprese, dopo che gli ultimi 10 anni hanno visto impoverirci del 40% rispetto alla Germania». Massimo Colomban, 68 anni, è la persona più adatta per scrutare "dentro" il costituendo governo giallo-verde avendo incarnato negli anni tanto l’anima leghista (da grande imprenditore veneto, buon amico del governatore Zaia) quanto quella pentastellata: assessore (alle Partecipate) per un anno nella giunta Raggi a Roma, veniva presentato da Beppe Grillo come potenziale ministro dell’Economia.

Cos’è che la sta convincendo?
Temevo che non riuscissero ad amalgamare le loro due visioni. Il Movimento era notoriamente tutto proteso a misure di spesa sociale, senza preoccuparsi troppo delle coperture finanziarie. Era privo di una decisa volontà di sostenere le imprese. L’integrazione con un partner come la Lega, che "sente" lo spirito imprenditoriale del Nord, mi pare che stia producendo qualche esito.

La sintesi sta riuscendo, dice?
Io vengo dall’impresa. Un manager maturo è senz’altro più attento a evitare errori. Ma uno giovane ha più energie e voglia di fare. Vale lo stesso per M5s e Lega. Sono movimenti fatti da persone giovani: faranno errori, come li fanno tutti i giovani, ma non per questo va negata loro fiducia a priori. Specie davanti ai guai in cui versa l’Italia oggi.

Come lo vede questo Paese?
È un’azienda che fa acqua da tante parti. Abbiamo 2 milioni di giovani che lavorano all’estero. Per questo non mi importano le aree politiche, ma i progetti di chi farà di tutto per creare lavoro, per restituire dignità a milioni di cittadini. Questa crisi è stata drammatica per noi: in 15 anni abbiamo perso rispetto alla media Ue il 25% di Pil, tornato ai valori del 2004. Metà delle 3.500 maggiori imprese è stato venduto o svenduto. E con le aziende vanno in crisi anche le banche.

Da dove ripartire?
Per migliorare il benessere degli italiani, l’aumento del Pil è l’unico vero reddito di cittadinanza, misura su cui resto diffidente. Bisogna creare però un "ecosistema" favorevole alle imprese. Troppa burocrazia e troppe tasse le stanno sfiancando. Bene, quindi, l’ipotesi due aliquote, anche se lascerei al 25 per cento quella marginale. Ogni nuovo occupato genera entrate per lo Stato, rispetto ai 10mila euro medi di costo rappresentato da un disoccupato. Do solo un dato: se occupassimo 3-4 milioni di disoccupati recupereremmo a tassazione fino a 160 miliardi di maggiori entrate. Ma deve essere lavoro "vero". Nella mia esperienza da assessore ho trovato realtà pubbliche con anche un 30 per cento di personale in più del necessario.

Non trova deboli le coperture?
È un punto cruciale. Per individuarle bisogna conoscere bene il bilancio. Come ReteSi.org (l’associazione d’imprese di cui è promotore, ndr) abbiamo inviato un documento ai 2 partiti. La chiave sta nel riqualificare l’ingente spesa pubblica.

Ma come? Non ci è riuscito Mario Monti.
Bisogna trovare evidentemente nuove leve per aggredirla. Tenendo presente che il grande, enorme bubbone è la spesa sociale totale. Non si tratta di infierire sui più deboli: anche escludendo la sanità, spendiamo 352 miliardi l’anno, più del doppio della media Ocse. Anche sul personale non si tratta di licenziare: ogni anno va in pensione circa il 2 per cento dei dipendenti, ma si può stabilire che se hai un organico sopra la media un’amministrazione non può assumere. E molto si può recuperare dalla lotta alla corruzione, dove vedo che è stata accolta la mia idea del Daspo per i corrotti.

Come valuta il "fiato sul collo" dell’Europa?
Premesso che bene hanno fatto a escludere la temerarietà di uscire dall’euro e che vanno cercate alleanze con altri governi per non restare isolati, non si può nemmeno essere ancora arrendevoli. Serve un nuovo "verbo" in Europa. L’Unione ha avuto il tremendo difetto di adottare una logica di misure esattamente uguale a quella dei mercati speculativi e delle aziende che danno incentivi ai manager puntando tutto sul risultato a breve. Un Paese deve guardare invece al periodo medio-lungo. La moneta deve servire all’economia, ma se viene gestita da chi vuole acquistarci "a sconto", come hanno ampiamente fatto nell’ultimo decennio adottando politiche superate dalla realtà, non possiamo chiudere gli occhi e continuare così. Taluni messaggi devono arrivare.

E cosa non la convince ancora?
Le opere pubbliche: non si possono fermare. E la costruzione di nuove carceri: nel mondo ormai si privilegiano le più proficui pene alternative, limitando il carcere ai soggetti davvero pericolosi.

Non vede più il rischio Venezuela con M5s al potere, come aveva detto in una recente intervista?
No. Ora scorgo una maggiore maturità, hanno molto calmierato alcuni discorsi. Quella, d’altronde, era una battuta riferita a Grillo. Io venivo poi dall’esperienza romana dove le linee-guida del "tutto pubblico" erano quasi un obbligo. Beppe mi chiamò e mi disse qualche mala parola, ma con lui c’è un rapporto antico, continuiamo a sentirci.

Insomma, è ottimista?
Essendo un patto a due, tutto dipenderà dalla capacità di sapersi ascoltare fra loro e dal saper ascoltare anche gli altri. Conosco Di Maio: è moderato, sa ascoltare, mi dà fiducia. Idem Salvini. D’altronde ottimisti dobbiamo esserlo. Se falliscono, quali e quante chance ci restano per una svolta?

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: