sabato 27 dicembre 2014
Intervista al ministro degli Esteri: l'Is è una minaccia al mondo, opzione militare irreversibile. Per i due marò vogliamo soluzioni rapide. E sui cristiani perseguitati: si può e si deve fare di più. (di Arturo Celletti)
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La minaccia terrorismo c’è. È reale. Ma guai a dire islam uguale terrorismo o immigrati uguale terroristi». Paolo Gentiloni per qualche istante si ferma a pensare. Poi fissa quei due punti con parole ancora più nette. Punto uno: «Guai a criminalizzare l’islam, questo è il tempo del confronto e del dialogo interreligioso». Punto due: «Chi spinge gli italiani a pensare che i barconi che approdano sulle nostre coste siano pieni di terroristi fa violenza alla realtà e crea un enorme danno culturale». Il ministro degli Esteri parla per settanta minuti. Dei cristiani perseguitati e della lotta al terrorismo; della necessità di intervenire in Libia e delle sanzioni alla Russia; di Cuba e di un mondo che cambia. Poi vira sull’economia e avverte la Ue: impariamo da Obama, è l’ora della crescita e degli investimenti. Siamo alla Farnesina, è passato da poco mezzogiorno. Gentiloni ha appena ricevuto il nostro ambasciatore a Delhi per fare il punto sulla lunga trattativa sui marò. I messaggi del ministro sono duri, ma non c’è chiusura, non ci sono ultimatum. «Siamo rimasti profondamente delusi dalla decisione della Corte suprema del 16 dicembre. Sì, delusi perché i contatti e il dialogo con il governo indiano non hanno prodotto i risultati attesi». Gentiloni pensa a Massimiliano Latorre che è in Italia perché malato e che l’India rivuole indietro. A Salvatore Girone che è ancora in India e a cui è stato negato anche un permesso per passare le feste a casa. «Il governo ha il dovere di far sentire la vicinanza del Paese intero ai due marò. Alle loro famiglie. Soprattutto in questi giorni di festa», ripete il ministro che proprio dopo aver sentito l’ambasciatore italiano vuole mandare un nuovo messaggio al governo indiano. «Sentiamo parlare di dialogo aperto da parte di varie voci del governo indiano ma, francamente, ci aspettiamo risultati rapidi e tangibili. Perché dopo quello che è successo dieci giorni fa non possiamo più accontentarci di generici riferimenti a un dialogo. Ripeto: la decisione per noi è stata grave anche perché sono state respinte petizioni ispirate da evidenti ragioni umanitarie. E la nostra delusione ci ha indotto a richiamare in Italia per consultazioni il nostro ambasciatore a Delhi». Ancora una pausa. «...Questo non implica l’interruzione dei contatti e la rottura delle relazione diplomatiche; ma serve per manifestare la nostra contrarietà e per mettere a punto i passi successivi».  Ministro, i cristiani nel mondo continuano a essere perseguitati, ma ancora manca una risposta decisa dei governi...I cristiani sotto attacco sono una delle emergenze drammatiche del nostro tempo e il rischio che proprio nei luoghi dove è nato il cristianesimo l’aggressione alle minoranze cristiane cresca di intensità è terribilmente reale. C’è voglia di reagire, c’è un risveglio di sensibilità dei parlamenti e dei governi occidentali, ma ancora non basta. Si può fare di più, si deve fare di più. Si può e si deve riflettere sulle parole di Papa Francesco. E fare i conti con un’emergenza umanitaria che reclama risposte forti e immediate. Sono appena tornato dall’Iraq, dal Kurdistan. Ho nella testa immagini che impongono una riflessione sulla ferocia dei terroristi, sulle loro azioni. E, parallelamente, un impegno del fronte anti-Daesh (l’acronimo arabo dello Stato islamico, ndr) sempre più corale e più netto. Un impegno anche militare...Sì, anche militare. La coalizione anti-Is ha garantito risultati sul piano della sicurezza e risultati sul piano umanitario. Senza questo intervento gli yazidi sarebbero stati sterminati e le minoranze cristiane della piana di Ninive spazzate via. C’è un filo che lega obiettivi umanitari e lotta al terrorismo. E c’è una consapevolezza larga che senza l’impregno della coalizione la tragedia umanitaria sarebbe stata una vera catastrofe.L’Italia è insomma orgogliosa di esserci? L’Italia è nella coalizione fornendo armi e addestratori ai peshmerga curdi e anche con voli di ricognizione. Non abbiamo funzione di combattimento, ma partecipiamo a quella che sarà una lunga sfida per contenere una minaccia terroristica con caratteristiche senza precedenti. C’è un gruppo che ha sequestrato una religione, l’islam, contro la stragrande maggioranza dei credenti musulmani; che occupa territori estesi e in questi territori rapisce e violenta le donne, uccide chi non condivide il loro credo politico e religioso. È la prima volta che un terrorismo così crudele cerca di farsi stato. È una minaccia da fronteggiare con l’opzione militare ma anche con le armi del dialogo interreligioso: bisogna impedire questo sequestro dell’islam.La sinistra italiana capisce la necessità di questa opzione militare?La sinistra capisce il dovere di impegnarsi. Di fare. Di non delegare ad altri la nostra sicurezza. Siamo, tra i Paesi occidentali, uno tra i più presenti nelle missioni di pace dell’Onu. E lo siamo con convinzione. Anche in Libia siamo pronti a esserci. A fare la nostra parte. Quel Paese è al collasso e se l’Onu ce lo chiede manderemo le nostre truppe. Bisogna sempre più far passare l’idea che occuparsi dei problemi del mondo, delle guerre che ci circondano, dei fenomeni migratori non è un lusso, non è una velleità interventista, ma è una condizione indispensabile. Ministro insisto: la sinistra italiana...Il Pd c’è, capisce. Poi magari ci sono minoranze che continuano a leggere il mondo con gli occhiali del secolo scorso, ma il mondo continua a cambiare. Il 9 novembre è stato il venticinquesimo anniversario della Caduta del muro di Berlino. Poi, dieci giorni fa, c’è stato il riavvicinamento tra Stati Uniti e Cuba. Merito di Obama e del realismo della leadership cubana. Ma merito anche – come mi ha spiegato il segretario di stato Usa, Kerry – del decisivo contributo della Santa Sede. Penso a questi due fatti così carichi di significato e penso che gli occhiali del secolo scorso è meglio tenerli nel cassetto.Riavvicinamento Usa Cuba che pagina apre?Chiude la guerra fredda inter-americana. Apre un mondo con un di più di pace: il punto più delicato dello scontro tra Stati Uniti e Unione Sovietica si raggiunse oltre mezzo secolo fa proprio su Cuba. Oggi con la semplicità delle parole usate dal presidente Obama, con quel somos todos americanos e con il contributo di un Papa argentino, si provano a seppellire definitivamente anni di scontri e di tensioni.Qual è differenza tra destra e sinistra in politica estera?Destra è teorizzare una sorta di chiusura autarchica dei nostri confini; è demonizzare l’immigrazione, è sostenere che l’Italia nonostante gli ottomila chilometri di coste possa chiudersi all’interno dei suoi confini. Sinistra è immaginare che si può costruire pace dove c’è guerra, sinistra sono le decine di migliaia di volontari impegnati nel mondo, sinistra è la consapevolezza che il fenomeno migratorio va regolato, ma per la nostra società è un’opportunità non è una minaccia.E – come diceva – non esiste alcun legame barconi-terrorismo...I nostri servizi di sicurezza sono attenti in tutte le direzioni, ma – ripeto – non confondiamo migranti con i terroristi. Certo la minaccia è reale e la guardia è sempre alta. Sappiamo che ci sono decine di giovani italiani coinvolti dai terroristi dell’Is. E sappiamo che c’è un fenomeno di ritorno di questi combattenti verso l’Europa e l’Italia. Il rischio riguarda anche noi. C’è anche un fronte russo che preoccupa...L’Europa deve guardare molto al Mediterraneo, ma la gravissima violazione che è stata fatta della sovranità dell’Ucraina ha aperto una ferita sul versante nord orientale che bisogna curare. Le sanzioni sono un male necessario, ma non possiamo illuderci che la ferita si curi a colpi di sanzioni. Vanno affiancate con una porta aperta al dialogo con la Russia: è l’unico modo attraverso il quale oltre a mostrare fermezza possiamo ristabilire un equilibrio. Non credo, insomma, a un’Europa che si limita a distribuire sanzioni. Anche perché le sanzioni provocano risvolti economici negativi per il nostro Paese. Serve dialogo. Serve cercare con tenacia una via d’uscita politica. Certo, siamo ancora lontani dall’attuazione degli accordi di Minsk, ma i russi devono sapere che le sanzioni sono reversibili: tornare indietro si può se si mettono in atto quegli accordi e si rispetta la sovranità ucraina.L’economia Usa ha ripreso a correre, ma l’Europa fatica.Tutti si aspettano che la Ue trovi una strada diversa da quella seguita in questi anni. Preoccupa che l’area economica più grande del mondo abbia dei tassi di crescita così modesti. Preoccupa i cittadini e i disoccupati europei, ma anche i governi di tutto il mondo. Si aspettano che l’Europa possa passare davvero dal rigore alla crescita e scommettere sugli investimenti. Nel semestre di presidenza italiana però si è fatto poco. Non crede?No, si è aperta una nuova via. Per la prima volta dopo 10 anni abbiamo introdotto tra le priorità dell’agenda europea gli obiettivi crescita e investimenti. Per ora un risultato enorme sul piano simbolico, ma ancora limitato. Il piano Juncker non è il piano Marshall. Ma dopo decenni di discorsi solo sul rigore oggi tutti si rendono conto che il problema dell’Europa è l’Europa, non questo o quel Paese e che la soluzione è la crescita, il lavoro, gli investimenti. Crede a una svolta della Ue?Nell’Unione ci sarà un periodo non breve di confronto e di battaglia politica. Ci sono ancora rigidità notevoli e comprensibili: l’opinione pubblica tedesca è preoccupata di dover pagare i debiti di qualcun altro, ma noi con le riforme abbiamo più credibilità per dire all’Europa scorporiamo dal computo del deficit gli investimenti per le grandi infrastrutture. Quest’anno il 3 per cento non si tocca. Siamo stati molto ligi e abbiamo fatto bene. Ma nei prossimi mesi ci aspettiamo nuovi risultati: il problema non è violare una soglia ma avere margini per investire sulla crescita.

I marò italiani Salvatore Girone e Massimiliano Latorre
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