mercoledì 29 giugno 2022
Parla il direttore dell’Istituto Mario Negri: «L’impennata di infezioni non si associa a forme di malattia grave. La quarta dose ci dà tempo. La possibile svolta a primavera 2023, in uno spray»
Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto farmacologico Mario Negri

Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto farmacologico Mario Negri

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C'è tempo per studiare, nella lunga estate surriscaldata (a sorpresa) anche dal Covid, e Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, non smette mai di farlo. Sulla sua scrivania, nell’ufficio di Bergamo, si accumulano studi e ricerche, l’ultimo pubblicato appena qualche giorno fa dalla rivista Immunity rileva come nei polmoni di chi ha avuto il Covid, o si è vaccinato, fioriscono cellule di tipo B – caratterizzate da una lunga memoria immunitaria – capaci di intervenire quando l’agente infettivo si ripresenta. «È importante – spiega – non solo perché prova come le reinfezioni, attualmente pur cresciute all’8%, siano rare. Ma soprattutto perché conferma la strada già intrapresa in più parti del mondo dell’efficacia di una vaccinazione intranasale capace di compiere lo stesso percorso naturale del virus, cioè dalle alte vie respiratorie in giù, di fatto bloccandone l’accesso ai polmoni». Questo vaccino spray, il prof ne è quasi certo, potrebbe arrivare già la prossima primavera e stravolgere di nuovo la scena della pandemia.

Professore, partiamo dal principio. Che cosa sta succedendo?
Succede quello che non ci aspettavamo: le autorità scientifiche globali avevano previsto che la variante dominate di Covid fino a un mese fa, cioè la BA.2 di Omicron, ci avrebbe messo via via davanti a uno scenario di riduzione della pandemia: meno infezioni, meno ospedalizzazioni, meno morti entro fine giugno. A sparigliare le carte hanno pensato le sottovarianti BA.4 e BA.5, responsabili in questo momento (sono gli ultimi dati dell’Iss) rispettivamente del 40% e del 20% delle infezioni nel nostro Paese. BA.5, in particolare, è il virus più contagioso che abbiamo mai visto al mondo, capace persino di evadere sia l’immunità naturale che quella fornita dai vaccini. Questo sta causando e causerà un numero di infezioni senza precedenti.

E però – questo lo abbiamo ormai imparato – contagiosità, ospedalizzazioni e morti non sono la stessa cosa...
Non lo sono, e infatti la contagiosità di questo virus non si associa a forme di malattia grave come accadeva con Delta. Già Omicron 2 mostrava di non avere la capacità di raggiungere i polmoni e le sottovarianti 4 e 5 si comportano – sembra – allo stesso modo: non a caso abbiamo un 3% di posti in terapia intensiva occupati da pazienti Covid in questo momento e un 9% nei reparti ordinari, a fronte di un numero di infezioni – anche questo è stato detto e lo confermo – di almeno tre volte superiore rispetto ai dati ufficiali.

Niente polmoniti, dunque? Ma allora chi finisce in ospedale e chi muore?
Di polmoniti intersiziali in questa fase se ne vedono molto poche, almeno in base ai riscontri che ho su larga parte dei reparti del Nord Italia. Nel 90% dei casi in ospedale finiscono pazienti fragili e anziani, con altre problematiche, e che risultano contestualmente positivi al tampone. Il che ci dice molto su come dovremmo trattare i conti ufficiali che facciamo ancora sul Covid... Ma il punto che mi interessa sottolineare non è questo e torno subito ai vaccini: i dati ci dicono che la terza dose conserva una buona efficacia nel preservare dalle forme gravi di malattia anche nella lunga distanza. Sempre in questi giorni abbiamo appreso da Lancet che i vaccini disegnati sul Covid di Wuhan hanno risparmiato 20 milioni di vite nel mondo solo nel 2021, un risultato straordinario (seppur raggiunto soprattutto nei Paesi che ai vaccini hanno avuto accesso, cioè quelli ricchi). Di più: la quarta dose, che in tanti scelgono di non fare reputando non ce ne sia bisogno, offre ai più anziani e ai più fragili la possibilità di rinforzare quella protezione riportando gli anticorpi ai valori che si hanno a 14-20 giorni dopo la terza dose. Per quanto? Almeno per due mesi. Ci dà, in buona sostanza, due mesi di tempo.

E poi?
E poi tra settembre e ottobre arriveranno (forse) i nuovi vaccini.

Non disegnati sulle sottovarianti BA.4 e BA.5 però...
Questo lo vedremo: Pfizer, Moderna e Novovax sono già al lavoro anche su Omicron 4 e 5. In ogni caso, se anche fosse disponibile un nuovo vaccino sicuro (come stanno dimostrando le sperimentazioni) disegnato sulla variante di Wuhan e su Omicron 1, quest’ultimo ci offrirebbe un’efficacia del 30% in più rispetto a quelli attuali, già fondamentali come si diceva nel prevenire le forme gravi di malattia e la morte.

Non servirà più tempo alle agenzie regolatorie per dare il via libera a questo nuovo vaccino?
No, Fda ed Ema procedono ormai stabilmente in rolling review (cioè nell’analisi dei dati contestuali alla sperimentazione, ndr) e partecipano direttamente al disegno degli studi in modo da facilitare tutti i passaggi.

Nuovo vaccino per tutti dunque? Servirà tornare all’obbligo?
Nuovo vaccino per chi rischia innanzitutto. Mi ripeto: anziani, fragili, soggetti affetti da malattie croniche. Ma, seppur l’obbligo sia stata la strada giusta in passato, io credo che d’ora in poi sia sufficiente una raccomandazione. La stessa che deve valere ancora, e soprattutto in autunno, per le mascherine nei luoghi al chiuso senza adeguata ventilazione, sui trasporti pubblici, nelle Rsa: è qui che dobbiamo tenere gli occhi puntati. La convivenza col virus, necessaria per il ritorno alla normalità che stiamo giustamente vivendo, richiede responsabilità individuale.

A scuola come la mettiamo però?
Bisogna prepararsi, e in fretta. I dati ci dicono che la ventilazione è fondamentale e ormai esistono decine di device in grado di bloccare la diffusione del virus per aerosol, si tratta di scegliere quello che costa meno. E poi serve vaccinare i bambini, lo dico con chiarezza. Sento ripetere che i piccoli non si ammalano, però i numeri che arrivano dagli Usa dovrebbero farci riflettere: tredici milioni e mezzo di bambini contagiati, 8.500 che hanno sofferto di sindrome infiammatoria multisistemica legata al Covid, 40mila sono stati ospedalizzati e mille sono morti. L’influenza ne ha fatti nello stesso periodo 118. Il vaccino è sicuro e calibrato nel quantitativo su di loro: non corrono rischi e vengono messi al sicuro.

Con ventilazione e vaccini si potrebbe evitare di tornare sui banchi con le mascherine in autunno?
Assolutamente sì.

Ha ancora senso l’isolamento dei positivi?
Andrebbe fortemente ridotto ai soli, eventuali, giorni sintomatici. Sappiamo perfettamente ormai, per altro, che la maggiore contagiosità di questo virus è presintomatica: si circola e si diffonde la malattia quando cioè non si sa di essere positivi. Ha obiettivamente poco senso.

Cosa dobbiamo aspettarci ancora dal virus? Altri mutamenti?
Non possiamo prevederli, ma non dobbiamo più ragionare pensando che tutto ruoti attorno all’uomo. E qui veniamo ai cervi.

Cosa c’entrano i cervi professore?
Studi condotti soprattutto negli Stati Uniti, in Canada, ma anche in Inghilterra, dove questi animali sono molto diffusi e si muovono liberamente nei giardini delle case e vicino all’uomo, dimostrano come il contagio stia correndo anche tra loro. Difficile stabilire se siamo noi a contagiarli, o il contrario, ma la scoperta ci dice che il Sars-CoV-2 continua la sua corsa ormai inarrestabile in tutte le specie, adattandosi, ricombinandosi e mutando nuovamente in chissà quali forme che magari incontreremo, magari no. Il Covid ci ha insegnato, come aveva già scritto papa Francesco nella sua Laudato si’ e recentemente il direttore di Lancet Richard Horton in un suo libro, che siamo «connessi nella vita e nella morte» con tutto il resto. Se andiamo oltre la domanda su cosa succederà in autunno, e ci chiediamo come prepararci nel lungo periodo ad altre pandemie, la risposta è rimettendoci in equilibrio col mondo che ci circonda. E, per restare sul semplice, correggendo il più possibile il nostro stile di vita e la nostra alimentazione in modo da non farci trovare compromessi nella salute da un altro virus che verrà e che potrebbe approfittare, come questo, della nostra fragilità fisica.

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