giovedì 24 agosto 2017
Puntare all’assunzione stabile di 300mila giovani. È l’obiettivo che si pone il governo con la legge di Bilancio per il 2018. Si pensa a una soglia di 3.250 euro per il taglio dei contributi
Il piano per la nuova «spinta» al lavoro
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Puntare all’assunzione stabile di 300mila giovani. È l’obiettivo che si pone il governo con la legge di Bilancio per il 2018, che introdurrà una nuova forma di incentivi mirati. Insieme ai nuovi sconti per spronare le imprese ad assumere dovrebbero arrivare anche, come confermato l’altroieri a Rimini dal ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, nuovi finanziamenti per le aziende che investono, questa volta nella formazione 4.0 dei dipendenti per meglio fronteggiare la 'rivoluzione digitale'. Mentre i tecnici stanno riaprendo i dossier dopo la pausa estiva comincia a prendere forma il 'pacchetto crescita' che l’esecutivo intende presentare con la manovra d’autunno, l’ultima prima della fine della legislatura. La nuova misura strutturale allo studio per creare posti di lavoro stabili per i giovani punta, quindi, a quintuplicare le assunzioni rispetto all’apprendistato, che pure ha ripreso vitalità ma 'tira' poco, all’incirca 70mila contratti l’anno. A differenza dei vecchi sgravi, introdotti con il Jobs act, che avevano durata triennale e finiscono appunto quest’anno, il governo questa volta pensa a un dimezzamento dei contributi per le assunzioni, con un tetto a 3.250 euro, per i primi due o tre anni di contratto (questo punto è ancora oggetto di approfondimento). Sull’età delle assunzioni incentivabili, negli ultimi giorni sono state ventilate varie possibilità su dove fissare l’asticella: a 29, a 32 o a 35 anni.

Marco Leonardi, uno dei consiglieri economici della presidenza del Consiglio, ha affermato che la scelta «preferibile » sarebbe quella di favorire i giovani fino a 29 anni, per non contravvenire troppo al dettame europeo che non vuole discriminazioni in base all’età dei lavoratori. I paletti europei potrebbero essere un problema anche per la seconda fase del piano tratteggiato in queste settimane, quello che prevedeva dopo i 2-3 anni al 50% un taglio strutturale di 3 o 4 punti del cuneo. L’ipotesi si sta ancora «esplorando», ma sembrerebbe di difficile attivazione se applicata ai soli giovani. E troppo costosa se applicata a tutti.

L’ipotesi di un bonus con questi limiti non piace però anche a parte della maggioranza, a partire dal presidente della commissione Bilancio, Francesco Boccia, che invita a smetterla con gli «slogan» e chiede un dibattito «serio» all’interno del Pd e nel governo ripartendo dalla decontribuzione piena del 2015. Ma critiche sono arrivate anche dal presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi. Mentre Mdp chiede un «vero » piano per il lavoro e gli investimenti. Al momento, comunque, non sono state prese decisioni, che si valuteranno solo quando saranno più chiari sia il quadro macroeconomico sia le risorse a disposizione. Oltre al lavoro ci sono diversi altri capitoli che hanno bisogno di finanziamenti, a partire dagli incentivi agli investimenti privati. Quelli promossi finora nell’ambito di 'Industria 4.0', ribadisce Calenda, «stanno dimostrando che funzionano, che le imprese le usano». Il percorso va quindi «rafforzato» e con la manovra si potrebbe arrivare fino a un miliardo e mezzo nel triennio, che servirà anche per lanciare un nuovo «credito di imposta potente sulla formazione» da concedere alle imprese per gli investimenti incrementali. Per il presidente della commissione Lavoro alla Camera, Cesare Damiano (Pd), sono due in particolare gli aspetti su cui intervenire per «correggere la filosofia malata del Jobs act»: gli incentivi strutturali e i vincoli posti alle imprese.

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