domenica 31 dicembre 2023
Il capo dello Stato evita i temi politici più caldi ma rilancia su evasione, sanità, lavoro e intelligenza artificiale: «La partecipazione si fa col voto, non attraverso i social e i sondaggi»
Mattarella ai giovani: la pace parte da noi. L'amore è dono, non possesso
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«Cari ragazzi, ve lo dico con parole semplici: l'amore non è egoismo, possesso, dominio, malinteso orgoglio. L'amore - quello vero - è ben più che rispetto: è dono, gratuità, sensibilità». Il passaggio più forte ed accorato del messaggio di fine anno di Sergio Mattarella è questo. Un intervento sobrio, nei toni e nei tempi, soli 16 minuti, in piedi davanti alle telecamere, come avviene da alcuni anni, quest'anno con la novità dell'ingresso in movimento. Un discorso rivolto al cuore delle problematiche, dei crucci e delle speranze degli italiani, tenendo i temi più caldi e divisivi della politica come al solito fuori. Più del solito, anzi, in questo suo nono discorso agli italiani, in una fase in cui l'istituzione stessa della presidenza della Repubblica è tirata in ballo nel dibattito politico in riferimento ai nuovi equilibri istituzionali che la riforma costituzionale intende portare. Le donne entrano nel discorso subito, già in quel suo rivolgersi a loro per prime («Care concittadine e cari concittadini...»). Poi il primo tema, inevitabilmente, è quello della guerra, «angosciati dalle guerre in corso e da quelle evocate eminacciate». E di fronte al «rischio concreto di abituarsi a questo orrore. Alle morti di civili, donne, bambini», diventa «indispensabile fare spazio alla cultura della pace». A una «mentalità di pace» che non è «astratto buonismo. Al contrario, è il più urgente e concreto esercizio di realismo». Una «cultura», una «mentalità» che «dipende, anche, da ciascuno di noi». Si tratta di «educare alla pace. Nei gesti della vita di ogni giorno. Nel linguaggio che si adopera, rifiutando la violenza», a partire dalle giovani generazioni, a cominciare da quella che definisce «più odiosa», contro le donne, e qui Mattarella introduce il suo appello ai giovani, ad andare oltre il semplice rispetto nei rapporti affettivi.

Allo stesso modo la la guerra «è il frutto del rifiuto di riconoscersi tra persone e popoli come uguali. Dotati di pari dignità. Per affermare, invece, con il pretesto del proprio interesse nazionale, un principio di diseguaglianza». Il richiamo ai rischi di un distorto uso degli interessi nazionali però resta privo di riferimenti alla polemica politica interna. La riflessione è rivolta agli italiani più che ai partiti, a non far prevalere «la ricerca, il culto della conflittualità» e la «pessima tendenza di identificare avversari o addirittura nemici. Verso i quali praticare forme di aggressività. Anche attraverso le accuse più gravi e infondate. Spesso, travolgendo il confine che separa il vero dal falso». Mentre «la forza della Repubblica è la sua unità». Una riflessione che conduce a un altro appello centrale del suo messaggio, alla partecipazione attiva alla vita civile: «Possiamo dare tutti qualcosa alla nostra Italia. Qualcosa di importante. A partire dall'esercizio del diritto di voto». Perché, sottolinea con forza, «per definire la strada da percorrere, è il voto libero che decide. Non rispondere a un sondaggio, o stare sui social».
E qui, in relazione ai rischi della riduzione della democrazia a pratica virtuale, Mattarella torna su un tema che aveva affrontato nel discorso di auguri alle Alte cariche, qualche giorno fa, quello dell'intelligenza artificiale, che potrebbe portare i suoi gestori alla «pretesa di orientare il pubblico sentimento». Ci troviamo, sottolinea, «nel mezzo di quello che verrà ricordato come il grande balzo storico dell'inizio del terzo millennio. Dobbiamo fare in modo che la rivoluzione che stiamo vivendo resti umana. Cioè, iscritta dentro quella tradizione di civiltà che vede, nella persona - e nella sua dignità - il pilastro irrinunziabile».

Il riferimento è alla centralità della persona perno della nostra Costituzione, e non a caso quando si parla di diritti, essa «usa il verbo “riconoscere”. Significa che i diritti umani sono nati prima dello Stato». Fra i diritti più a rischio Mattarella cita il lavoro che manca. Pur in presenza di un significativo aumento dell’occupazione. Quello sottopagato. Quello, sovente, a condizioni inique, e di scarsa sicurezza». Come anche, «le difficoltà che cittadini e famiglie incontrano nel diritto alle cure sanitarie per tutti. Con liste d'attesa per visite ed esami, in tempi inaccettabilmente lunghi».
Ma partecipare «significa anche farsi carico della propria comunità. Ciascuno per la sua parte». Significa anche «non voltarsi dall'altra parte» di fronte al tema dei migranti. E significa «contribuire, anche fiscalmente. L’evasione riduce, in grande misura, le risorse per la comune sicurezza sociale. E ritarda la rimozione del debito pubblico; che ostacola il nostro sviluppo».

La parte finale del suo intervento, che apre alla speranza, è tutta dedicata alla solidarietà, alle tante pratiche virtuose, spesso silenziose. Cita la “cultura dello scarto”, e ne fa occasione per rivolgere a papa Francesco «un saluto e gli auguri più grandi». Ringraziandolo per il suo «instancabile Magistero». Mattarella racconta le sue visite nei luoghi e nei momenti più significativi di questo 2023 che si chiude: i valori fondanti della nostra comunità nazionale «testimoniati da tanti nostri concittadini». Incontrati «nella composta pietà della gente di Cutro». Riconosciuti «nella operosa solidarietà dei ragazzi di tutta Italia che, sui luoghi devastati dall'alluvione, spalavano il fango; e cantavano "Romagna mia". Li ho letti negli occhi e nei sorrisi, dei ragazzi con autismo che lavorano con entusiasmo a Pizza aut. Promossa da un gruppo di sognatori. Che cambiano la realtà. O di quelli che lo fanno a Casal di Principe. Laddove i beni confiscati alla camorra sono diventati strumenti di riscatto civile, di impresa sociale, di diffusione della cultura. Tenendo viva la lezione di legalità di don Diana». Ricorda anche la solidarietà alle vittime di violenza, la dedizione degli addetti alla sicurezza, in Italia e all'estero, dei volontari che operano nelle carceri. «O di chi ha lasciato il proprio lavoro per dedicarsi a bambini, ragazzi e mamme in gravi difficolta. A tutti loro esprimo la riconoscenza della Repubblica. Perché le loro storie raccontano già il nostro futuro - conclude -. Ci dicono che uniti siamo forti».

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