domenica 28 giugno 2020
Confusione, vincoli e paura scoraggiano sia i lavoratori stranieri sia gli imprenditori a fare domanda Associazioni e sindacati chiedono l’intervento del Viminale: «Serve più chiarezza»
E chi lavora nei settori esclusi è costretto a qualificarsi come colf Lavoratori stranieri nelle campagne della provincia di Foggia

E chi lavora nei settori esclusi è costretto a qualificarsi come colf Lavoratori stranieri nelle campagne della provincia di Foggia - Livio Senigalliesi

COMMENTA E CONDIVIDI

Troppi vincoli e pochi settori interessati. Così si aspettavano braccianti, ma si stanno regolarizzando le badanti. Questo diceva lo scorso 15 giugno il primo rapporto del Viminale sulla regolarizzazione partita lo scorso primo giugno e che fissava a 30mila le domande ricevute, nel 90% dal settore del lavoro domestico e il 10 da quello agricolo. In vista del prossimo resoconto il 30 giugno, vediamo quali limitazioni stanno frenando la “sanatoria” dei lavoratori stranieri, i cui termini sono stati prorogati dal governo fino al prossimo 15 agosto. Abbiamo chiesto di metterle in evidenza ad associazioni, sindacati e organizzazioni della società civile che hanno spinto per l’avvio della regolarizzazione anche su questo giornale, prendendo spunto dalla pandemia da Covid-19 e dalla necessità di non lasciare nessuno indietro.

Ma la contrarietà di una parte del Movimento 5 Stelle ha portato il governo a emanare un decreto legge che restringe gli ambiti ad agricoltura, pesca e lavoro domestico. «I numeri contenuti delle domande pervenute – commenta Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas Italiana– sono effetto delle tante restrizioni all’accesso per superare le quali stiamo interloquendo con il governo. Sono segnali positivi l’apertura di un tavolo di interlocuzione al Viminale con le associazioni e la proroga di un mese della scadenza. Su altre questioni attendiamo risposte chiarificatrici, tra le altre la possibilità del datore di presentare più domande di regolarizzazione. Il rischio è che la buona politica di sanare la posizione dei lavoratori non in regola si trasformi in un flop». L’Arci sta ricevendo migliaia di domande di chiarimento ogni giorno.

«Registriamo a un mese di distanza una grande confusione da un lato – nota Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’associazione – e paura dall’altro. C’è attesa da parte di molti lavoratori e datori di chiarezza su diversi aspetti. Abbiamo chiesto al Viminale di intervenire». Su cosa ad esenpio? «Un bracciante re- golarizzato può cominciare a lavorare il giorno stesso, dopo che è stato segnalato il nominativo a Inps o Inail, oppure no? Siccome la procedura durerà parecchi mesi, i datori non sanno che fare e aspettano indicazioni perché temono di essere inadempienti. Altro tema, le migliaia di richiedenti asilo che hanno un lavoro in regola. Cosa devono fare? Ci sono richiedenti con un lavoro regolare che hanno appena avuto esito negativo magari dopo 5 anni dalla Cassazione alla domanda di asilo. C’è chi lavora nell’alta moda o nell’industria, settori non compresi nella regolarizzazione, e che sarà costretto a farsi assumere come badante a 460 euro mensili per sei mesi, a licenziarsi e tornare al loro lavoro. Per quale ragione non si può regolarizzare direttamente una persona integrata?».

Interrogativi che si sommano a quelli delle Acli, che attraverso la prospettiva dei patronati e di Acli Colf hanno una visuale ampia. «Prima di procedere alla regolarizzazione – spiega Antonio Russo, responsabile immigrazione dell’associazione dei lavoratori cristiani – occorreva a mio parere rivedere i decreti sicurezza di Salvini nelle parti che hanno fatto perdere il titolo di soggiorno ai titolari di protezione umanitaria. Ora stanno emergendo le contraddizioni. Dall’entrata in vigore del decreto sulla regolarizzazione siamo stati inondati di richieste di informazioni. Siamo lontani dalle 300mila domande attese perché sono problemi che riguardano i datori di lavoro, sia il pagamento di 500 euro una tantum per attivare la pratica che l’autodenuncia nonostante lo scudo penale di cui possono godere».

Cosa fare? «Ascolterei le organizzazioni di immigrati che chiedono l’eliminazione dell’una tantum. Facciamo i condoni su tutto, perché lasciare questa somma che ostacola le regolarizzazioni? Poi andrebbero ampliati i settori all’edilizia e al commercio. E perché imporre limiti minimi di reddito, ad esempio nell’assistenza domestica, alle famiglie? » Riassume gli ostacoli giuridici da eliminare con emendamenti al decreto o con circolari attuative Lorenzo Trucco, presidente dei giuristi dell’Asgi. «Sono pochi i 3 settori, vanno ampliati. E poi è il datore di lavoro a gestire l’istanza, il lavoratore ha le mani legate. Quando poi è lo straniero a presentare istanza di soggiorno temporaneo, il decreto chiede requisiti ancor più restrittivi come aver avuto un lavoro pregresso in uno dei 3 settori, essere stato regolare in passato e non avere più il permesso di soggiorno al 31 ottobre. Per rimuovere questi ostacoli occorrono emendamenti, mentre una circolare può risolvere il problema della convertibilità del permesso per i richiedenti asilo impiegati in altri settori».

Ma quali sono le possibilità di intervento politico? Kurosh Danesh, responsabile immigrazione della Cgil parla di 10 emendamenti unitari presentati dai sindacati confederali per ampliare la platea. «Più del 90% delle domande viene dal settore domestico. I sindacati chiedono di allargare i settori e rivedere la data del 31 ottobre 2019 per estendere la regolarizzazione a chi era regolare prima. Il governo deve dare risposte in termini di giustizia sociale e deve partire dalle fasce più esposte che sono in condizioni anche di schiavitù».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: