
Da sinistra Giulio Maccauro, Elisabetta Pataia e Carlo Perisano - Ufficio stampa Gemelli
La gamba destra che finisce in una buca coperta da un compensato di legno. Una banale ferita che si infetta dopo questa caduta per andare al lavoro. Quel lavoro di operatore ecologico in una città del Lazio che per lui, arrivato dalla Nigeria sulle coste della Calabria nel 2017, aveva significato l’inizio di una nuova esistenza. Onya (nome di fantasia) è andato ad un passo dal perdere la gamba destra, e la vita stessa, per una grave infezione da batteri “mangia-carne” contratta appunto a seguito di una banale ferita cutanea, poi estesasi ai muscoli della gamba, alla tibia e alle ossa della caviglia. Ma grazie ad un complesso intervento di ricostruzione delle parti ossee, dei muscoli e della cute (sistema ‘lembo-chimera’) e ad una gara di solidarietà al Policlinico Agostino Gemelli gli hanno salvato la vita e la gamba. E ora Onya, a distanza di un mese dall’intervento, cammina con le stampelle ed è assistito dai servizi sociali e ospitato in casa-famiglia.
Questo è il lieto fine di una storia che dopo visite in vari ospedali (con interventi parziali e tanti antibiotici), approda al Pronto Soccorso del Gemelli. Qui la diagnosi è di osteomielite post-traumatica, una grave infezione ossea che coinvolgeva gran parte della tibia e della caviglia della gamba destra, contratta a seguito di quel trauma iniziale apparentemente banale. A causare l’infezione, come riveleranno i tamponi colturali profondi, sono una serie di batteri ‘mangia-carne’ (flesh-eating), dallo Stafilococco Aureus all’Escherichia Coli, passando per tanti altri che, nel corso di alcuni mesi avevano devastato la cute e i muscoli, fino ad arrivare all’osso. Giunta a questo stadio l’infezione non è più controllabile con i soli antibiotici, è necessario ricorrere al bisturi, per rimuovere le parti infette, ma in un caso del genere, può essere necessario anche ricorrere all’amputazione.
L’intervento innovativo
Una ipotesi che però Onya non ne vuole neppur sentire pronunciare. I medici cercano di convincerlo, ma lui è irremovibile. E allora un ortopedico, Carlo Perisano, ricercatore in Ortopedia e raumatologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e dirigente medico presso la Uoc di Ortopedia e Traumatologia della Fondazione policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs, e Elisabetta Pataia, docente di Chirurgia ortoplastica all’Università Cattolica e chirurgo plastico presso la Uoc di Ortopedia e Traumatologia, propongono a Onya una soluzione alternativa. Proveranno a rimuovere tutta l’infezione, che significa asportare la parte inferiore della gamba e parte della caviglia, per poi ricostruire il tutto. Una vera e propria impresa durata circa un anno e vari interventi, mai descritta prima in letteratura, che ha restituito a Onya la sua gamba. «In una prima fase – spiega Perisano – abbiamo resecato quasi tutta la tibia del paziente sotto il ginocchio e l’astragalo, per rimuovere tutti i focolai di infezione; successivamente abbiamo messo un sostituto temporaneo dell’osso, cioè uno spaziatore cementato e antibiotato, al fine di far guarire i tessuti e ridurre il rischio di re-infezione. Dopo quattro mesi di terapia antibiotica, abbiamo iniziato un percorso di ricostruzione ossea». Inizialmente è stato fatto un tentativo di allungamento dell’arto con un fissatore esterno. «Si tratta di un intervento particolare – aggiunge l’ortopedico – consistente nell’osteotomia della parte di tibia rimanente e nella distrazione dei due monconi ossei (il gap osseo era di circa 20 cm), per permettere all’osso neoformato di crescere tra le porzioni di osso residue. In questo modo abbiamo recuperato 10 centimetri di osso; tanti ma non sufficienti a ricostruire la parte mancante di tibia».

Prima dell'intervento - Ufficio stampa Gemelli
È stato quindi necessario modificare la strategia chirurgica. Per dare un’adeguata copertura cutanea e poter permettere dunque all’osso sottostante di rigenerarsi e guarire, l’équipe multidisciplinare di ortopedici e chirurghi plastici ha effettuato un delicato intervento, del tutto inedito. «Abbiamo effettuato una ricostruzione complessa – sottolinea il chirurgo plastico Pataia – prelevando tre lembi, uno muscolo-cutaneo dalla coscia e due ossei da entrambi i peroni del paziente. Successivamente, questa sorta di patchwork osseo-muscolo-cutaneo è stato collegato con tecnica micro-chirurgica. Si tratta di un sistema detto ‘lembo-chimera’ che consiste nel collegare un lembo muscolo-cutaneo al vaso arterioso della gamba ricevente, per poi collegare tra di loro i restanti lembi. In pratica il primo lembo alimenta l’altro, attraverso una serie di connessioni vascolari realizzate al microscopio, che partendo da un solo vaso ha consentito di alimentare tre lembi diversi». Utilizzando inoltre il perone della gamba sana e quello della gamba malata Perisano ha ricostruito la parte mancante della tibia e l’astragalo del paziente, fissando il tutto con delle viti ortopediche e mettendo a protezione, un fissatore esterno circolare, per permettere la guarigione dei tessuti e far consolidare le parti ossee.

Dopo l'intervento - Ufficio stampa Gemelli
«Si tratta di un intervento eccezionale – commenta Giulio Maccauro, ordinario di Ortopedia all’Università Cattolica e direttore della UOC di Ortopedia e Traumatologia del Gemelli - che conferma la validità della nostra intuizione di creare un servizio di chirurgia ortoplastica, interdisciplinare con ortopedici e chirurghi plastici, all’interno della nostra struttura di Ortopedia e Traumatologia. Si tratta di una disciplina nuova, che ha pochi altri centri in Italia»