giovedì 10 agosto 2023
L’ultimo saluto alla fondatrice: «Grazie per la tua coraggiosa testimonianza di fede». Il vescovo Bodo: «Ecco la sua eredità per i giovani». Telegramma di papa Francesco
Molto amata. In tantissimi hanno voluto dare l'ultimo saluto a madre Elvira, sulle colline di Saluzzo

Molto amata. In tantissimi hanno voluto dare l'ultimo saluto a madre Elvira, sulle colline di Saluzzo - Pietro Battisti

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Ci sono le suore che ballano, e i canti, e i vestiti dorati sui volti risorti dei ragazzi che continuano a ripetere “grazie”. Ci sono i sacerdoti arrivati da tutto il mondo, dalle missioni dell’Africa e del Sudamerica, con la stola viola. Sono centinaia. E ci sono i bambini, i figli di quei ragazzi difficili risorti alla vita, che hanno costruito famiglie, facendo germogliare il seme gettato in quarant’anni di storia della Comunità Cenacolo.

L’avrebbe voluto così, madre Elvira, il suo funerale: una festa di colori e di voci, per dire che la fede è carne e vita, che è sofferenza e cammino, nonostante tutto. E che dalle tenebre – del disagio, della povertà, della droga, della disperazione – nasce, può nascere sempre, la luce. «Anduma» ripeteva in dialetto piemontese a chi si avvicinava al suo capezzale, negli ultimi anni di malattia, quando non le era rimasto un briciolo dell’energia con cui aveva inondato gli anni della sua missione tra i ragazzi difficili, quelli rifiutati da tutti. «Andiamo, andiamo avanti!», e così, camminando, migliaia di persone sono salite ancora una volta sulla collina di Saluzzo, nel Cuneese, dove è nato il miracolo che madre Elvira – al secolo Rita Petrozzi – ha prima sognato, e poi generato: talmente tante da non poterle contare.

Un momento dei funerali

Un momento dei funerali - Pietro Battisti

Toglie il fiato sentirle cantare, e applaudire, come se la morte di una madre non fosse solo lutto, e perdita. Tolgono il fiato le testimonianze che si alternano sul palco, con le lacrime e le storie d’abisso e di rinascita. Toglie il fiato il silenzio che avvolge la platea sconfinata quando viene letto ad alta voce il testo del telegramma arrivato dal Vaticano, in cui papa Francesco ricorda «la sua coraggiosa testimonianza di fede», la sua «esemplare opera compiuta verso tanti giovani bisognosi di ascolto e di accoglienza».

Quei giovani sono tutti qui, mescolati alla gente, sul palco e seduti per terra, abbracciati alle loro madri vere, ai padri, ai fratelli e ai figli, che li hanno consegnati al Cenacolo distrutti, senza saper più come salvarli, e che li hanno ritrovati vivi, pieni di speranza. Un segno dirompente, in un tempo ancora così difficile per le nuove generazioni nel nostro Paese, a cui nessuno sembra sapere più come parlare.

La celebrazione

La celebrazione - Pietro Battisti

Per salvare i giovani madre Elvira non aveva studiato, anche questo lo ripeteva spesso, ma fin da ragazza li aveva sentiti gridare il loro bisogno d’essere guardati, ascoltati, accolti: le sue consorelle e le superiori la guardavano come se fosse pazza, in convento. La sua famiglia non capiva. Finché quella seconda chiamata l’ha portata lassù, nel rudere della vecchia villa piantata davanti al Monviso, dove nel con le pale e le carriole nel 1983 è cominciato tutto.

«Mi sono tuffata nella Misericordia di Dio, mi sono rimboccata le maniche per amare, amare, amare» le parole pronunciate nel 2009, quando l’opera compiuta col Cenacolo è stata riconosciuta dal Vaticano come associazione internazionale di fedeli. Oltre 70 comunità in 20 Paesi del mondo, il frutto di quella prima casa sui cui cancelli i ragazzi dimenticati da tutti si arrampicavano chiedendo alla suora di poter entrare. Decine di migliaia di giovani recuperati dall'abisso delle dipendenze. «Un fuoco che è divampato e s’è propagato nel mondo» nelle parole del vescovo di Saluzzo, monsignor Cristiano Bodo, che ha concelebrato la funzione insieme a quello di Cuneo-Fossano Piero Delbosco, al vescovo emerito di Saluzzo Giuseppe Guerrini, ai vescovi emerito di Terragona e a quello di Orihuela-Alicante Jaume Pujol Balcells e José Ignacio Munilla. Ricordando che c’è un’eredità, da onorare, perché il fuoco acceso «da questa piccola donna continui ad ardere»: sperare «per chi non spera più», credere «che l’impossibile sia possibile», «farsi prossimo per gli ultimi».

Sono arrivati in tantissimi

Sono arrivati in tantissimi - Pietro Battisti

«Questa terapia della fraternità, del lavoro, della preghiera ha compiuto miracoli qui. Questo fuoco – prosegue Bodo – possiamo vederlo, toccarlo, questo Cenacolo è la Chiesa che impara a farsi prossimo ogni giorno alla carne dei fratelli feriti e abbandonati, è la Chiesa che suda e si sporca le mani».

«Cara madre, non basterebbe una vita intera per dirti grazie. Ma oggi siamo qui a migliaia per ripeterlo, grazie perché sarai qui per sempre, perché le cose di Dio sono per sempre» ripete don Stefano Aragno, che negli ultimi anni è stato a sua volta chiamato a mandare avanti la missione di madre Elvira. La sua voce è rotta dalla commozione quando ricorda gli ultimi anni, durissimi, della malattia che alla suora aveva tolto anche la possibilità di parlare: «Ti rimaneva quel sorriso, che è stato sempre il segno della tua forza». E col sorriso domani i figli del Cenacolo, i tanti ragazzi della comunità arrivati da ogni parte del mondo, si caricheranno in spalla, a turno, il feretro di madre Elvira e lo porteranno a piedi giù dalla collina di San Lorenzo fino al cuore di Saluzzo, alla cattedrale, e poi alla comunità di Pagno dove la suora ha trascorso gli ultimi anni della sua vita e dove sarà sepolta: un pellegrinaggio per cui sono attese altre migliaia di persone.

Dolore e speranza

Dolore e speranza - Pietro Battisti

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