mercoledì 22 maggio 2019
Se ne riparlerà dopo le elezioni europee. Incontro al Quirinale tra il Presidente e il premier. Nella maggioranza le acque restano agitate
Il decreto sicurezza slitta. Mattarella a Conte: non faccio censure
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Una intensa e cordiale "seduta di metodo", dove il capo dello Stato Sergio Mattarella, comprensivo per lo stato di agitazione nel governo in vista di domenica, ha ricordato al premier Giuseppe Conte alcuni paletti che può essere dannoso superare: nel caso specifico del "decreto-sicurezza bis", voluto dalla Lega e non da M5s, è stata messa in piazza la normale interlocuzione preventiva sulle bozze di decreto-legge tra gli uffici del Quirinale, quelli di Palazzo Chigi e quelli del dicastero interessato dalle norme, nel caso specifico il Viminale. Quegli scambi informativi, del tutto fisiologici, sono stati usati da M5s e da Palazzo Chigi per giustificare il mancato varo del testo in Consiglio dei ministri.

Insomma il capo dello Stato è stato trascinato impropriamente in una querelle che non doveva esserci. E a ruota il vicepremier leghista Matteo Salvini non si è sottratto, mettendo il presidente della Repubblica tra i presunti "avversari" del provvedimento cui tanto tiene. Per rimettere le cose secondo verità, Mattarella ha invitato Conte a pranzo. E ha dato al premier il compito di organizzare, nel tardo pomeriggio, una seduta con la stampa per spiegare come stanno davvero le cose: « È una prassi consolidata – dice – che vi sia un’interlocuzione con gli uffici del Quirinale, anche in previsione dell’emanazione dei decreti. Però per come è stata rappresentata ci sono delle incongruenze. Non si può attribuire al presidente della Repubblica una censura preventiva e il ruolo di sindacato politico. Il Quirinale non ha svolto questo ruolo e non intende svolgerlo».

Omette Conte, e se ne comprende il motivo, che a dare questo ruolo al Colle erano stati, lunedì scorso, proprio gli azionisti del governo gialloverde. Ma tuttavia, tornando ad una chiave politica e non istituzionale, quel "giochino" è valso a raggiungere l’obiettivo. Infatti, tirando in mezzo il Quirinale, M5s e Palazzo Chigi hanno guadagnato 24 ore, hanno respinto il pressing della Lega per fare il decreto e possono oggi annunciare che «i decreti – è Conte che parla – si faranno nel primo giorno utile dopo il voto, siamo arrivati a questa decisione con i vicepremier, in questi giorni prima delle Europee non è possibile svolgere un Cdm». Dopo il voto, quindi, si riaprirà il dossier-sicurezza. «Credo – continua Conte – che abbiamo superato le criticità». In effetti, le ultime versioni hanno risposto ad alcuni dubbi degli uffici quirinalizi, ma a questo punto fare un Cdm a poche ore dalle urne sarebbe stato inopportuno.

Nel complesso M5s e Luigi Di Maio tirano un sospiro di sollievo. «Rispettiamo Mattarella, ora lavoriamo sui rimpatri...», dice il leader del Movimento. Matteo Salvini sembra masticare amaro, dice che «il capo dello Stato il testo ce l’ha», ma in fondo anche lui è sollevato: un altro Cdm tormentato come quello di lunedì, che ha dato plasticamente l’idea della disunione, avrebbe potuto rappresentare un boomerang in vista del voto europeo. E in fondo, può fare un nodo al fazzoletto tenendo a mente le rassicurazioni di Conte.

Stando alle parole di Conte, dopo il voto, se il governo ritroverà la quadra per proseguire la legislatura, ritornerà in agenda anche il decreto-famiglia che invece è stato stralciato dall’ultimo Cdm per problemi di coperture. Qui i problemi sono soprattutto tra Luigi Di Maio e il ministro dell’Economia Giovanni Tria. I due hanno idee molto diverse circa l’utilizzabilità o meno, adesso, di un miliardo di euro che si presume non verranno spesi per il Reddito di cittadinanza. In realtà, ciò che accadrà dopo il voto va ben oltre i due provvedimenti contesi ma riguarda anche "macrotemi" come la flat-tax, la Tav e le Autonomie. Aspettare il voto e rinunciare a "bandierine", ormai, conviene a tutti.

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