mercoledì 15 gennaio 2020
L’Istituto comprensivo “Via Trionfale” suddivide gli alunni nei diversi plessi sulla base del “censo” delle famiglie. «Favorire sempre l’inclusione», ricorda la ministra Azzolina
L' istituto comprensivo Via Trionfale

L' istituto comprensivo Via Trionfale - Ansa

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Ricchi e poveri. Ma c’è poco da canticchiare. L’Istituto comprensivo capitolino “Via Trionfale” sul suo sito si è descritto così: «La sede e il plesso di via Taverna accolgono alunni appartenenti a famiglie del ceto medio-alto, mentre il plesso di via Assarotti, situato nel cuore del quartiere popolare di Monte Mario, accoglie alunni di estrazione sociale medio-bassa e conta, tra gli iscritti, il maggior numero di alunni con cittadinanza non italiana. Il plesso di via Vallombrosa accoglie, invece, prevalentemente alunni appartenenti a famiglie dell’alta borghesia assieme ai figli dei lavoratori dipendenti occupati presso queste famiglie (colf, badanti, autisti, e simili)».
Una presentazione che deve aver fatto saltare sulla sedia la ministra dell’Istruzione: «La scuola dovrebbe sempre operare per favorire l’inclusione – ha scritto Lucia Azzolina su Twitter –. Descrivere e pubblicare la propria popolazione scolastica per censo non ha senso. Mi auguro che l’istituto romano possa dare motivate ragioni di questa scelta.

Che comunque non condivido». L’istituto è corso ai ripari, esploso il “caso”, cancellando quel dettagliato riferimento alla divisione in classe sociali e rimpiazzandolo con questa frase: «L’ampiezza del territorio rende ragione della disomogeneità della tipologia dell’utenza che appartiene a fasce socioculturali assai diversificate». Ma la pezza poi suona quasi peggio della toppa: non c’era «nessun intento discriminatorio» nella presentazione, ma una «mera descrizione socioeconomica del territorio», ha fatto sapere il Consiglio di istituto del “Via Trionfale” in una nota. Precisando che «al momento dell’iscrizione dei propri figli, sono i genitori a scegliere uno dei plessi scolastici dell’istituto, in base ai criteri della residenza e/o del luogo di lavoro». E allora proprio quella «descrizione socioeconomica del territorio» a cosa sarebbe dovuta e potuta servire?

Poco prima nemmeno il sottosegretario all’istruzione, Peppe De Cristofaro, aveva potuto mandarla giù: «Sono davvero sconcertato – aveva fatto sapere – che nel 2020 una scuola pubblica possa presentarsi sul proprio sito internet distinguendo i propri plessi in base al rango socio-economico dei propri alunni andando contro ogni valore espresso dalla nostra Costituzione. Sto già intervenendo per richiederne l’immediata rimozione dal sito». Intanto anche per la sindaca Virginia Raggi è «intollerabile che quegli studenti vengano suddivisi per censo – come ha scritto anche lei su Twitter –. Discriminare e creare barriere è esattamente l’opposto di quello che dovrebbe essere un insegnamento corretto, responsabile e inclusivo».

Un caso insomma simile a quello di due anni fa, quando nella pagina del liceo “Visconti” (pieno centro di Roma) si lesse che viene scelto dalle famiglie di «estrazione medio-alta borghese». E del resto ieri è andato subito giù duro anche il presidente del Lazio dell’Associazione nazionale presidi, Mario Rusconi: «Purtroppo deve essere stato fatto un errore da parte di qualcuno eccessivamente zelante e poco esperto nella comunicazione, non s’è reso conto che invece di dare prestigio alla scuola, la stava ricoprendo di vergogna», ha detto. E ancora: «Spesso un preside, con tutto il caos con cui è alle prese, poi non riesce a controllare tutto e i risultati sono questi».

Lo sdegno partitico è bipartisan. Usare frasi come quelle nel sito «significa insegnare la discriminazione», dicono ad esempio i senatori M5S nella Commissione bicamerale Infanzia e adolescenza. Patrizia Prestipino, della Commissione Scuola e istruzione di Montecitorio, «da insegnante di liceo» è rimasta «letteralmente basita». «Giusta ed immediata la reazione del governo», secondo Nicola Fratoianni, Sinistra italiana-Leu: «Una palese violazione delle norme della nostra Costituzione». Per Ylenja Lucaselli, deputata di FdI, «una scuola che divide i suoi studenti secondo criteri di censo è inimmaginabile».
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