
Harald Oppitz
Ci siamo. Quasi. Martedì prossimo il Comitato ristretto insediato a Palazzo Madama discuterà una prima bozza della nuova legge sul fine vita (la terza in Italia dopo quelle sulle cure palliative del 2010 e sul biotestamento del 2017), per poi sottoporla alle Commissioni riunite Giustizia e Affari sociali del Senato, che gli hanno delegato questa prima, complicata fase. Di qui, a passo spedito, si andrà poi in aula il 17 luglio, come annunciato dalla maggioranza.
È al centrodestra che spettava l’onere di scrivere un primo testo sul quale discutere. E oggi la presidente della Commissione Giustizia Giulia Buongiorno (Lega) ha annunciato che «siamo entrati nel merito di un testo», anche se – come ha precisato Francesco Zaffini (FdI), presidente della Affari sociali – si «sta limando» e «definendo meglio» qualche passaggio. Il fatto nuovo è che, dopo averlo annunciato per settimane, ora il testo base è ormai pronto: «La maggioranza – assicura Buongiorno – non ha alcuna intenzione di far slittare i termini previsti». «Finalmente qualche proposta concreta», sbotta Alfredo Bazoli (Pd), a sua volta firmatario di una sua proposta di legge piuttosto differente, che però già fa capire che il percorso della bozza non sarà agevole («c’è ancora molto da fare per una larga condivisione»), mentre dal M5s si annuncia opposizione pressoché totale (Ilaria Cucchi parla di «pessima proposta della destra»).
Sono almeno tre i punti chiave del testo, che tiene conto dei criteri tracciati in ben quattro sentenze della Corte costituzionale (e un’altra è alle viste) sul fine vita in sei anni. Anzitutto una norma ad hoc sulle cure palliative, che la Corte definì «pre-requisito» per scelte libere e consapevoli. Il paziente dovrà infatti essere inserito in un percorso di cure palliative, ma non basta: verrebbe anche previsto un organismo per monitorare la spesa delle Regioni e portare entro il 2028 la copertura del servizio di cure palliative sul territorio al 90% degli aventi diritto (oggi il dato è quasi ovunque vistosamente inferiore).
Punto assai controverso, ma centrale nella bozza, è il Comitato etico (c’è anche l’idea di definirlo “medico” o “scientifico”) chiamato a vagliare le richieste di morte assistita e decidere se rispondono ai criteri di legge o meno: composto da sette membri (un giurista, un bioeticista, un medico specialista in anestesia e rianimazione, un palliativista, uno psichiatra, uno psicologo e un infermiere), sarebbe unico a livello nazionale – dunque evitando l’inevitabile difformità di giudizio dei diversi comitati etici territoriali di cui parlava la Consulta – e nominato dalla Presidenza del Consiglio, aspetto che trova contrarie le opposizioni. Cosa farebbe il Comitato? Ricevuta dal paziente la richiesta di accertare la sussistenza dei requisiti per accedere al suicidio assistito, acquisirebbe il parere non vincolante di un medico specialista della patologia di cui soffre il malato pronunciandosi entro 60 giorni dalla richiesta, prorogabili di altrettanti in casi specifici e di ulteriori 60 per motivate esigenze.
Terzo perno della legge in fase di formazione, su un punto particolarmente critico, è il coinvolgimento del Servizio sanitario nazionale nella procedura di suicidio assistito. Se una legge che accolga quanto statuito dalla Corte costituzionale ha senso, infatti, è per introdurre una limitatissima depenalizzazione dell’aiuto al suicidio – comunque vada, una lesione al principio di indisponibilità della vita umana – per cui non sarebbe punibile chi collabora alla morte chiesta da un paziente che risponda ai criteri fissati dalla Consulta nei suoi vari pronunciamenti: patologia irreversibile, fonte di sofferenza fisica e psicologica ritenuta intollerabile, tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale sospesi i quali la morte è attesa in breve tempo, maggiorenne e capace di prendere decisioni libere e consapevoli, e – come detto – inserita in un percorso di cure palliative. Ma se il Ssn ha parte nel dare la morte si vìola il dettato costituzionale che dispone il diritto di essere curati e non di morire (più volte negato anche dalla stessa Corte). D’altra parte nessun cittadino, specie se sofferente, può essere abbandonato dallo Stato. E allora? La soluzione su cui si riflette per sciogliere questo nodo eticamente e giuridicamente complicatissimo è stata spiegata da Giulia Buongiorno: il ruolo del Servizio sanitario «non sarà quello di erogare le prestazioni» per morire, «fermo restando che se una persona è in ospedale non è che deve cambiare struttura». Per questo ci sarebbe la figura dell’aiutante, introducendo nel Codice penale una causa di non punibilità per «chi assiste la persona che ha deciso di procedere» nel suicidio assistito. Quindi «l’aiutante entrerà in ospedale» mentre se le persone che hanno ottenuto il via libera del Comitato alla procedura di morte si trovano a casa loro «potranno rivolgersi al medico di famiglia».
La somma di questi elementi è nella prima stesura dell’articolo-perno della legge. Che ora reciterebbe così: «Non è punibile chi agevola l’esecuzione del proposito di fine vita, formatosi in modo libero, autonomo e consapevole, di persona maggiorenne, inserita nel percorso di cure palliative, tenuta in vita da trattamenti sostitutivi di funzioni vitali e affetta da patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili, ma pienamente capace di intendere e volere, le cui condizioni siano state accertate dal Comitato nazionale di valutazione etica».
C’è soddisfazione nella maggioranza perché è stata «raggiunta una sintesi sia sui principi sia sulle regole», ha dichiarato la senatrice Buongiorno, per «un testo che tiene conto delle sensibilità diverse» e che «raggiunge un certo equilibrio». Importante anche il fatto che in premessa si riaffermi «il diritto alla vita, con un articolo introduttivo che vuole chiarire che qui non stiamo aprendo la strada al suicidio» né «che ognuno può suicidarsi quando vuole». Una dichiarazione che dovrà però trovare piena coerenza negli articoli successivi. La strada è ancora lunga.