domenica 9 luglio 2023
Quello che lascia perplessi è la circoscrizione dell’indagine a specifici contesti e non, come hanno fatto altri Paesi, a tutto tondo
In una foto simbolica un'infermiera del 118 si riposa sulla pedana di accesso posteriore dell'ambulanza davanti all'ingresso del pronto soccorso del Policlinico Gemelli di Roma, 12 novembre 2020

In una foto simbolica un'infermiera del 118 si riposa sulla pedana di accesso posteriore dell'ambulanza davanti all'ingresso del pronto soccorso del Policlinico Gemelli di Roma, 12 novembre 2020 - Ansa

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Dopo la pandemia di Covid-19 sono stati commissionati, a livello internazionale, molti rapporti per analizzare quanto le decisioni politiche, scientifiche e gestionali sono state in grado di contrastare il contagio, prevenire le infezioni e salvare milioni di vite, e capire cosa migliorare per essere più preparati a fronteggiare le crisi future.

Il primo in ordine di tempo è stato, nel maggio 2021, il rapporto del Panel indipendente presieduto dall’ex primo ministro neozelandese Helen Clarke intitolato «Covid-19: far sì che sia l’ultima pandemia», seguito nel settembre dello stesso anno dal rapporto della Commissione paneuropea sulla salute e lo sviluppo sostenibile dell’Ufficio europeo dell’Organizzazione mondiale della sanità, intitolato «Trarre luce dalla pandemia». A seguire, i due rapporti dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, «Costruire una ripresa resiliente. Emergere più forti dalla pandemia di Covid-19» e «Pronti per la prossima crisi? Investire in sistemi sanitari resilienti».

Il denominatore comune di questi rapporti è stato il rigore scientifico, la terzietà dell’approccio metodologico, la multidisciplinarietà e multiprofessionalità dei partecipanti, la finalità di imparare dagli errori per evitare che si possano ripetere. Danno indicazioni precise – peraltro al momento ignorate dalla maggior parte dei governi – su come arrivare preparati alla prossima crisi sanitaria.

Non pare questo lo spirito delle iniziative italiane.

Il 6 luglio la Camera dei Deputati ha, infatti, approvato una proposta di legge per istituire una Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione della pandemia nel nostro Paese. Se il principio che anima l’iniziativa può essere benvenuto – capire cosa ha funzionato e cosa no, e sanzionare eventuali comportamenti scorretti o addirittura criminali, particolarmente odiosi quando si tratta di salute dei cittadini –, quello che lascia perplessi è la circoscrizione dell’indagine a specifici contesti e non, come hanno fatto anche altri Paesi, a tutto tondo.

La Commissione varata in Gran Bretagna si è conclusa con un vero e proprio atto d’accusa sulla gestione iniziale dell’emergenza Covid nel Regno Unito, che chiama in causa tanto il governo conservatore di Boris Johnson quanto alcuni suoi consulenti scientifici di chiara fama. Tutti additati per aver contribuito, attraverso scelte o ritardi rivelatisi fatali, ad appesantire con migliaia di vittime potenziali in più il bilancio della pandemia sull’isola, giunto nel frattempo a un totale di circa 150.000 morti, primo posto in Europa in cifra assoluta. Anche in questo caso l’indagine è stata varata subito dopo la fine dell’emergenza con una strutturazione bipartisan, partecipata da deputati di maggioranza e d’opposizione delle Commissioni Sanità e Scienza e Tecnica della Camera dei Comuni, con un rapporto diffuso dopo un anno e mezzo dall’esplosione dell’allarme coronavirus nel mondo. Il rapporto non manca di concedere all’esecutivo meriti per le fasi successive della sfida, a cominciare dal successo riconosciuto sul fronte della campagna vaccinale; ma non fa sconti sugli atteggiamenti iniziali imputati al primo ministro e al suo entourage, causa di uno dei «peggiori fallimenti mai registrati» sul fronte della salute pubblica nazionale.

Analoghe le conclusioni dell’indagine in Svezia.

In Francia il Parlamento ha attivato una Commissione di inchiesta subito dopo la fase emergenziale, con proposte concrete per migliorare la gestione delle crisi sanitarie, ad esempio garantendo una organizzazione efficiente degli stock strategici, prevedendone la costituzione, quanto più vicina al fabbisogno di scorte di crisi, e dotandosi dei mezzi per controllarne e monitorarne il livello. In secondo luogo la Commissione ha indicato la necessità di garantire la continuità delle cure in tempo di crisi in presenza di gravi patologie e di porsi in grado di attivare, nella fase epidemica, piattaforme territoriali che associno gli attori, mettano in continua connessione le capacità di analisi a livello regionale, rafforzino il coordinamento in materia di ricerca scientifica. Un’altra indicazione è quella di rafforzare la coerenza della consulenza scientifica e aprirla alla società, istituendo un organismo nazionale di consulenza scientifica unico incaricato di consigliare le autorità pubbliche nella gestione delle crisi e coordinare le fonti di competenza già esistenti. Infine, la Commissione ha detto di chiarire la ripartizione delle responsabilità tra agenzie sanitarie e la loro tutela, incaricando Santè Publique France, l’Istituto Superiore di Sanità francese, di elaborare uno schema di organizzazione interna di crisi che possa essere dispiegato, se del caso in modo graduale, fin dall’individuazione di un rischio o di un rimbalzo epidemico. Tutto ciò, se occorre, con la creazione di un funzionario delegato interministeriale atto alla preparazione e alla risposta alle emergenze sanitarie (Diprus), posto sotto il primo ministro e incaricato di coordinare una riflessione e una vigilanza interministeriale permanenti sullo stato di preparazione del Paese alle crisi sanitarie e capace di riferirne, ogni anno, al Parlamento. Infine, ma di fondamentale importanza all’interno di un Paese democratico, è stato suggerito di avvicinare la tematica al cittadino, definendo i contorni di una governance territoriale che garantisce un effettivo potere decisionale agli enti territoriali, in particolare al consiglio regionale, nella determinazione dell’offerta di assistenza regionale e locale, che sappiamo essere quella più prossima al cittadino e quindi, più efficiente.

Questo spirito appare del tutto estraneo alla proposta di legge italiana, innanzitutto decidendo di limitare l’inchiesta solo al livello nazionale, in un contesto in cui il ruolo delle amministrazioni regionali in ambito sanitario è, alla luce della Costituzione, decisivo. Non sono previste infatti indagini specifiche sulle misure adottate dalle autorità regionali, ad esempio sul differente approccio tra le regioni settentrionali investite dalla prima ondata epidemica. In particolare, si legge, la Commissione di inchiesta dovrà valutare la «tempestività e l’adeguatezza delle indicazioni che il governo e le sue strutture di supporto hanno fornito alle regioni e agli enti locali», mentre non si fa cenno al recepimento operativo da parte di questi ultimi e nel testo non vengono nemmeno menzionate eventuali indagini sulle responsabilità di singoli ospedali o altre strutture assistenziali, come le Rsa.

Ricordo a questo proposito il richiamo fatto durante la pandemia dalla Federazione regionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri della Lombardia, che ha affermato come «a fronte di un ottimo intervento sul potenziamento delle terapie intensive e semi intensive, peraltro in larga misura reso possibile dall’impegno e dal sacrificio dei medici e degli altri professionisti sanitari, sia risultata evidente l’assenza di strategie relative alla gestione del territorio. La situazione disastrosa in cui si è venuta a trovare la nostra Regione, anche rispetto a realtà regionali vicine, può essere in larga parte attribuita all’interpretazione della situazione solo nel senso di un’emergenza intensivologica, quando in realtà si trattava di un’emergenza di sanità pubblica. La sanità pubblica e la medicina territoriale sono state da molti anni trascurate e depotenziate nella nostra Regione».

Queste come altre evidenze non potranno essere prese in considerazione dalla Commissione di inchiesta, mentre quello che certamente servirebbe è che essa lavorasse anche per proporre soluzioni per il futuro di un Servizio sanitario nazionale in profonda crisi strutturale. Le strutture sono desertificate di personale, mancano decine di migliaia di operatori, soprattutto medici e infermieri, e le condizioni di lavoro di quelli in servizio sono sempre più drammatiche per remunerazioni scarse e potere d’acquisto ritornato indietro di venti anni, oltre a carichi di lavoro sempre più pressanti sia fisicamente – peraltro su una forza lavoro che è la più anziana d’Europa – sia psicologicamente, per la continua tensione di vivere sotto la pressione di una popolazione sempre più esasperata e, talvolta, persino violenta.

Interi ospedali lavorano con organici ridotti fino al 50%, e se è difficile reclutare medici e infermieri nelle città la missione è assolutamente impossibile nei piccoli centri e nelle zone rurali, dove diventa sempre più difficile trovare anche medici di medicina generale, con ormai milioni di cittadini che non hanno alcun punto di riferimento sanitario, se non a distanza spesso di decine di chilometri da casa. Il risultato è che milioni di cittadini rinunciano alle cure con evidenti, drammatiche conseguenze sulla qualità e sulla durata della loro vita e, a scoppio ritardato, sulla prosperità del Paese.

Sarebbe pertanto il caso di lanciare una Commissione bipartisan che ponga all’attenzione dei decisori politici la situazione drammatica di milioni di cittadini a cui viene ormai negata la tutela di un diritto fondamentale perché nessun Paese può essere definito veramente civile se a una persona viene negata assistenza sanitaria perché non ha i mezzi per pagarla.

Lo faremo?

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