venerdì 3 luglio 2015
Cari​tas denuncia e apre un Presidio. «La paga giornaliera è scesa a 10-15 euro». L’illegalità nei campi tra mafie e sommerso.
Presidio di legalità nei campi di Paolo Lambruschi

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È una nuova guerra tra poveri – anzi: tra sfruttati – quella che nell’indifferenza generale rischia di incendiare l’estate 2015 nelle campagne italiane. Da una parte i lavoratori, stanziali e stagionali, impegnati in agricoltura, africani i più, con paga media giornaliera, fin qui, sui 2530 euro. Dall’altra i comunitari, soprattutto romeni e bulgari, e i richiedenti asilo ospitati nei centri d’accoglienza di quei territori, che possono offrirsi a costi inferiori: i primi non avendo i debiti del viaggio intercontinentale e maggiore libertà di movimento nell’Unione; i secondi avendo già “coperti” vitto e alloggio. «È una situazione che si va deteriorando, questa concorrenza sta abbassando la paga giornaliera a 1015 euro», denuncia Manuela De Marco di Caritas Italiana.  Parole pronunciate ieri in Expo dov’è stato presentato il Rapporto Presidio 2015 «Nella terra di nessuno: lo sfruttamento lavorativo in agricoltura», relativo al Progetto Presidio finanziato dalla Cei e coordinato da Caritas Italiana in collaborazione con dieci Caritas diocesane, una del nord (Saluzzo) e nove del sud (Acerenza, Caserta, Foggia- Bovino, Melfi-Rapolla-Venosa, NardòGallipoli, Oppido Mamertina-Palmi, Ragusa, Teggiano-Policastro, Trani-Barletta-Bisceglie). Obiettivo di questo innovativo progetto, avviato nel 2014: promuovere un’azione di sistema per intervenire sullo sfruttamento lavorativo in agricoltura attraverso l’azione e la collaborazione delle dieci Caritas diocesane che hanno attivato sul loro territorio un «Presidio». Cioè, come dice il nome, una presenza costante fra i lavoratori, per dar loro – in rete con altre realtà locali – aiuto, ascolto, accompagnamento, informazioni e consulenza legale e lavoristica, assistenza sanitaria, segretariato sociale. Attenzione: gli operatori di presidio non se ne stanno in ufficio ma battono i territori con vere e proprie sedi mobili – camper e furgoni – per cercare gli immigrati là dove lavorano e vivono, spesso disseminati nelle campagne. E anche questa è Chiesa in uscita, per dirla con Papa Francesco. Che si mette in strada e va nelle terre di nessuno, dove il bisogno chiama. Anche quando resta senza voce. O senza speranza.Dal 1° luglio al 31 dicembre 2014 i dieci «presidi » hanno contattato in totale 1.277 persone – oggi ormai quasi duemila, ha sottolineato De Marco illustrando il progetto. Gli uomini sono il 96,9%. Pochissime le donne. La cui condizione è però ancora più drammatica: alla forte segregazione in luoghi spesso nascosti – è il caso del Ragusano, con gli operatori Caritas a lanciare volantini nelle serre per poter contattare le lavoratrici – si unisce l’esposizione al rischio di «sfruttamento multiplo» – compreso quello sessuale, ad aprire la via a gravidanze e aborti. Gravi le condizioni abitative: due terzi dei lavoratori contattati vivono in casolari abbandonati, baracche, tende, o addirittura all’addiaccio. Il 50,6% ha meno di 30 anni. Le nazionalità principali: Burkina Faso, Mali, Ghana, Costa d’Avorio, Tunisia, Marocco. «Ma al 30 giugno 2015 è netta la prevalenza di cittadini romeni», aggiorna il dato De Marco. Scolarità e conoscenza della lingua e della legge italiana sono basse: il che facilita raggiri e ricatti da parte di caporali, datori di lavoro e sfruttatori vari. Il 50% non ha documenti in regola; il 57,7% dichiara di non essere assunto con regolare contratto; il 72% ha fatto debiti per emigrare e, ora, per lavorare in Italia: e sono, questi, ulteriori fattori di vulnerabilità e ricattabilità. Al 31 dicembre scorso, infine, per un buon 20% dei 1.277 intervistati emergono veri e propri «indici di sfruttamento».  «Laddove l’agricoltura è più fiorente e produce prodotti di alta-altissima qualità nutrizionale – e dunque commerciale, non solo in Italia ma anche all’estero – è contemporaneamente presente il lavoro indecentemente remunerato e svolto in condizioni brutali e spesso para-schiavistiche», si legge nel Rapporto. E questo anche al nord e al centro, non solo al sud. «Il discorso però non è riducibile alla triade lavoratore-caporale- datore di lavoro – afferma De Marco – ma forti responsabilità hanno anche i grandi distributori e le grandi catene che dettano i prezzi ai produttori. Un fatto che è bene ricordare in Expo».
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