sabato 26 marzo 2022
Obiettivo aiutare i detenuti a comunicare con il mondo fuori. Zerografica è una cooperativa sociale nata nell’istituto penitenziario di Bollate
Il carcere di Bollate

Il carcere di Bollate - Ansa

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Il mondo "di dentro" guarda a quello di fuori. E se il legame tra le due condizioni si fa saldo, o quantomeno non si allenta troppo, sarà più facile per chi oggi è dentro, rientrare nella normalità del fuori domani. Al di là delle metafore, chi vive e conosce la realtà del carcere sa quanto sia importante evitare l’isolamento dei detenuti, e utilizzare il periodo della pena per coltivarne i talenti, da far fruttare una volta riacquisita la libertà: ogni gesto, ogni opportunità al servizio della rieducazione sociale ha un suo significato. E il digitale può svolgere un servizio importante.

Vale l’esempio della posta elettronica, che poco per volta sta entrando nel mondo della detenzione. A introdurla, il progetto "zeromail", nuovo ma in grande crescita. «L’iniziativa è nata a Rebibbia e si sta diffondendo pur con qualche difficoltà burocratica – spiega Gualtiero Leoni, vicepresidente di Zerografica la cooperativa cui si deve l’idea –. Al Nord invece siamo partiti da Milano Bollate e oggi siamo presenti, tra gli altri, a Torino, Ivrea, Fossano, Cuneo, Saluzzo. Si tratta di un servizio informatico che permette ai detenuti di comunicare in giornata, con i parenti, gli amici, o i propri legali.

Questo, oltre a facilitare le relazioni, permette un notevole risparmio economico». Il servizio è naturalmente vincolato al rispetto dell’articolo 18 ter dell’Ordinamento penitenziario, là dove stabilisce vincoli e «limitazioni nella ricezione della stampa». Per esempio, come si sa, ai carcerati è proibito avere il telefonino e accedere a internet.

«Zeromail è un servizio sostitutivo della corrispondenza epistolare – osserva Agata Rota, impiegata amministrativa di Zerografica –. I detenuti scrivono le loro lettere, che vengono imbucate in apposite caselle e poi portate nei nostri uffici dove sono scansionate e inviate. Sono mail a tutti gli effetti che però non partono direttamente dalla casella del detenuto ma utilizzano un appoggio esterno».
Una volta scansionate, le lettere vengono distrutte e Zerografica ogni mese invia un report all’amministrazione penitenziaria. «Per questo servizio – aggiunge Rota – è previsto un abbonamento, sottoscritto dal singolo detenuto in base alle proprie esigenze e possibilità».

Nella logica di chi l’ha avviato, il progetto, oltre a evitare l’isolamento del detenuto, lo rende più tranquillo, perché permette contatti con i i familiari nettamente più frequenti rispetto ai dieci minuti settimanali di telefonata o videochiamata novità permessa a seguito della pandemia. «Inizialmente – continua Leoni – il servizio mail era limitato alle case di reclusione cioè a persone già condannate. Adesso ne usufruiscono anche gli istituti circondariali: chi entra in carcere può avere contatti con i propri cari subito, mentre prima doveva aspettare magari un mese».

Naturalmente Zerografica non garantisce solo il servizio mail. «Siamo una cooperativa sociale – spiega Leoni – nata nel 2013 nel carcere di Bollate per favorire il reinserimento dei detenuti attraverso l’insegnamento della stampa». L’importanza di imparare un mestiere è riassunta dai numeri. Nel 2016 la percentuale di chi recidiva un reato dopo aver scontato la pena era in Italia del 74% mentre tra gli ex detenuti a Bollate, fucina di iniziative per il reinserimento, crollava al 17%. «Lavorando, le persone ritrovano fiducia e guardano al mondo esterno in maniera diversa».

Nata come piccola esperienza, nel corso degli anni Zerografica è cresciuta. Oggi la stampante lavora in digitale, garantendo prodotti professionali a costi limitati. «Serviamo anche associazioni esterne, tra cui Emergency, Medici senza frontiere, Coopi – continua Leoni –, stampiamo magliette, abbiamo avviato una collaborazione con la Carioca spa celebre marchio di pennarelli e siamo soci fondatori del Consorzio "Viale dei mille" dove si vendono prodotti, dal cibo ai vestiti, realizzati dalle cooperative che lavorano in carcere». Si cerca di migliorare la vita di oggi, dunque, per prepararsi al domani. «La nostra esperienza – conclude Rota – dimostra che con la serietà e la qualità si possono superare pregiudizi e sospetti che spesso accompagnano chi lavora in carcere».

Perché il mondo di dentro e quello di fuori sono più vicini di quanto sembri. Anzi, sono lo stesso mondo.

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