venerdì 5 aprile 2024
Una «prassi illecita collaudata», con gli operai costretti a lavorare fino a 14 ore e la sicurezza a rischio. È la ragione per cui il Tribunale di Milano ha commissariato la Giorgio Armani Operations
Uno dei negozi di Giorgio armani

Uno dei negozi di Giorgio armani - Ansa

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La produzione negli opifici abusivi cinesi di abbigliamento e accessori, venduti poi con marchio Giorgio Armani, era «attiva per oltre 14 ore al giorno, anche festivi», con lavoratori «sottoposti a ritmi di lavoro massacranti» e con una situazione caratterizzata da «pericolo per la sicurezza» della manodopera, che lavorava e dormiva in «condizioni alloggiative degradanti». E con paghe «anche di 2-3 euro orarie, tali da essere giudicate sotto minimo etico». È il quadro inquietante che emerge dal provvedimento del Tribunale di Milano, attraverso testimonianze degli stessi lavoratori e accertamenti dei carabinieri, con cui è stata disposta l'amministrazione giudiziaria per un anno per la Giorgio Armani operations spa, società del gruppo del colosso dell'alta moda. Un'inchiesta che si inserisce in un filone di indagini aperto dalla Procura di Milano sullo sfruttamento del lavoro, che dopo aver toccato, sempre con fascicoli coordinati dal pm Paolo Storari, grandi aziende di trasporti, logistica, servizi di vigilanza e altri settori, sta approfondendo il mondo della moda. Nei mesi scorsi era stata commissariata dal Tribunale la Alviero Martini spa ed era emerso uno schema simile a quello venuta a galla oggi.

Le immagini diffuse dalla Procura di Milano e dai carabinieri

Le immagini diffuse dalla Procura di Milano e dai carabinieri - .

L'indagine dei pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone e dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del lavoro si concentra su un presunto sfruttamento del lavoro, attraverso l'utilizzo negli appalti per la produzione di opifici abusivi e il ricorso a manodopera cinese in nero. L'azienda operante nel settore dell'alta moda sarebbe ritenuta «incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo» nel ciclo produttivo «non avendo messo in atto misure idonee alla verifica delle reali condizioni lavorative ovvero delle capacità tecniche delle aziende appaltatrici tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato» spiegano gli investigatori. Nello specifico contesto, «si è potuto accertare - si legge nella nota dei carabinieri - che la casa di moda affidi, attraverso una società in house creata ad hoc per la progettazione, produzione e industrializzazione delle collezioni di moda e accessori, mediante un contratto di fornitura, l'intera produzione di parte della collezione di borse e accessori 2024 a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi».

«La società ha da sempre in atto misure di controllo e di prevenzione atte a minimizzare abusi nella catena di fornitura» la prima risposta dell'azienda in una nota. «La GA Operations - vi si legge - collaborerà con la massima trasparenza con gli organi competenti per chiarire la propria posizione rispetto alla vicenda».

Nell'ambito dell'inchiesta sono stati denunciati a vario titolo per caporalato i quattro titolari di aziende di diritto o di fatto di origine cinese nonché 9 persone non in regola con la permanenza e il soggiorno sul territorio nazionale. Infine sono state comminate ammende pari a oltre 80.000 euro e sanzioni amministrative pari a 65.000 euro e per 4 aziende è stata disposta la sospensione dell'attività per «gravi violazioni in materia di sicurezza e per utilizzo di lavoro nero».

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