venerdì 23 marzo 2018
Salvini alla seconda votazione punta sull'azzurra Bernini e provoca lo strappo con Fi. Berlusconi: la coalizione è rotta. Meloni tenta un ultimo appello all'unità. M5s e Pd prendono tempo.
Il centrodestra si spacca sulla presidenza del Senato. Ipotesi M5s-Lega
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Ora la speranza di Berlusconi è solo che la notte porti consiglio. O meglio, un nome condiviso da tutto il centrodestra per la poltrona più alta di Palazzo Madama che eviti la spaccatura della coalizione, dopo che a sorpresa alla seconda votazione in Senato la Lega ha puntato su Anna Maria Bernini, vice capogruppo di Fi nella precedente legislatura, per «uscire dalla palude» ed evitare «l'abbraccio M5s-Pd». Peccato che gli esponenti azzurri abbiano saputo di questa decisione del Carroccio solo a votazione iniziata stasera e che la decisione abbia non poco irritato l'ex Cav il cui nome per la seconda carica dello Stato resta dall'inizio Paolo Romani.

«I voti della Lega per Bernini rompono la coalizione, smascherano il progetto di governo M5s-Lega», contrattacca il presidente di Forza Italia dopo un vertice in serata con il partito a Palazzo Grazioli. La stima nei confronti della senatrice azzurra sarebbe immutata - le indiscrezioni che trapelano dopo la convocazione della Bernini da Berlusconi - ma il presidente di Forza Italia non è disposto ad accettare diktat o nomi proposti da altri. Una linea su cui a sera si allinea anche Anna Maria Bernini che si dice «indisponibile ad essere candidata di altri». Ma a cercare di calmare le acque ci pensa la leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, con una nota in cui rivolge «l'ultimo appello alle forze politiche del centrodestra perché questo delicato passaggio sulle presidenze delle Camere non si risolva in un "liberi tutti", soprattutto per rispetto dei milioni di elettori che ci hanno votato credendo nella nostra capacità di dare all'Italia un governo concreto e coeso». Per questo chiede «a tutti un passo indietro perché se ne possa fare insieme uno in avanti».

Intanto, i 5Stelle prendono tempo, anche se non pongono alcun veto sul nome fatto da Salvini «o su un nome simile». Ma Di Maio e i suoi, prima di prendere qualsiasi decisione, aspettano di vedere come si orienterà il centrodestra in vista della terza votazione al Senato di domani. Il Pd per tutto il giorno è stato alla finestra, votando scheda bianca con Matteo Renzi che al primo giorno da senatore si limita a dire: «Tocca a loro, punto. Tocca a loro, basta. Lo dico dal 5 di marzo. Per me la discussione è chiusa». E con "loro" intende il Movimento Cinque Stelle e la Lega che, qualora lo strappo tra Salvini e l'ex Cav fosse incolmabile, potrebbero immaginare di provare a fare un governo insieme puntando su pochi punti fermi nel programma, a partire da una nuova legge elettorale. Ma l'ex premier, incalzato dai cronisti, parla anche della strategia del Partito democratico: «Maurizio Martina è il segretario. Leggo anche che non ci son più renziani, anche se non lo penso... per me prima prima finisce meglio è, anche politicamente».

La giornata in Parlamento

La partenza per l'elezione della seconda e terza carica dello Stato è partita con uno stallo. Un accordo che sembrava ad un soffio ieri si è in realtà dissolto a poche ore dall'inizio delle votazioni ufficiali, dove tutte le forze politiche hanno scelto di non scoprire le proprie carte e di votare scheda bianca. Alla Camera così vanno a vuoto le prime votazioni: con 592 schede bianche, 18 schede nulle, nessun astenuto e qualche voto sporadico per Brunetta e Bonafede. Del resto a Montecitorio, il quorum richiesto è elevato: servono i due terzi dei componenti dell'Assemblea. E senza un accordo preliminare è difficile convergere su un nome.

Stessa sorte nella prima votazione al Senato, dove alla prima votazione le schede bianche sono 312. Eppure in apertura di seduta, in mattinata, il presidente provvisorio di Palazzo Madama, il senatore a vita Giorgio Napolitano, aveva auspicato «rispetto del voto e fiducia nel Colle per il dopo-elezioni». Prima di lanciare una stoccata proprio al partito che ha governato negli ultimi cinque anni. Il risultato delle elezioni «ha mostrato quanto poco avesse convinto l'auto-esaltazione di governi e partiti di maggioranza», aggiunge.

Ma a metà pomeriggio, quando ormai sembra chiara una nuova fumata nera nella seconda votazione, arriva la mossa di Salvini che spiazza il centrodestra. La Lega, nella seconda votazione a Palazzo Madama, vota per l'azzurra Anna Maria Bernini e lo farà anche domani, alla terza votazione. Una decisione giustificata dal «senso di responsabilità», con l'obiettivo di «uscire dal pantano» nel quale il nuovo Parlamento è finito già alla prima seduta. Ma il sospetto è che sia un primo banco di prova per un eventuale governo Lega-Cinque Stelle. Anche perché sulla carta, Carroccio e M5s avrebbero i voti per eleggere il presidente sia al Senato che alla Camera. Quello di Salvini è quindi non solo un colpo di teatro, ma un chiaro avvertimento a Berlusconi. Anche la seconda votazione al Senato si conclude, però, con un nulla di fatto, malgrado le 57 schede per la Bernini.

Salvini dice di aver avvertito della svolta solo Berlusconi, che «ne ha preso atto» e non Di Maio, tanto che M5s vota ancora scheda bianca. Ora il vertice dei Cinque Stelle si riunirà con i parlamentari domani mattina alle 9 e vedrà il da farsi. L'ultimo momento per le decisioni arriverà domani, ma già il Cavaliere si prepara alla risposta. Dopo l'annuncio di Salvini, convoca a palazzo Grazioli lo stato maggiore di Fi. La prima replica degli azzurri è quella di Renato Schifani al Senato, mentre alla Camera Fi non partecipa alla prima chiama della terza votazione che finisce con 569 schede bianche e 4 nulle e 18 voti dispersi. «La scelta della Lega non era concordata né attesa - dice - valuterà Berlusconi, ma allo stato attuale c'è un candidato di Forza Italia che è Paolo Romani». Per il Pd, intanto, Ettore Rosato conferma la linea della scheda bianca nella terza votazione: «Non votiamo neanche la Bernini». Al di là dei nomi, tuttavia, per il dem Lorenzo Guerini, «si sta giocando con il tema delle presidenze di Camera e Senato per regolare rapporti di forza dentro le coalizioni tra i partiti. Credo che invece ci dovrebbe essere un atto di responsabilità».

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