venerdì 10 settembre 2021
Gli “scafisti” sono ritenuti dei “terminali” di una organizzazione internazionale. La procura: cercheremo di identificare i capi in Libia
Il barcone stipato con 530 persone sbarcato il 28 agosto

Il barcone stipato con 530 persone sbarcato il 28 agosto - Ansa

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Trapelano altri particolari dal fermo dei 5 egiziani per lo sbarco dei 530 immigrati a Lampedusa del 28 agosto. "Gli immigrati , che già avevano subito ripetute violenze nei campi libici - spiegano gli inquirenti di Agrigento - , venivano stipati nella imbarcazione anche sulla base della nazionalità riservando i posti peggiori ai non magrebini". I neri, in altre parole, venivano spinti negli spazi più angusti e nei quali, in caso di naufragio, non avrebbero avuto scampo.

"Durante la traversata coloro che stavano sottocoperta, in assenza di acqua e in difficoltà respiratorie, venivano picchiati con dei tubi di gomma e con cinture di cuoio ad ogni minima protesta", spiegano fonti investigative.

“Soggetti terminali di una verosimile organizzazione criminale operante in Libia specializzata nell'organizzazione della tratta di esseri umani”. Così la procura di Agrigento definisce i cinque egiziani fermati ieri dalla Squadra Mobile e dal Reparto Aereo Navale della Guardia di finanza.

I nordafricani sono ritenuti responsabili dello sbarco di 530 stranieri il 28 agosto a Lampedusa. L'operazione coordinata dal procuratore Luigi Patronaggio e dal pm Gianluca Caputo, è considerata “un primo importante riscontro alle indagini avviate immediatamente dopo lo sbarco in collaborazione con la Direzione distrettuale antimafia di Palermo”, spiegano fonti della procura agrigentina.

“I 5 egiziani posti in stato di fermo sono da ritenere, in relazione alle peculiari modalità dello sbarco, i soggetti terminali di una verosimile organizzazione criminale operante in Libia specializzata nell'organizzazione della tratta di esseri umani. I 5, oltre a governare l'imbarcazione, avevano il compito - informa una nota degli inquirenti - di mantenere l'ordine e la disciplina a bordo anche ricorrendo a degradanti violenze fisiche”. Dovranno rispondere dunque anche delle violenze perpetrate nei confronti dei migranti che sarebbero stati ammassati in una prigione della Cirenaica, non lontano dal confine con l’Egitto, e poi caricati sul peschereccio.

Il barcone aveva a bordo persone di varia nazionalità e "molti di loro mostrano segni di violenza e percosse subite durante la permanenza nel paese nordafricano", aveva spiegato Alida Serrachieri, responsabile medico di Medici senza frontiere a Lampedusa.

Ora gli investigatori, attraverso le testimonianze dei migranti, che vengono incrociate con le numerose acquisizioni di questi mesi sulle rotte nel Canale di Sicilia, mirano a ricostruire la filiera del traffico di esseri umani e in particolare sperano di poter ottenere “l'identificazione degli organizzatori della tratta”. Sarà necessario, dunque, estendere le indagini in campo internazionale. Tuttavia fino ad ora la Libia non ha mai cooperato in questo genere di inchieste assicurando l’impunità ai criminali.

Nel 2019 proprio la procura di Agrigento, avviando un’inchiesta dopo lo sbarco di un gruppo di migranti dalla nave Sea Watch, era riuscita a identificare tre stranieri quali autori di violenze in Libia. I tre sono poi stati condannati (beneficiando dello scontro di un terzo della pena nel rito abbreviato) a 20 anni di carcere ciascuno. A lui ho erano stati incaricati di torturare i migranti prigionieri nel campo ufficiale di Zawiyah, dove ancora oggi si trovano centinaia di profughi reclusi e le Nazioni Unite faticano ad ottenere il permesso di ispezionare la prigione.

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