giovedì 21 maggio 2020
Morto ieri sera a Milano lo psicoterepeuta più volte messo sotto accusa per aver detto che la funzione di madre e padre sono indispensabili nei processi di crescita
Giancarlo Ricci

Giancarlo Ricci

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Addio a Giancarlo Ricci, 70 anni, lo psicologo e psicoterapeuta milanese che da una decina di anni era diventato il simbolo del pensiero “psicologicamente scorretto” a proposito dell’omosessualità. Lascia la moglie e la figlia di 25 anni. Da tempo era affetto da una patologia cronica che, negli ultimi giorni, si è aggravata in modo irreparabile. Era nel mirino delle associazioni gay più oltranziste e aveva subito anche tre procedimenti disciplinari da parte dell’Ordine degli psicologi, poi tutti archiviati. Ma lui era tutt’altro che omofobo. Voleva soltanto continuare a studiare con libertà le cause dell’omosessualità, indagarne i meccanismi psicologici, le connessioni con l’esperienza e le relazioni, senza adeguarsi alla vulgata corrente. Una fede incrollabile nella possibilità del pensiero scientifico di comprendere uno degli aspetti più complessi e controversi della sessualità, al di là degli steccati ideologici e dei paradigmi dominanti.

La persecuzione contro Ricci era partita nel 2010 quando l’ordine degli psicologi di Milano organizzò un incontro pubblico nelle sede di corso Buenos Aires per chiarire il problema delle cosiddette terapie riparative nei confronti dell’omosessualità, pratica diffusa anche in Italia dallo psicologo americano Joseph Nicolosi (morto nel 2017). A Ricci venne chiesto di spiegare i fondamenti di questo approccio. E lui, spiazzando tutti, raccontò che quando si parla di “riparazione” in psicanalisi non si deve pensare a un’operazione per “aggiustare” qualcosa, quasi che gli omosessuali siano macchine con qualche bullone in meno. Si tratta invece di un meccanismo arcaico di difesa, già indagato da Melanie Klein, una delle allieve di Freud, che determina una sorta di sutura inconscia in alcune situazioni complesse. Ricci aveva anche sottolineato la necessità di parlare di omosessualità al plurale, nella convinzione che le dinamiche che la determinano sono diverse per ogni persona, distinguendo innanzi tutto tra omosessualità egodistonica (cioè accolta in modo problematico) ed egosintonica (più armonica con il sentire profondo della persona). Posizioni assunte in assoluta libertà dallo psicoterapeuta milanese, senza la pretesa che fossero indiscutibili, anche se erano il frutto di oltre 40 anni di pratica clinica e decine di saggi scritti. In quell’occasione Ricci chiarì anche in modo esplicito che, pur avendo a lungo studiato le terapie riparative di Nicolosi, non le aveva mai applicate e anzi aveva al riguardo molto riserve. Non fu sufficiente. Contro lo psicologo, colpevole di null’altro se non di voler approfondire il tema senza adeguarsi ai luoghi comuni in materia, arrivarono decine di esposti e partirono le “indagini” deontologiche da parte dell’ordine degli psicologi. L’ultimo deferimento, il più incredibile, risale al 2017, quando Ricci venne messo sotto accusa per aver detto, durante una trasmissione tv, che padre e madre, proprio a partire dalla loro identità maschile e femminile, svolgono una “funzione costitutiva” durante i processi di crescita. Lasciando intendere in questo modo, secondo l’accusa piovuta da parte di una organizzazione lgbt tra le più intolleranti, che gli omosessuali non sono adeguati come genitori. L’intento di Ricci invece, proprio perché consapevole della complessità e della difficoltà del problema – che non può certo essere risolto con uno slogan durante un talk-show - era ben diverso. Ma i suoi colleghi psicologi non la intesero così. E anche se il punto di partenza appariva tanto scontato quanto risibile – l’importanza del padre e della madre – partì un lungo procedimento disciplinare. Sono stati necessari quasi tre anni per chiarire la vicenda e arrivare all’archiviazione del caso (marzo 2019), ma nel frattempo Rucci ha sopportato una gogna professionale e mediatica assurda, che certamente non ha giovato alle sue condizioni di salute.

Chi l’ha conosciuto da vicino, lo ricorda come un uomo buono, un padre di famiglia paziente e attento, un terapeuta che spesso rinunciava alla parcella nei confronti di coloro che avevano difficoltà economiche. Anche nei confronti dei colleghi dell’ordine professionale, che non gli avevano certo fatto sconti, non serbava rancore. Si limitava ad interrogarsi sull’ideologia che sembrava aver avvolto anche l’indagine psicologica in un groviglio di luoghi comuni. L'ha fatto anche nell'ultimo saggio pubblicato, "Il tempo della postlibertà" (Sugarco) in cui ripercorre la cronistoria della sua vicenda con l'Ordine degli psicologi spiegandola come censura della libertà di parola in nome del pensiero unico. Tra gli altri suoi libri, tutti coraggiosi per argomentazioni e capacità di inquadrare i problemi con un approccio originale, "Sessualità e politica. Viaggio nell'arcipelago gender" (2016); "Il padre dov'era. Le omosessualità nella psicanalisi" (2013); "L'atto la storia: Benedetto XVI, Papa Francesco e la fine del Novecento" (2013); "Sigmud Freud. La vita, le opere e il destino della psicoanalisi" (2003). Sapeva coniugare il rigore scientifico con il pensiero poetico, tanto che i suoi interessi spaziavano dalle arti visive ai problemi sociali. Ultimamente si era dedicato ai temi della filiazione e al debito che ciascuno di noi, nascendo, contrae con la vita donata da altri. Animava anche numerosi blog.

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